I discepoli erano chiusi in casa per paura. Paura dei capi dei giudei,
delle guardie del tempio, della folla volubile, dei romani, di se
stessi. E tuttavia Gesù viene. In quella casa dalle porte sbarrate, in
quella stanza dove manca l'aria, dove non si può star bene, nonostante
tutto Gesù viene. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e
c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse. La prima sua
venuta sembra senza effetto, otto giorni dopo tutto è come prima, eppure
lui è di nuovo lì. Secoli dopo è ancora qui, davanti alle mie porte
chiuse, mite e determinato come un seme che non si lascia sgomentare da
nessun nero di terra. Che bello il nostro Dio! Non accusa, non
rimprovera, non abbandona, ma si ripropone, si riconsegna a discepoli
che non l'hanno capito, facili alla viltà e alla bugia. Li aveva inviati
per le strade di Gerusalemme e del mondo, e li ritrova ancora
paralizzati dalla paura. In quali povere mani si è messo. Che si
stancano presto, che si sporcano subito. Eppure accompagna con
delicatezza infinita la fede lenta dei suoi, ai quali non chiede di
essere perfetti, ma di essere autentici; non di essere immacolati, ma di
essere incamminati. E si rivolge a Tommaso – povero caro Tommaso
diventato proverbiale. Ma è proprio il Maestro che l'aveva educato alla
libertà interiore, a non omologarsi, rigoroso e coraggioso, ad andare e
venire, lui galileo, per le strade della grande città giudea e ostile.
Gesù lo invita: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua
mano e mettila nel mio fianco. La risurrezione non ha richiuso i fori
dei chiodi, non ha rimarginato le labbra delle ferite, come ci saremmo
aspettati. Perché la croce non è un semplice incidente di percorso da
superare e dimenticare, ma è la gloria di Gesù, il punto più alto
dell'arte divina di amare, che in quelle ferite si offre per sempre alla
contemplazione dell'universo. È proprio a causa di quei fori nelle mani
e nel fianco che Dio l'ha risuscitato, e non già nonostante essi: sono
l'alfabeto indelebile della sua lettera d'amore. Gesù non vuole forzare
Tommaso, ne rispetta la fatica e i dubbi, sa i tempi di ciascuno,
conosce la complessità del vivere. Ciò che vuole è il suo stupore,
quando capirà che la sua fede poggia sulla cosa più bella del mondo: un
atto d'amore perfetto. Tocca, guarda, metti! Se alla fine Tommaso abbia
toccato o no, non ha più alcuna importanza. Mio Signore e mio Dio.
Tommaso ripete quel piccolo aggettivo “mio” che cambia tutto. Mio non di
possesso, ma di appartenenza: stringimi in te, stringiti a me. Mio,
come lo è il cuore. E, senza, non sarei. Mio, come lo è il respiro. E,
senza, non vivrei.