Io non lo conoscevo, ripete per due volte un assorto Giovanni Battista.
Lo stupore di domenica scorsa (Tu vieni da me?) gli ha spalancato un
mondo, un orizzonte, una comprensione del mistero di Dio totalmente
inattesa.
Credeva di sapere, credeva di credere, credeva di conoscere. Tutta la
sua vita si era consumata intorno a quell’attesa, a quella
preparazione, a quell’incontro. Tutta la sua credibilità, che attirava
folle dalla lontana Gerusalemme, che sapeva tenere testa alle spie
inviate dal Sinedrio per metterlo in difficoltà, era fondata su quella
coerenza radicale, quasi indisponente, brutale.
L’ultimo dei profeti, il più grande, il più epico, il più
irraggiungibile, ora è spiazzato. Perché solo i grandi uomini accettano
di farsi mettere in discussione anche quando credono di sapere. E magari
sanno veramente.
Eppure ammette, non gli importa di apparire stolto e di esplicitare un errore o una debolezza.
Io non lo conoscevo.
Ammette che esiste un prima, un avanti che il Nazareno conosce e lui non ancora.
Così è la nostra vita di ricerca. Così inizia questo tempo donato da Dio.
Senza sapere. Anche se già sappiamo. Senza sederci sulle certezze
acquisite, sulle cose donate e imparate, senza voler apparire arrivati o
sapienti.
Dio sa stupirci, se lo lasciamo fare.
Ho visto
Ho visto.
La conoscenza di Dio nasce sempre da un’esperienza. il vedere non è
solo un distratto guardare estetico, curioso, superficiale. È
l’atteggiamento di chi si pone davanti alla vita con mille domande, ma
non per il piacere di ascoltare il suono della propria voce, ma nella
consapevolezza che o siamo cercatori o non siamo.
Ho visto, dice Giovanni.
Ha visto Gesù venire verso di lui, dopo il Battesimo. Ha visto un Dio
che gli si fa incontro, presente, prossimo, vicino. Come abbiamo visto
noi, in questi brevi ed intensi giorni di Natale.
Abbiamo visto un Dio che diventa bambino, che ribalta le nostre
prospettive, che colma le nostre stalle, che si rivolge agli sconfitti
della storia. Abbiamo visto, se non ci siamo lasciati sopraffare
dall’inutile buonismo che emoziona e non converte, se non ci siamo
lasciati avvelenare dalla disperazione di chi ha vissuto questo giorni
da solo.
Se sappiamo alzare lo sguardo dalla disperazione, se lasciamo il
cuore e l’anima andare oltre l’apparenza di una festa diventata mondana,
anche noi vediamo il Signore venirci incontro.
È questo il cristianesimo: lo stupore di un Dio che prende
l’iniziativa, che annulla le distanze, senza porre condizioni, senza
chiedere nulla in contraccambio.
Ho testimoniato
Ho visto e ho testimoniato.
Nel vangelo di Giovanni, il cui autore, è bene ricordare, era uno dei
due discepoli del Battista che ha seguito il Maestro, il profeta non è
un precursore ma un testimone.
Possiamo testimoniare solo se sperimentiamo, non per sentito dire.
Possiamo testimoniare solo se ammettiamo di non conoscere e ci poniamo
all’ascolto, se ammettiamo di non conoscere a sufficienza. Giovanni
testimonia che ha scoperto in Gesù il Figlio di Dio. Non il Messia
vendicatore, non un grande uomo, non un profeta o un guru, non un autore
spirituale. Il Figlio di Dio, qualunque cosa questa affermazione
significhi. La comunità cristiana nascente che racconta questo episodio,
mentre Giovanni scrive, ancora non ha sviscerato le conseguenze di
questa affermazione. Dell’alta montagna ancora intravvede solo l’alta
cima innevata.
Ancora deve salire. Ma la direzione è quella.
Io vi rendo testimonianza. Io, Paolo.
Ho visto e ho testimoniato nella mia vita intensa, complessa,
contradditoria, densa, misteriosa, che Gesù è il Figlio di Dio. E ancora
vivo per capire la profondità di ciò che ho visto e che ancora devo
capire.
L’agnello
Ecco l’agnello che toglie il peccato del mondo.
La voce, ora, è a servizio della Parola. Lo Spirito la riempie di
significato. Illumina la comprensione di Giovanni, lo rende testimone.
Come accompagna noi alla comprensione. Questo Spirito che si posa su
Gesù e rimane, che dimora senza andarsene, che rimane per consolare, per
fare compagnia.
Gesù è l’agnello.
Non un leone, non un drago, non una vipera.
Un agnello mite e senza pretese. E tutte le idee di Dio che lo
mostrano come un orribile mostro sono visoni demoniache da cancellare e
dimenticare.
Un agnello come i tanti sacrificati duranti gli olocausti al tempio.
Come i tanti agnelli ancora oggi sacrificati nei nuovi templi
dell’interesse, dell’odio, della sopraffazione. Milioni di vittime
innocenti. Solidale per sempre, Gesù si schiera al fianco di chi è solo.
E toglie, cancella, elimina il peccato del mondo.
Non i peccati, quelli piccoli o grandi che possiamo commettere e che inevitabilmente commettiamo.
Ma il peccato. Quella distanza che ci allontanava inesorabilmente da
Dio. Non esiste più. Nulla ci può più separare da Dio. Perché questa
distanza è stata colmata.
Così la liturgia pone questa Parola all’inizio di questo anno.
Il Figlio di Dio che ci viene incontro, l’agnello che porta il
peccato, su cui dimora lo Spirito siamo chiamati ancora a conoscere,
ancora a vedere, ancora a testimoniare.
Il vangelo in poche parole
p. Ermes Ronchi:
p. Alberto Maggi:
sr. Mariangela Tassielli: