«Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha
amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con
Cristo. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli,
in Cristo Gesù», annuncia san Paolo. Attenzione ai verbi! Non dice: "ci farà rivivere", ma «ci ha fatto rivivere»; non: "ci risusciterà e farà sedere nei cieli", ma «ci ha risuscitato e fatto sedere nei cieli».
Quello dell'apostolo è un messaggio tanto straordinario che ci sembra
inevitabile interpretarlo al futuro, cioè come a cose che verranno. Ma
esse sono al presente ed è così che dobbiamo accoglierle: in Cristo Gesù noi siamo già rinati e già risuscitati.
Cosa comporta questo per noi umili discepoli? Significa che il nostro compito non è quello di accumulare meriti per rivivere e risorgere (diremmo: per andare in Paradiso), ma quello di fare emergere la vita nuova che è in noi (il Paradiso che è in noi).
"Il
Paradiso che è in noi? Come si fa a parlare così?". Lo si fa con le
parole di Gesù: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare
l'attenzione, e nessuno dirà: "Eccolo qui", oppure: "Eccolo là". Perché,
ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!». È una precisazione
fondamentale che dà un'impronta diversa a tutta la nostra vita, e
concretamente al nostro cammino quaresimale. Se vogliamo approfondire il
nostro andare verso la Pasqua, non possiamo farlo con qualche preghiera
o qualche "penitenza" in più, ma portando dentro la vita di
ogni giorno qualche "spazio di cielo", cioè di quelle cose che san Paolo
definisce: «di lassù», perché impastate di amore di Dio.
Purtroppo le "penitenze", le piccole "rinunce" (i fioretti si diceva una
volta) non dobbiamo andarceli a cercare. Ce li offre la realtà. Da un
anno siamo dentro a questa pandemia che delude sempre tutte le nostre
previsioni che essa possa finire, e le attenzioni che dovrebbero servire
a sconfiggercela. Chi si sarebbe aspettata un'altra Pasqua vissuta in
mascherine, a distanza, e l'angoscia di tante persone che continuano ad
ammalarsi e a morire?
Il «ci farà rivivere» e il «ci ha risuscitato e fatto sedere nei
cieli» ci chiede e ci impegna a seminare in questa situazione così
oscura e nuvolosa tutti gli spazi di cielo possibili: testimoniare che
in Cristo Gesù siamo rinati a vita nuova, che in lui siamo risuscitati,
affrontando la vita - anche quella carica di difficoltà inedite come
quella attuale - da figli della luce e capaci di dare luce con le «opere buone che Dio ha preparato perché in esse camminassimo».
L'impegno è troppo pesante per le nostre spalle? Lo sarebbe se non ci
fosse accanto il Signore, anche quando non lo sentiamo o addirittura
dubitiamo che si interessi di noi. La prima lettura di questa domenica,
ci offre un esempio straordinario di come il Signore ci stia sempre
vicino, anche se, secondo il suo stile, in modo imprevedibile e
straordinario. Quando l'esilio in Babilonia ormai sembra irreversibile, un re pagano si sente comandato a rimandare i Giudei a Gerusalemme
e con parole profetiche ordina: «Il Signore, Dio del cielo, mi ha
concesso tutti i regni della terra. Egli mi ha incaricato di costruirgli
un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al
suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!».
«Salga!». Come tanti altri personaggi della Bibbia,
Ciro non poteva conoscere il senso vero e profondo di quello che diceva,
cioè che Gerusalemme non è soltanto una città, ma il simbolo della vita
nuova, della vita risorta, quella che sta sempre più in alto di dove
siamo arrivati. Perciò bisogna salire.
Il salmo di questa domenica, ci fa pregare: «Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre».
È forse il salmo più universalmente conosciuto, che ha ispirato artisti
di ogni tipo, come accade quando l'autore scova una verità che tutti
abbiamo dentro senza saperla esprimere, e perciò sentiamo nostra quella
di chi è riuscito a farlo. In questo caso la parola di Dio. Per quanto
stiamo bene su questa terra, non riusciamo mai a cancellare del tutto la
sensazione che il nostro posto definitivo non sia qui. Perciò dobbiamo
tornare. Dobbiamo salire. Non con la nostalgia, ma seminando in questa
terra straniera pezzi di patria, pezzi di cielo.