"Capisci ciò che leggi?" - Lettura continua del Vangelo di Marco: Mc 8,34-9,1
Mc8,34Convocata
la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: "Se qualcuno vuol
venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.
36Infatti quale vantaggio c'è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?
37Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita?
38Chi si
vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione
adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui,
quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi".33Ma
egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse:
"Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo
gli uomini".
9,1
Diceva loro: "In verità io vi dico: vi sono alcuni, qui presenti, che
non morranno prima di aver visto giungere il regno di Dio nella sua
potenza".
Seguire
Cristo è una scelta libera perché è una scelta d’amore; e non vi
può essere amore senza libertà. Ma seguire Gesù è anche una
scelta scandalosa: significa croce assicurata per tutti,
indistintamente. Ed è su questo punto centrale e decisivo che
avviene lo scontro tra la vera fede o il rifiuto di essa.
La
vocazione definitiva del cristiano è la partecipazione alla morte e
alla risurrezione di Cristo per la salvezza propria e altrui.
Pietro
aveva proclamato che Gesù era il Cristo e sembrava quindi un
credente; in realtà non accettava il significato più profondo della
messianicità di Cristo: la croce.
La
fede è un modo di vivere, non di teorizzare; un modo di vivere e di
morire come Cristo. Ed è la morte il vertice della vita, perché
liberandoci completamente dall’egoismo, ci rende capaci del più
grande e definitivo atto d’amore per Dio.
La
croce che dobbiamo prendere e portare è la lotta continua contro la
nostra falsa autoaffermazione. La croce è il supplizio degli
schiavi. Il cristiano, come il Cristo, deve vivere come servo di
tutti e padrone di nessuno.
Rinnegare
se stessi è la piena realizzazione di se stessi; significa vincere
il falso io, l’egoismo, radice di tutti i mali. L’uomo sentendosi
piccolo, insignificante e stupido, vuole affermarsi facendosi ricco,
potente e orgoglioso. Ma è un inganno. Egli infatti si realizza solo
quando diventa come il suo Dio, di cui è immagine. E Dio è amore,
dono, servizio, povertà, umiltà.
La
salvezza dalla morte dipende dalla nostra presa di posizione nei
confronti di Gesù e del suo vangelo. Il nostro destino eterno è
legato alla nostra fedeltà o infedeltà alla sua parola.
Prendere
la propria croce significa fare proprio il destino di Gesù e
renderlo visibile di fronte agli uomini: un destino di morte e
risurrezione.
Salvare
la propria vita significa «vergognarsi di Gesù e delle sue parole
davanti a questa generazione adultera e peccatrice» (v. 38):
rinnegare lui anziché rinunciare a se stessi, preferire la propria
vita alla sua, i propri progetti e interessi personali all’impegno
per il suo vangelo e per il suo Regno.
La
vita è il bene supremo dell’uomo: non ha prezzo (vv. 36–37). Ora
chi ama la propria vita veramente, deve metterla al sicuro in Gesù.
«Dio ci ha dato la vita eterna, e questa vita è nel suo Figlio. Chi
ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita»
(1Gv 5,11–12).
Tra
gli ostacoli che impediscono all’uomo di prendere la sua decisione
in favore di Cristo c’è la vergogna. La vergogna è la paura di
essere derisi, emarginati e odiati (cf. Gv 15,18–25; 16,20). Il
cristiano autentico deve avere il coraggio di essere «diverso dal
mondo» per essere «simile a Dio». Il giorno del giudizio finale
tutti saranno giudicati secondo il vangelo di Cristo e non secondo le
massime del mondo. San Paolo ci ricorda: «Certa è questa parola: se
moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con
lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, anch’egli ci rinnegherà»
(2Tim 2,11–12).
«E
diceva loro: ‘In verità vi dico: vi sono alcuni dei presenti che
non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza’ «
(4,1). Non è una promessa di sfuggire alla morte fisica, ma una
certezza data al discepolo che, dopo aver condiviso con Cristo la
sofferenza e la morte, sperimenterà in modo decisivo la potenza
della sua risurrezione: «Se infatti siamo stati completamente uniti
a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua
risurrezione» (Rm 6,5).