Mettiamo il naso fuori dalla valle

La comunità pastorale della Valmalenco, nata dopo la Visita pastorale del vescovo Diego Coletti (2014), fa parte del Vicariato di Sondrio (vedi Decreto) e ha come Vicario foraneo l’arciprete di Sondrio. Diverse iniziative di formazione e alcune celebrazioni comuni vengono proposte ogni anno a livello di Vicariato, in base alle indicazioni del Piano pastorale diocesano. Per aggiornamenti su tali iniziative, può essere utile consultare, oltre a questo sito, quello della comunità pastorale di Sondrio (www.parrocchiesondrio.it) o il sito della diocesi (www.diocesidicomo.it).

Proposte vicariali, diocesane, nazionali

@ Diario di un laico: Una chiesa plurale. Da sempre

@ Diario di un laico: Una chiesa plurale. Da sempre

Policentrismo parallelo. In questo modo, Giuseppe De Rita definiva, pochi anni fa, con acutezza ciò che stava accadendo alla chiesa italiana. «La Chiesa – diceva in un’intervista –  non rinuncerà mai alla Curia né alle conferenze episcopali locali, altrimenti sarà impossibile governare un miliardo di cattolici. Però si assisterà sempre di più a due concezioni della Chiesa: il centralismo e le realtà locali, spesso effervescenti e vitalissime. È un problema che riguarda il destino stesso del cattolicesimo». Lo conferma un altro sociologo, Luca Diotallevi: «Se una caratteristica strutturale della chiesa cattolica esiste, questa è la sua pluralità, la sua ricchezza strutturale: il Vaticano, le diocesi, le conferenze episcopali, le parrocchie e il laicato associato come l’Azione cattolica, il monachesimo, i religiosi e i movimenti, le opere sociali, le famiglie, i cattolici impegnati in economia, scienza e politica… Solo in momenti storici eccezionali (ad esempio la lotta contro il comunismo nel secondo dopoguerra) troviamo la chiesa in tutte le sue espressioni temporaneamente riallineata e costretta dalla necessità a manifestarsi quasi come parte politica. Più la società cresce, invece, e cresce perché acquisisce il respiro di istituzioni differenti, più la chiesa si esprime anche visibilmente in diversità e pienezza senza nulla togliere al ministero dell’episcopato e senza tutto ridurre a quello. Del resto, le chiese cristiane sono state e sono matrici e presidio della ‘società aperta’».

UN CRISTIANESIMO “PLURALE”

Che questo sia vero, è sotto gli occhi di tutti. Una pluralità di letture che, a volte, spaventa il presunto monolitico mondo cattolico.  Su molte questioni i cristiani si dividono, dando l’idea a certuni che esistano “molti cattolicesimi”. Non solo quando scelgono un partito (dopo la fine della Democrazia Cristiana si  sono  dispersi,  senza  grandi  patemi e,  a   volte, perfino con troppa disinvoltura,  nei molti rivoli della politica italiana) ma anche quando ragionano di presenza nel mondo, di discernimento etico, di giudizio sulla storia e di economia, di sessualità, di bioetica. Qualcuno si è spinto a parlare di “scisma sommerso”, forse enfatizzando un fenomeno che non può però essere ignorato. Certo, il più delle volte, venendo progressivamente meno un’ethos ecclesiale che permetta un dialogo franco, questa diversità sta sotto traccia o viene nascosta sotto un mare di parole o di finti unanimismi. Eppure, a ben pensarci,  fin dalle sue origini il cristianesimo è plurale: l’unico Dio narrato da Gesù Cristo può essere ridetto al mondo solo in una pluralità di espressioni. Non a caso la Chiesa ha riconosciuto canonici quattro vangeli, e non uno solo, e li ha accolti accanto a una molteplicità di scritti del Nuovo Testamento che rendono una testimonianza multiforme all’«unico Signore, Gesù Cristo» (1Cor 8,6). Non la fissità di un libro, dunque, ma la dinamicità di un evento suscitato dallo Spirito Santo, che è la libertà di Dio, è all’origine del cristianesimo. «Questo pluralismo di espressioni testuali, cui corrisponde a livello storico e di fede un pluralismo di espressioni ecclesiali, di concezioni cristologiche, di usi liturgici, di accenti spirituali, riflette l’inesauribilità del mistero di Dio rivelato in Cristo Gesù e accolto in culture diverse» (Luciano Manicardi).

La diversità, dunque, è costitutiva dell’unità ed è essenziale alla comunione, così come l’alterità è essenziale all’identità. La diversità nella Chiesa e tra le Chiese appartiene all’humus del cristianesimo e non va eliminata: sempre lo stesso Spirito manifesterà, nelle diverse persone e culture, comprensioni plurali, differenziate, dell’unico volto di Cristo in cui risplende la gloria dell’unico Dio Padre di tutti. Certo, questo comporta che nessuno può pretendere di “possedere” la verità. «Cristo risorto vi precede in Galilea» viene detto alle donne che sostano davanti al sepolcro, accorse per imbalsamare il corpo di Gesù. Occorre percepire  che le definizioni della verità stanno all’interno del grande movimento della ricerca della verità, dell’approssimazione – sempre imperfetta – alla verità. Se a questa coscienza umile si sostituisce la pretesa di possedere la verità (confusa con la sua definizione) si finisce in un imperialismo culturale, in cui l’inculturazione del cristianesimo viene fatta prevalere sul Cristo stesso e in cui il rivestimento culturale assume maggiore importanza del Vangelo. Allora la violenza, il fanatismo, l’intransigenza saranno inevitabilmente in agguato.

CRESCERE NELL’ASCOLTO E NEL DIALOGO

Un compito complesso spetta dunque ai cristiani che colgono il valore di questo pluralismo vitale e vivificante. Imparare l’arte dell’ascolto. Della Parola che giudica, anzitutto. Ma anche delle parole degli altri, di quanti, condividendo la stessa fede in Cristo, si pongono diversamente di fronte al mondo. Per questo, occorre far crescere autentici luoghi di confronto e di dialogo. La verità è sinfonica, titolava anni fa un libro di von Balthasar. L’unità intesa come comunione nella verità, dove le differenze non si scompongono e auto-isolano in rovinosi particolarismi, ma si saldano in una reciprocità che guarda sempre al bene più grande, cioè la verità piena, totale e armonica. Quando vengono a mancare questi presupposti, l’approccio alla verità diventa una “mono-fonia” – come sottolineava l’allora cardinal Ratzinger in una conferenza tenuta all’Accademia Alfonsiana il 21 maggio 1985 – anziché essere una “sin-fonia”; un canto omofono, invece che polifonico.

Com’è il nostro canto?

Daniele Rocchetti


Da www.santalessandro.org

07/03/2020 Categoria: Torna all'elenco