Un pastore che sfida il deserto, una donna di
casa che non si dà pace per una moneta che non trova, un
padre esperto in abbracci. Le tre parabole della
misericordia sono il vangelo del vangelo. Sale dal loro
fondo un volto di Dio che è la più bella notizia che
potevamo ricevere.
C'era come un feeling misterioso tra Gesù e i peccatori,
un cercarsi reciproco che scandalizzava scribi e
sacerdoti. Gesù allora spiega questa amicizia con tre
parabole tratte da storie di vita: una pecora perduta,
una moneta perduta, un figlio che se ne va e si perde.
Storie di perdita, che mettono in primo piano la pena di
Dio quando perde e va in cerca, ma soprattutto la sua
gioia quando trova.
Ecco allora la passione del pastore, quasi un
inseguimento della sua pecora per steppe e pietraie. Se
noi lo perdiamo, lui non ci perde mai. Non è la pecora
smarrita a trovare il pastore, è trovata; non sta
tornando all'ovile, se ne sta allontanando; il pastore
non la punisce, è viva e tanto basta. E se la carica
sulle spalle perché sia meno faticoso il ritorno.
Immagine bellissima: Dio non guarda alla nostra colpa, ma
alla nostra debolezza. Non traccia consuntivi, ma
preventivi. Dio è amico della vita: Gesù guarisce
ciechi zoppi lebbrosi non perché diventino bravi
osservanti, tanto meglio se accadrà, ma perché tornino
persone piene, felici, realizzate, uomini finalmente
promossi a uomini.
La pena di un Dio donna-di-casa che ha perso una moneta,
che accende la lampada e si mette a spazzare dappertutto
e troverà il suo tesoro, lo scoverà sotto la polvere
raccolta dagli angoli più oscuri della casa. Così anche
noi, sotto lo sporco e i graffi della vita, sotto difetti
e peccati, possiamo scovare sempre, in noi e in tutti, un
frammento d'oro.
Un padre che non ha figli da perdere, e se ne perde uno
solo la sua casa è vuota. Che non punta il dito e non
colpevolizza i figli spariti dalla sua vista, ma li fa
sentire un piccolo grande tesoro di cui ha bisogno. E
corre e gli getta le braccia al collo e non gli importa
niente di tutte le scuse che ha preparato, perché alla
fedeltà del figlio preferisce la sua felicità.
Tutte e tre le parabole terminano con lo stesso
“crescendo”. L'ultima nota è una gioia, una
contentezza, una felicità che coinvolge cielo e terra:
vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si
converte, più che per novantanove giusti... Da che cosa
nasce questa felicità di Dio? Da un innamoramento, come
in un perenne Cantico dei Cantici. Dio è l'Amata che
gira di notte nella città e a tutti chiede una sola cosa:
«avete visto l'amato del mio cuore?».
Sono io l'amato perduto. Dio è in cerca di me. Se lo
capisco, invece di fuggire correrò verso di lui.
IL VANGELO ATTRAVERSO UN'IMMAGINE: David Lachapelle, Ultima cena, foto dalla serie Jesus is my homeboy, 2003. (
www.monasterodibose.it)

Questa fotografia è esagerata: nei colori, nelle movenze, nel
soggetto. Scuote l’occhio dell’osservatore, ci indigna la presenza di
questo Gesù un po’ troppo devozionale attorniato da uomini a metà strada
tra il cantante rap e il delinquente.
Se ci turba allora ha in parte raggiunto il suo scopo: stiamo
provando gli stessi sentimenti che provavano i farisei che guardavano il
rabbi Gesù e lo accusavano di farsi attorniare da gente davvero poco
raccomandabile.
Quale genitore non sarebbe preoccupato sapendo che il proprio figlio
frequenta gente del genere? Eppure Gesù nel vangelo di oggi ci sta
dicendo che è venuto per coloro che si sono persi.
Eccoci qui, noi osservatori “per bene” (uomini e donne rispettabili)
non ci mescoleremmo mai con gente di tal genere. Non siamo diversi dagli
scribi e dai farisei, quindi le parole di Gesù: “Io vi dico, vi è gioia
davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte” sono
proprio per noi.
David LaChapelle è un maestro della provocazione e dell’irriverenza. La sua carriera artistica nasce in quella fucina contemporanea che era la Factory di Andy Warhol. Anche se lui non accetta questa etichetta è evidentemente un esponente pop ovvero della cultura popolare e commerciale soprattutto americana.
Ogni particolare dei questa fotografia è estremamente ricercato. La
prima cosa che ci stupisce è la nitidezza dell’immagine, più vera del
vero (il termine tecnico per questo approccio è iperrealismo). I colori sono evidenziati in maniera estrema come in una pubblicità o in una foto da rivista patinata.
Il contesto che LaChapelle ha in mente è quello di una ultima cena,
utilizza degli espedienti ottici come la presenza del bacile in basso
(come nelle rappresentazioni rinascimentali del vangelo di Giovanni),
nella posizione dei commensali e nell’ambiente in cui avviene la scena
(sembra una scatola come nelle rappresentazioni delle formelle
medievali).
Quindi il nostro occhio riconosce questa rappresentazione come
familiare, ma non riusciamo ad accettare i commensali. Avremmo preferito
una rappresentazione classica, che ci avrebbe indotto meno a ragionare
sulla forza dirompente dell’azione di Gesù e di quello che il vangelo ci
ricorda.
Stanno bevendo della birra a buon mercato (“Ecco un mangione e un
beone”) e il Cristo è troppo stereotipato. E’ il Cristo che vorremmo,
quello chiuso in una nicchia che non turbi troppo la nostra vita. I
vangeli ci ricordano che Gesù è ben altro che una statua, è un uomo che è
stato capace di andare contro ogni pregiudizio, proprio quel
pregiudizio che emerge quando guardiamo questa foto.
L’espressione contemporanea in alcuni casi è dirompente perché ci
costringe a ragionare, ad ammettere che siamo nel torto, a concedere una
opportunità di ritorno a quegli uomini e quelle donne che non
accetteremmo mai.
Un ultimo accenno sul progetto fotografico di LaChapelle: il titolo di questa serie è Jesus is my homeboy, ovvero Gesù è mio amico, ma lo spiegherò meglio. Homeboy è una parola utilizzata nella cultura dei cantanti hip hop
americani, una espressione musicale alla quale sembrano appartenere
molti dei commensali della foto. Il termine indica una persona molto
vicina a te della quale puoi avere la massima fiducia, il migliore degli
amici, una persona sulla quale puoi davvero contare. Noi abbiamo piena
fiducia in Gesù oppure no?