Dal discorso dell’ultima cena, la
liturgia odierna ha tratto la stupenda e commovente immagine della vite e
dei tralci, e del rapporto intrinseco che li lega (Gv 15,1-8). Un tralcio è dove la vite genera frutti, a patto di rimanere nella vite, che gli fornisce la linfa vitale. Ma questa generazione, per funzionare, esige che la vite sia “potata”.
Vivo vicino alle colline, e ricordo
molto bene la stagione della potatura primaverile, quando la vite
sembrava mortificata, ma si sapeva che solo a quella condizione
l’avremmo vista poi rigogliosa e carica di grappoli gonfi e numerosi. Il
seguito – «Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato» – va forse spiegato, perché se siamo già puri, siamo a posto. Fausti traduce «già mondi», e questo aiuta meglio a comprendere, perché il verbo mondare, che significa togliere escrescenze superflue e dannose, è più vicino al senso del verbo potare, l’azione che si richiede per ottenere una “purificazione”, e che si riferisce più a un mezzo che a un risultato.
E si capisce così che siamo già in stato di potatura
grazie al costante rimanere nella parola che ci è stata annunciata. E
qui torna utile un passo splendido di Giuliana di Norwich, che appare in
quella serie di capitoli dove la mistica illustra la sua teologia della
maternità di Dio che si realizza nel Figlio. Ecco quanto scrive: «Dio
vuole che aderiamo fermamente alla fede della santa Chiesa, trovando in
lei la nostra carissima madre, che ci consola e ci aiuta a capire, in
comunione con tutti i beati. Una singola persona, infatti, può sovente
spezzarsi se considera solo se stessa, ma l’intero corpo della santa
Chiesa non può né potrà mai spezzarsi. E perciò è cosa sicura, buona e
amabile, il volere con umiltà e con forza essere legati e uniti alla santa Chiesa, nostra madre, che è Cristo Gesù» (Una rivelazione dell’amore, c. 61, p. 280).
La maternità del Figlio, che qui non è
possibile illustrare nei magnifici sviluppi che le dà Giuliana (vedi cc.
58-63), non deve essere una glorificazione trionfalistica della Chiesa –
che sappiamo quante volte nella storia, di ieri e di oggi, si è
mostrata infedele a questa sua vocazione – ma piuttosto un’indicazione
di ciò che la comunità dei fedeli deve fare, in capite et in membris, come si è sempre ricordato in tempi di crisi quando si invocavano “riforme”.
A difetto di spazio, non trovo di meglio
che citare una frase della stessa Giuliana, dove tutto è detto in tre
sostantivi e quattro verbi: «La misericordia opera in quattro modi:
custodisce, sopporta/supporta, ravviva e risana, e tutto viene dalla
tenerezza dell’amore» (c. 48, p. 235-36).