Lo spazio dell’amore
Per quanto possiamo cercare di migliorare noi stessi, di potenziare
le nostre capacità, addirittura di difenderci da ogni possibile
malattia, ci rendiamo conto che restiamo sempre limitati, imperfetti,
bisognosi di cure. Nasciamo proprio così, mancanti, incompleti, incapaci
di sopravvivere da soli. Chissà se in questa imperfezione originaria
non ci sia già scritto il mistero dell’amore. Sì, perché laddove tutto è
già a posto, laddove non ci sono imperfezioni e mancanze, difficilmente
ci può essere spazio per l’amore. In una coppia di persone perfette,
generalmente ci può essere competizione o indifferenza, ma difficilmente
troviamo l’amore.
Nella Bibbia leggiamo più volte che Dio non ha scelto un popolo
perfetto, grande e forte, ma una nazione piccola, povera, disprezzata.
Nonostante le nostre pretese, oggi continuiamo a trovarci davanti a una
Chiesa imperfetta, che molte volte attira la nostra condanna, eppure
proprio quell’imperfezione diventa lo spazio dell’amore.
Una Chiesa imperfetta
Anche alla fine del Vangelo, come leggiamo nel testo di questa
domenica, la Chiesa che viene inviata ad annunciare è una Chiesa
imperfetta. Fin dall’inizio ci aveva accompagnato la simmetria del
numero dodici: era l’ideale, il compimento del nuovo Israele, il modello
che prende corpo. Ma ora la Chiesa si trova sciancata, senza un pezzo,
barcollante, come un tempio greco senza una colonna: «Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato» (Mt 28,16).
È quella la Chiesa inviata ad annunciare l’amore di Dio. Una Chiesa
che si deve muovere: non può rimanere in Giudea, ma deve uscire,
camminare, arrivare fino in Galilea, dove trova un pubblico imperfetto,
poco ortodosso, lontano dai luoghi del potere politico e religioso.
A volte, anche noi preti, vorremmo delle assemblee perfette: quelle
che comprendono le nostre parole, ma non troppo per non farci
concorrenza, vorremmo delle assemblee affettuose, ma non impiccione,
vorremmo assemblee silenziose, ma anche gioiose. Invece ci troviamo
davanti sempre assemblee imperfette, come la Chiesa nascente, ed è
questa la Chiesa da amare.
La Chiesa che annuncia
La Chiesa inviata ad annunciare l’amore di Dio è una Chiesa che
dubita e persino un po’ ipocrita: «Quando lo videro, si prostrarono.
Essi però dubitarono» (Mt 28,17). C’è un atteggiamento esteriore che non
corrisponde alla predisposizione interiore. È la nostra imperfezione di
cristiani che continuano, fintamente convinti, nelle loro pratiche,
mentre nel profondo ci lacera il dubbio. È l’imperfezione di ogni
cammino spirituale, di ogni fede che si interroga, di ogni credente che
non può non sostare un po’ nella stazione del dubbio.
Quale amore annunciare?
Paradossalmente, solo questa Chiesa imperfetta può annunciare l’amore
vero, un amore che non è solitario, non è l’amore del numero uno, non è l’amore del motore immobile di Aristotele, beato nella sua perfetta solitudine, ma non è neanche l’amore del due,
l’amore adolescenziale, l’amore della coppia chiusa in se stessa, dove
io amo te e tu ami me e tutto il resto non esiste. Se l’amore dell’uno è
l’amore del narcisista, di chi non vuole chiedere, di chi si considera
l’origine e la fine del mondo, l’amore del due è l’amore della
reciprocità sterile, l’amore che non dà frutto e che ben presto si
svuota.
Amore trinitario
L’amore vero è quello dell’eccesso, l’amore fuori di sé, è l’amore
che si consegna ad altri e non resta chiuso né nell’isolamento né nella
reciprocità. Per questo l’amore vero può essere solo trinitario! È
l’abbraccio tra il Padre e il Figlio consegnato all’umanità. È lo spazio
della relazione tra il Padre e il Figlio dentro cui ogni uomo è
invitato ad abitare. È la comunione che non si esaurisce nella
reciprocità, ma che diventa dono per altri. Abbraccio, spazio,
comunione, nomi diversi per dire Spirito santo!
Provvidenziale imperfezione
La vana ricerca della forma perfetta ci allontana dalla pienezza
dell’amore perché ci chiude nell’isolamento dell’uno, nell’illusione di
prenderci cura in maniera assillante del nostro io. Altre volte, quella
vana ricerca della forma perfetta ci trascina nel vortice della
reciprocità, in cui l’uno diventa misura dell’altro senza arrivare mai
alla meta inesistente di un equilibrio consolidato. Non ci resta dunque
che amare l’imperfezione, perché solo quando avvertiremo una mancanza,
potremo essere riempiti.
Dio con noi
La promessa che accompagna tutto il Vangelo, dall’inizio alla fine, è
il desiderio di Dio di colmare con la sua presenza questa mancanza che
ci abita: il Vangelo di Matteo si apriva con il nome di Emmanuele, Dio che sta con noi, e si chiude con la promessa di Gesù: «Io sono con voi
tutti i giorni, fino alla fine del mondo!». Si tratta di una grande
inclusione, come un grande abbraccio, l’abbraccio di Dio, che tiene
insieme tutta la nostra vita. Dove c’è la presunzione della perfezione,
perciò, non ci può essere spazio per Dio, perché il nostro Io
occupa già tutto il nostro mondo. Riconosciamo allora il nostro limite e
presentiamolo al Signore, affinché sia Lui a colmarlo e a valorizzarlo
con la sua grazia.