di
Enzo Bianchi

Oggi il vangelo ci narra l’incontro tra Gesù e Zaccheo. È un testo
che raccoglie in sé nel frammento numerosi fili che attraversano la
trama complessiva del vangelo secondo Luca. Gesù è sulla via che dalla
Galilea sale verso Gerusalemme, la meta del viaggio da lui intrapreso
con grande decisione (cf. Lc 9,51).
Una tappa di questo viaggio è la città di Gerico, zona di confine della
provincia romana della Giudea. Mentre Gesù sta attraversando Gerico,
entra in scena un altro personaggio. Egli è “un uomo”, questa la sua
qualità primaria: l’evangelista la evidenzia subito, per chiarire ciò
che il protagonista principale del racconto, Gesù, vede in lui. Gesù sa
andare oltre l’opinione comune, è capace di sentire in grande, di vedere
in profondità: vede un uomo dove gli altri vedono solo un delinquente,
coglie in ogni suo interlocutore la condizione di essere umano, senza
alcuna prevenzione. Il suo nome è Zakkaj, che significa “puro,
innocente”: ironia della sorte oppure un altro particolare che ci dice
tra le righe ciò che solo Gesù sa vedere in lui? Quanto al suo mestiere,
non è solo un pubblicano, ma un “capo dei pubblicani”, l’emblema per
eccellenza del pubblico peccatore, arricchitosi grazie a un’ingiusta
condotta.
Zaccheo è consapevole di essere peccatore, di non avere meriti da
vantare. Non può affermare, come un altro ricco: “Ho osservato i
comandamenti fin dalla giovinezza” (cf. Lc 18,21).
Umiliato da questa condizione di disprezzato da tutti, ha nel cuore un
grande desiderio di conoscere il profeta e maestro Gesù, nella speranza
che l’incontro con lui possa cambiare qualcosa nella sua vita. Lo mostra
il suo comportamento: “Cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli
riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura”. Anche noi,
come lui, andiamo a Gesù e lo cerchiamo non in un’inesistente
perfezione, in uno splendore candido e luccicante, ma con i nostri
propri limiti, le nostre particolarissime tare e oscurità. O accettiamo
di andarci in questo modo, oppure, mentre sogniamo di farci belli per
accoglierlo, la vita ci scorre alle spalle senza che ce ne rendiamo
conto e così manchiamo inesorabilmente l’ora decisiva dell’incontro con
il Signore!
Certo, occorrono desiderio, passione per Gesù, in modo da assumere
con intelligenza questi limiti e poter portare anche quelli a lui. Tale
passione traspare dal comportamento di Zaccheo: “Corse avanti precedendo
Gesù e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché stava per
passare di là”. Quest’uomo passa avanti a Gesù: è un unicum nei vangeli, dove il discepolo sta sempre dietro a Gesù (cf. Lc 7,38; 9,23; 14,27),
alla sua sequela. Tale gesto apparentemente sfrontato narra in modo
icastico la verità di una parola paradossale di Gesù: “I pubblicani e le
prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31).
Per raggiungere il suo scopo, inoltre, Zaccheo non esita a rendersi
ridicolo agli occhi altrui. Si immagini la scena: un uomo noto, che ha
un certo potere, il quale si arrampica su un albero… Ed ecco un
improvviso ribaltamento: “Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo,
lo vide e gli parlò”. Zaccheo desidera vedere e scopre di essere visto da Gesù:
in questo incrocio c’è tutto il senso della vita cristiana. Noi
vogliamo vedere Gesù, ma è lui che ci vede, ci ama in anticipo, ci
chiama e ci offre la vita in abbondanza. D’altra parte, se è vero che
l’iniziativa è di Gesù ed è gratuita, si innesta però su una
disponibilità dell’uomo, a cui spetta la responsabilità di predisporre
tutto all’entrata di Gesù nella sua vita: se Zaccheo quel giorno non
fosse salito sull’albero, per Gesù sarebbe rimasto un anonimo in mezzo
alla folla!
Qui è necessario sostare pazientemente sulle parole di Gesù. Certo,
nella realtà la scena deve essersi svolta con una fretta dettata
dall’urgenza del momento. Ma nel narrare questo episodio Luca dosa
sapientemente le parole, per permettere al lettore di ogni tempo di
comprendere il valore paradigmatico di questo incontro: “Zaccheo, scendi
subito, perché oggi devo rimanere, dimorare a casa tua”.
“Zaccheo”: Gesù lo chiama con il suo nome proprio.
“Scendi”. È come se gli dicesse: “Torna a terra, aderisci alla terra:
lo straordinario ti è servito per un momento, ma ora fa ritorno alla
tua condizione quotidiana!”.
“Subito, in fretta”: non c’è tempo da perdere, l’occasione è da afferrare senza indugio!
“Oggi”: non ieri né domani. Parola chiave in Luca, dalla nascita di
Gesù quando gli angeli annunciano ai pastori: “Oggi, nella città di
David, è nato per voi un Salvatore” (Lc 2,11);
all’inizio della sua attività pubblica, quando nella sinagoga di
Nazaret pronuncia quella brevissima omelia: “Oggi questa Scrittura si
compie nei vostri orecchi” (Lc 4,21); poi alcune altre volte, fino all’ora della croce, quando Gesù dice al “buon ladrone”: “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43). Sempre noi incontriamo Gesù oggi!
“Devo, è necessario”: altra parola chiave (deî, che compare per ben 18 volte in questo vangelo, da Lc 2,49 fino a Lc 24,44). Esprime il modo in cui Gesù, nella sua piena libertà, va incontro alla necessitas umana e divina della passione, compiendo la volontà di salvezza di Dio per tutti gli uomini.
“Rimanere, dimorare” (non semplicemente “fermarmi”), come avviene per il Risorto con i discepoli di Emmuas (cf. Lc 24,29).
“A casa tua”: entrare nella casa di un altro significa condividere
con lui l’intimità; nello specifico, essendo Zaccheo un peccatore
pubblico, questo auto-invito di Gesù significa compromettersi in modo
scandaloso con il suo peccato.
Esaminate nel loro insieme, queste parole di Gesù mostrano anche una
grande delicatezza. Gesù non dice: “Scendi subito perché voglio
convertirti”, oppure, come forse avrebbe fatto il Battista: “Convertiti,
fai frutti degni di conversione (cf. Lc 3,8),
poi scendi e vedremo il da farsi”. No, chiede a Zaccheo di essere suo
ospite. Ovvero, si fa bisognoso, si “spoglia” per entrare in dialogo con
lui, parla il suo linguaggio, quello di chi era abituato a dare
banchetti e ad accogliere persone in casa propria per fare affari. E qui
sta per compiere l’affare della sua vita!
E così siamo giunti non solo al centro del nostro testo, ma al cuore
di una verità che, se ci crediamo davvero, può cambiare la nostra vita: non è la conversione che causa il perdono da parte di Dio, di Gesù, ma è il perdono che può suscitare la conversione! Si pensi alla parabola del Padre prodigo d’amore (cf. Lc 15,11-32):
il figlio minore, trovandosi in difficoltà, si era preparato il
discorso di circostanza, ma le sue parole gli muoiono in bocca quando
vede il padre che, “mentre è ancora lontano, lo vede, è preso da
viscerale compassione, gli corre incontro, gli si getta al collo e lo
bacia” (cf. Lc 15,20).
È in questo momento che è convertito, non in base a un suo programma di
conversione! Con il suo comportamento Gesù rivela un volto di Dio che
ci offre gratuitamente il suo perdono: se lo accogliamo, potremo anche
convertirci, non viceversa!
Lo dimostra la reazione di Zaccheo, che “scende in fretta e lo
accoglie pieno di gioia”, gioia che è un tratto caratteristico della
vita del discepolo di Gesù (cf. Lc 6,23; 8,13,
ecc.). Con questa annotazione il testo potrebbe concludersi: nel
mistero del faccia a faccia tra Gesù e Zaccheo si compirà la salvezza
per la vita di quest’uomo. Ma ecco che, come spesso è accaduto a Gesù, i
benpensanti non sopportano la sua libertà e non tollerano che egli si
rivolga di preferenza ai peccatori manifesti, narrando così il desiderio
di Dio di “salvare tutti gli umani” (cf. 1Tm 2,4), a partire da quelli
additati come “perduti” (cf. Lc 15,6.9.24.32).
Più volte nel vangelo secondo Luca Gesù è disprezzato dagli uomini
religiosi, che mormorano per il suo sedere a tavola con i peccatori (cf.
Lc 5,30; 15,1-2).
Nel nostro brano si registra addirittura una condanna generalizzata:
“Tutti mormoravano: ‘È entrato in casa di un peccatore!’”. Resta sempre
la possibilità di uno sguardo cattivo, che continua a vedere in Zaccheo
solo il peccatore e in Gesù solo un falso maestro…
La prima reazione a queste voci di condanna è di Zaccheo, che sta in
piedi, nella sua bassa statura, e parla con risolutezza. Gesù non ha
detto nulla a Zaccheo sulla sua ingiusta condotta di capo dei
pubblicani, ma la fiducia accordatagli da questo rabbi gli è sufficiente
per comprendere che deve cambiare radicalmente. Zaccheo allora,
restituito alla sua soggettività, parla rivolto a Gesù, che chiama
“Signore” (grande confessione di fede!), senza curarsi dei falsi giusti
che li accusano. Costoro peccano nel loro cuore e con il loro occhio
cattivo; lui si impegna a compiere un gesto concreto che riguarda le sue
ricchezze, e soprattutto riguarda gli altri, i destinatari del suo
peccato: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e,
se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”, ben oltre il
dovuto secondo la Legge. Il gesto di quest’uomo è all’insegna della
giustizia e della condivisione: questo il modo di impiegare le ricchezze
per un discepolo di Gesù.
A questo punto Gesù, rivolto al solo Zaccheo, fa un commento
articolato in due momenti. Prima dice: “Oggi la salvezza è avvenuta in
questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo”, cioè non solo un
uomo, ma anche un membro della comunità di fede, un figlio suscitato
dalle pietre del peccato (cf. Lc 3,8). E come si manifesta la salvezza, come avviene la storia di salvezza? Nella salvezza delle storie
di coloro che Gesù incontra. Sì, l’accoglienza della salvezza è ormai
direttamente accoglienza di Cristo stesso, è esperienza di chi incontra
Gesù, mette in lui la sua fiducia e si lascia da lui salvare.
Lo esprime bene il commento finale: “Il Figlio dell’uomo” – ossia
Gesù stesso che parla di sé in terza persona, prendendo una misteriosa
distanza da sé – “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. È
una parola che ne ricorda altre di Gesù: “Non sono venuto a chiamare i
giusti ma i peccatori” (Lc 5,32);
o la conclusione della parabola già citata: “Bisognava fare festa e
rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita,
era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32).
Di più, è un detto straordinario, che ricapitola e rilancia in avanti
questo brano, illuminando la nostra vita quotidiana. Ci dice infatti
che, come è entrata quel giorno nella vita e nella casa di Zaccheo, così
la salvezza portata dal Signore Gesù può entrare ogni giorno, ogni
oggi, nelle nostre vite. Il Signore ci chiede solo di aprire il nostro
cuore all’annuncio che ha la forza di convertire le nostre vite: egli “è
venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”, è venuto a offrirci
di vivere con lui, anzi di venire lui a dimorare in noi. Davvero
ciascuno di noi dovrebbe confessare: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per
salvare i peccatori e di questi il primo sono io” (1Tm 1,15)!
Il suo cercarci e il suo salvarci sono la nostra indicibile gioia, la
fonte della nostra possibile conversione. Anche quando ci sentiamo
perduti, mai dobbiamo disperare dell’amore misericordioso del Signore
Gesù, più tenace di ogni nostro peccato, più profondo di ogni nostro
abisso: con lui la salvezza è la possibilità di ricominciare a camminare
veramente liberi sulle strade della vita. Ciò che è accaduto quel
giorno a Zaccheo, può accadere anche a noi, oggi, grazie
all’incontro con Gesù. Questo oggi è sempre di nuovo possibile: niente e
nessuno può opporsi al perdono di Dio in Gesù Cristo, che ci consente
di ricominciare ogni giorno.
Il vangelo in poche parole

Mentre ti chiede di venire a casa tua, Gesù, come ha fatto con Zaccheo, ti chiama per nome. Tutti noi, Gesù chiama per nome. Il tuo nome è prezioso per Lui. Il nome di Zaccheo evocava, nella lingua del tempo, il ricordo di Dio.
Fidatevi del ricordo di Dio: la sua memoria non è un “disco rigido” che
registra e archivia tutti i nostri dati, la sua memoria è un cuore
tenero di compassione, che gioisce nel cancellare definitivamente ogni
nostra traccia di male. (papa Francesco)
Altri commenti affidabili, semplici, profondip. Ermes Ronchi:
Quando Gesù si autoinvita alla nostra tavola (testo)
p. Alberto Maggi:
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