di
p. Ermes Ronchi

Gesù ha appena avanzato una proposta che ai discepoli pare una missione
impossibile: quante volte devo perdonare? Fino a settanta volte sette. E
sgorga spontanea la richiesta: accresci in noi la fede, o non ce la
faremo mai. Una preghiera che Gesù non esaudisce, perché non tocca a Dio
aggiungere fede, non può farlo: la fede è la libera risposta dell'uomo
al corteggiamento di Dio.
E poi ne basta poca, meno di poca, per
ottenere risultati impensabili: se aveste fede come un granello di
senape, potrete dire a questo gelso sradicati...
Qui appare uno dei
tratti tipici dei discorsi di Gesù: l'infinito rivelato dal piccolo.
Gesù sceglie di parlare del mondo interiore e misterioso della fede
usando le parole di tutti i giorni, rivela il volto di Dio e il venire
del Regno scegliendo il registro delle briciole, del pizzico di lievito,
della fogliolina di fico, del bambino in mezzo ai grandi. È la logica
dell'Incarnazione che continua, quella di un Dio che da onnipotente si è
fatto fragile, da eterno si è perduto dentro il fluire dei giorni.
La
fede è rivelata dal più piccolo di tutti i semi e poi dalla visione
grandiosa di foreste che volano verso i confini del mare. La fede è un
niente che è tutto. Leggera e forte. Ha la forza di sradicare gelsi e la
leggerezza di un minimo seme che si schiude nel silenzio.
Ho visto
il mare riempirsi di gelsi. Ho visto imprese che sembravano impossibili:
madri e padri risorgere dopo drammi atroci, disabili con occhi luminosi
come stelle, un missionario discepolo del Nazzareno salvare migliaia di
bambini-soldato, una piccola suora albanese rompere i tabù millenari
delle caste...
Un granello: non la fede sicura e spavalda ma quella
che nella sua fragilità ha ancora più bisogno di Lui, che per la propria
piccolezza ha ancora più fiducia nella sua forza.
Il Vangelo termina
con una piccola parabola sul rapporto tra padrone e servo, chiusa da
tre parole spiazzanti: quando avete fatto tutto dite: siamo servi
inutili. Capiamo bene, però: mai nel Vangelo è detto inutile il
servizio, anzi è il nome nuovo della civiltà. Servi inutili non perché
non servono a niente, ma, secondo la radice della parola, perché non
cercano il proprio utile, non avanzano rivendicazioni o pretese. Loro
gioia è servire la vita.
Servo è il nome che Gesù sceglie per sé;
come lui sarò anch'io, perché questo è l'unico modo per creare una
storia diversa, che umanizza, che libera, che pianta alberi di vita nel
deserto e nel mare.
Inutili anche perché la forza che fa germogliare
il seme non viene dalle mani del seminatore; l'energia che converte non
sta nel predicatore, ma nella Parola. «Noi siamo i flauti, ma il soffio è
tuo, Signore». (Rumi).
Il vangelo in poche parole