di
p. Ermes Ronchi

Due uomini vanno al tempio a pregare. Uno, ritto in piedi, prega ma come
rivolto a se stesso: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli
altri uomini, rapaci, ingiusti, impuri...».
Inizia con le parole
giuste, l'avvio è biblico: metà dei Salmi sono di lode e ringraziamento.
Ma mentre a parole si rivolge a Dio, il fariseo in realtà è centrato su
se stesso, stregato da una parola di due sole lettere, che non si
stanca di ripetere, io: io ringrazio, io non sono, io digiuno, io pago.
Ha dimenticato la parola più importante del mondo: tu. Pregare è dare
del tu a Dio. Vivere e pregare percorrono la stessa strada profonda: la
ricerca mai arresa di un tu, un amore, un sogno o un Dio, in cui
riconoscersi, amati e amabili, capaci di incontro vero.
«Io non sono
come gli altri»: e il mondo gli appare come un covo di ladri, dediti
alla rapina, al sesso, all'imbroglio. Una slogatura dell'anima: non si
può pregare e disprezzare; non si può cantare il gregoriano in chiesa e
fuori essere spietati. Non si può lodare Dio e demonizzare i suoi figli.
Questa è la paralisi dell'anima.
In questa parabola di battaglia,
Gesù ha l'audacia di denunciare che la preghiera può separarci da Dio,
può renderci “atei”, mettendoci in relazione con un Dio che non esiste,
che è solo una proiezione di noi stessi. Sbagliarci su Dio è il peggio
che ci possa capitare, perché poi ci si sbaglia su tutto, sull'uomo, su
noi stessi, sulla storia, sul mondo (Turoldo).
Il pubblicano, grumo
di umanità curva in fondo al tempio, ci insegna a non sbagliarci su Dio e
su noi: fermatosi a distanza, si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi
pietà di me peccatore».
C'è una piccola parola che cambia tutto
nella preghiera del pubblicano e la fa vera: «tu». Parola cardine del
mondo: «Signore, tu abbi pietà». E mentre il fariseo costruisce la sua
religione attorno a quello che egli fa per Dio (io prego, pago,
digiuno...), il pubblicano la costruisce attorno a quello che Dio fa per
lui (tu hai pietà di me peccatore) e si crea il contatto: un io e un tu
entrano in relazione, qualcosa va e viene tra il fondo del cuore e il
fondo del cielo. Come un gemito che dice: «Sono un ladro, è vero, ma
così non sto bene, così non sono contento. Vorrei tanto essere diverso,
non ce la faccio, ma tu perdona e aiuta».
«Tornò a casa sua
giustificato». Il pubblicano è perdonato non perché migliore o più umile
del fariseo (Dio non si merita, neppure con l'umiltà), ma perché si
apre – come una porta che si socchiude al sole, come una vela che si
inarca al vento – si apre alla misericordia, a questa straordinaria
debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza, la sola forza che
ripartorisce in noi la vita.
Il vangelo in poche parole

Per che cosa pregava Dio? Cercalo nelle sue parole e non vi troverai
nulla. Era salito per pregare; ma non volle pregare Dio, bensì lodare se
stesso. Non gli bastava non pregare Dio ma lodava se stesso; oltre a
ciò insultava chi pregava. (Agostino)
Altri commenti affidabili, semplici, profondiEnzo Bianchi:
"O Dio, abbi pietà di me, peccatore" (testo)
p. Alberto Maggi:
Il pubblicano tornò a casa giustificato a differenza del fariseo (testo; video)
don Claudio Doglio:
Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo (video; audio)
don Claudio Doglio:
Commento alle letture Sir 35,12-14.16-18; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14 (testo)
Cristina e Marco Giustarini (Centri Preparazione Matrimonio):
Commento su Sir 35,12-14.16-18; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14 (testo)
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Quando possiamo avvicinarci a Dio? (testo)
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La cattiveria dei buoni: "Io non temo che i cattivi cattolici" (testo)
don Tonino Lasconi:
Chi è il fariseo e chi è il pubblicano? (testo)
Evangeli.net:
Commento e breve spiegazione teologica in meno di 450 parole (testo)
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