La scuola della sofferenza
C’è una scuola non molto amata, ma resa obbligatoria dalla vita, una
scuola che tutti noi prima o poi dobbiamo frequentare, è la scuola della
sofferenza. È la scuola di quei tempi della vita da cui non possiamo
scappare, momenti che possiamo giudicare inutili, sprecati, e che invece
ci permettono di crescere. L’ingresso nella settimana santa costituisce
proprio l’inizio di questa scuola della sofferenza e apre un cammino
che ci permette di rileggere quei tempi di sofferenza che di tanto in
tanto siamo chiamati ad attraversare.
Imparare dal maestro
Non a caso il capitolo 50 di Isaia ci parla di un servo che diventa
discepolo, cioè che impara da un maestro. Dio è il maestro che ogni
mattina apre l’orecchio del discepolo e gli insegna a diventare servo,
un percorso che passa appunto attraverso l’accoglienza della sofferenza
nella propria vita. Ma il Signore è un maestro che non lascia solo il
discepolo, lo assiste, proprio perché conosce la debolezza del discepolo
e sa che ha bisogno di essere accompagnato.
La lettera ai Filippesi ci ricorda anche che è Gesù il primo a farsi servo e a entrare nella scuola della sofferenza: assume la condizione di servo e si fa obbediente fino alla morte.
La sofferenza non è un incidente di percorso, ma è quell’occasione di
grazia, mediante la quale possiamo crescere nella relazione con Dio.
La solitudine della sofferenza
Tra queste due letture, la liturgia di questa domenica colloca il
Salmo 21, di cui Gesù pronuncerà probabilmente alcune parole mentre è
sulla croce. Nella sofferenza la fiducia in Dio è messa alla prova. Chi
soffre si sente solo, perché si rende conto che nessuno può capire la
sua sofferenza fino in fondo. La sofferenza è sempre personale, non è
mai uguale alla sofferenza di un altro. Per questo, anche Gesù ha
certamente sperimentato questa solitudine della sofferenza, una
solitudine che ci chiede perciò di abbandonarci nelle braccia del padre
proprio nel momento in cui ci sentiamo abbandonati.
Le cose da imparare
È la consegna che Gesù fa di se stesso: sulla croce porta a
compimento quello che ha già anticipato nel Cenacolo. Già lì Gesù si è
consegnato pienamente: questo è il mio corpo. La grande fatica
dell’uomo è la disponibilità a stare nella sofferenza. Inevitabilmente
vogliamo fuggire. Mentre Gesù consegna se stesso, Giuda, al contrario,
pensando di eludere la sofferenza, consegna l’altro. È l’uomo che si
illude di evitare la propria sofferenza, facendola ricadere sull’altro.
Tutti abbiamo un capro espiatorio da consegnare, ma come mostra la
vicenda di Giuda, in realtà ogni uomo prima o poi incontra la sua
sofferenza senza poterla evitare.
La sofferenza ci fa paura perché la consideriamo come uno spreco,
vorremmo impiegare in altro il nostro tempo e le nostre energie. La
sofferenza è proprio come un vasetto di alabastro spaccato. Sembra
inutile, un gesto eccessivo e senza senso. E invece Gesù ci suggerisce
di imparare proprio dal gesto di quella donna, laddove gli uomini
presenti vorrebbero investire quel denaro in azioni più remunerative.
Tempo di verità
La sofferenza è anche un momento di verità. Tutti noi abbiamo
imparato che quando siamo nella sofferenza vengono fuori le relazioni
così come sono. Ci sono infatti coloro che ci abbandonano e ci lasciano
soli, ci sono coloro che vorrebbero affrontarla con la violenza di una
spada, ci sono coloro che approfittano di quella sofferenza, inveiscono,
esasperano, ci giocano. Se vuoi conoscere una persona, guardala mentre
sta davanti alla tua sofferenza.
Nella nostra sofferenza c’è anche chi, come il Cireneo, ne viene
coinvolto suo malgrado. Perché la sofferenza non è mai solo nostra, non
rimane rinchiusa dentro un contenitore personale, ma inevitabilmente
contamina la vita degli altri.
Ci sono però anche coloro che rimangono sotto la nostra croce e non
si allontanano. C’è persino chi, davanti alla sofferenza dell’altro,
trova un coraggio che non pensava di avere, come Giuseppe di Arimatea,
che si espone, andando a chiedere il corpo di Gesù. Il coraggio è uno
dei frutti della sofferenza.
C’è una pietra che apparentemente sembra mettere la parola fine a
questa storia. Invece, la sofferenza ha messo in moto un cammino, un
fiume di amore che non si ferma. Gesù ce lo ha ricordato più volte, ma
non sempre ricordiamo la sua parola: il chicco di grano è avvolto dalla
terra, ma molto presto fiorirà e la messe sarà abbondante. Allora,
finalmente, potremo tornare a gioire!