Parole da meditare: "Una nuova stagione di Chiesa". L'omelia del vescovo Oscar alla Messa crismale
Proponiamo l'omelia del vescovo Oscar alla Messa crismale celebrata in
cattedrale giovedì 28 maggio 2020. Mons. Oscar Cantoni, come molti
cristiani saggi, non vede il tempo che stiamo vivendo come una parentesi
da superare a testa bassa per riprendere senza indugio e senza pensiero
esattamente ciò che si faceva prima, ma come una nuova stagione
ecclesiale che lo Spirito ci dà per ripensare la nostra vita di comunità
e per dar corpo ad una Chiesa più povera di strutture e di progetti e
più centrata sull'essenziale, più in linea con il magistero del Concilio
Vaticano II e dell'Evangelii gaudium.
Cari fratelli presbiteri, membri della vita consacrata e voi tutti
che fate parte del popolo di Dio,
sia pure in forma ridotta e solo con
alcuni rappresentanti il presbiterio diocesano, i membri della vita
consacrata e le associazioni laicali, abbiamo ritenuto opportuno
ritrovarci qui, nella nostra cattedrale, per vivere questa santa
liturgia del Crisma, mentre a tutti è data la possibilità di seguirla
mediante il collegamento televisivo e via streaming.
Il coronavirus ci ha mortificato a tal punto da creare un clima di
paura e di insicurezza, di solitudine e di provvisorietà. Per il bene di
tutti, al fine di tutelarne la salute, abbiamo sospeso con rammarico
ogni tipo di celebrazione pubblica e i vari momenti comunitari. Ora ci è
data ora la possibilità di ripartire con la S. Messa, certo con tante
precauzioni, e sappiamo che non ovunque si sono potute riprendere le
diverse celebrazioni feriali e festive, là dove soprattutto è più
pericoloso che altrove organizzare momenti comunitari.
Abbiamo avvertito forte la mancanza delle nostre assemblee
liturgiche, soprattutto domenicali. Sentiamo vivo, perciò, il desiderio
di ritrovarci insieme come fratelli e affermare che la nostra unità,
fondata sulla comune vocazione ricevuta, è più solida dei pericoli che
ancora ci minacciano.
Il bisogno di sperimentare la gioia e la freschezza della comunione
fraterna e di godere della consolazione di Dio, frutto di questa
celebrazione, deve aiutarci a superare ogni esitazione. Anche le altre
Diocesi della Lombardia stanno vivendo, come noi, questo momento di viva
fraternità nel Signore, mediante questa celebrazione crismale, luogo in
cui viene distribuito nuovamente e con larghezza lo Spirito Santo, su
di noi e sulle nostre Comunità, attraverso l’Olio Santo, occasione
quindi di una nuova effusione che viene dall’alto e che rigenera noi
stessi e le nostre Comunità.
Il pericolo del contagio è sempre una eventualità a cui siamo tutti
personalmente esposti, ma a noi consacrati è chiesto una scelta
coraggiosa supplementare: quello di mantenerci sempre a disposizione del
nostro popolo di Dio.
Mi vengono in mente le parole forti del priore dei monaci
cistercensi di Tibherine, in terra d’Algeria, Christian de Chergé,
quando la comunità, minacciata dagli estremisti nella guerra civile,
deve decidere se restare in Algeria, in una situazione di grande
conflittualità e pericolo, o abbandonare il monastero per fare rientro
in Europa.
L’argomento che il priore adduce è espressione di una scelta precisa e
resa definitiva dalla comune vocazione stessa. Egli sottolinea: “la
nostra vita è già stata donata una volta per sempre. Perciò decidiamo
di restare, ben consapevoli del rischio che affrontiamo, ma in piena
fiducia nel Signore“.
Quante persone in questi mesi di pandemia hanno saputo rimanere al
loro posto per servire i fratelli ammalati. Penso con ammirazione ai
numerosi medici e infermieri, ma anche ai tanti generosi sacerdoti che
hanno condiviso la storia dei loro parrocchiani, esponendosi anch’essi
al rischio del contagio e accettando consapevolmente di dare la vita,
quale libera offerta sacrificale. Un esempio splendido anche per noi, a
volte timorosi e titubanti sulle scelte da compiere.
Il coronavirus ha stroncato tutti i nostri appuntamenti ben
congegnati, ha sospeso le attività, entrate nella nostra tradizione e
ritenute da noi ben consolidate. La storia di questi mesi ci ha
insegnato che non tutto era così indispensabile e urgente come credevamo
che fosse, che tante scelte di settore, che ritenevamo essenziali,
forse non lo erano proprio. Il Signore ci ha costretto ad una passività
totale per concentrarci sulle poche cose che contano, sorvolando,
invece, tante altre apparentemente fruttuose, ma solo da una prospettiva
umana.
Dobbiamo ammettere che certe nostre scelte passate, fatte in buona
fede certamente, erano solo dei semplici mezzi per far incontrare il
Signore e per costruire la comunione nel popolo di Dio attraverso di
esse. Tuttavia noi spesso, ciò erano solo dei mezzi, li abbiamo
scambiati per fini. E a volte i risultati sono stati deludenti!
La situazione attuale, ancora molto incerta, ci ha ridotti
all’essenziale, ci costringe a “navigare a vista”. Una consapevolezza ci
deve accompagnare, ossia che il Signore ci sta preparando una nuova
stagione di Chiesa, con scelte propositive radicalmente nuove, che
ancora non riusciamo nemmeno ad immaginare e che rivoluzioneranno il
nostro agire pastorale.
Ce lo conferma la storia della Chiesa. Ogni epoca ha espresso
qualcosa di radicalmente nuovo e la creatività del popolo di Dio ha
espresso forme inusitate a partire proprio dalle contingenze storiche.
Siamo sicuri che uscirà una nuova immagine di Chiesa: più povera, più
umile, meno dotata di strutture, ma forse più accogliente, non
giudicante, amica degli uomini e in cammino con loro a immagine di Gesù.
Ora la nostra domanda è comune: da dove ripartiamo e con quale spirito? Univoca deve essere la nostra risposta: Noi ripartiamo da Dio e dal suo disegno di salvezza per tutta l’umanità.
Molti sacerdoti, in questo tempo di pandemia, mi hanno confidato di
aver ripreso la preghiera in modo sistematico. Non una preghiera
frettolosa, magari al termine di una giornata fondata spesso sulla
vorticosa e logorante attività del ministero, con tanti compiti di
supplenza.
È certo che la nostra vocazione pone la preghiera al primo posto, essendo noi i primi intercessori a favore dell’umanità.
Ripartire da Dio significa mettere Dio al centro, dargli il primato,
così che i nostri fedeli possano anch’essi riconoscerlo come il Signore
della loro vita. Dio che non è al di fuori della nostra storia e del
nostro ambiente, che cammina con il suo popolo, che mantiene sempre le
sue promesse.
Chi prega si ritrova trasfigurato ad opera dello Spirito santo che
modella il cuore a immagine di Gesù, il pastore supremo e non configura
gli altri a se stesso o alle proprie parziali vedute. Chi prega viene
trasformato dallo Spirito Santo in una persona positiva; le sue parole
non esternano rabbia o una mentalità di chi ha perso entusiasmo e
vigore, ma “manifestano un clima di vita pacifica, gioiosa, calma,
conviviale e fraterna”. Chi prega avverte di respirare nella Chiesa e di
sentirsi espressione di Chiesa e non di sentirsi la “prima donna” che
vuole distinguersi con le sue personali intuizioni. Chi prega diventa
umile, compassionevole e ricco di misericordia. Chi prega diventa un
uomo di comunione, capace di soffrire con chi soffre e di gioire con chi
gioisce.
La gente deve cercarci non per tanti altri interessi, che non sono di
nostra competenza, ma per la nostra capacità di “dire Dio”, di
mostrarlo all’opera nella vita del suo popolo, di generare gesti di
misericordia, a immagine di lui.
Già oggi la gente è attratta in quei luoghi, in quelle comunità dove
l’annuncio del Dio trinitario è marcatamente visibile. A queste comunità
già i giovani accorrono.
A cominciare dalla cura della liturgia, adatta all’oggi, ricca, certo,
della tradizione ecclesiale, ma che non ci riporta indietro a un passato
che non tornerà più.
A partire dall’ascolto serio della Parola di Dio, dalla testimonianza
umile di una comunità veramente fraterna, che non significa perfetta, a
una accoglienza aperta a tutti, senza giudicare nessuno.
Concludo con una citazione della Evangelii Gaudium (279) di Papa Francesco che ben sintetizza quanto ho cercato di esprimervi. “A
volte ci sembra di non aver ottenuto con i nostri sforzi umani alcun
risultato, ma la missione non è un affare o un progetto aziendale, non è
neppure una organizzazione umanitaria, non è uno spettacolo per contare
quanta gente vi ha partecipato grazie alla nostra propaganda. È
qualcosa di molto più profondo, che sfugge ad ogni misura. Forse il
Signore si avvale del nostro impegno per riversare benedizioni in un
altro luogo del mondo dove non andremo mai… Impariamo a riposare nella
tenerezza delle braccia del Padre in mezzo alla nostra dedizione
creativa e generosa. Andiamo avanti, mettendocela tutta, ma lasciamo che
sia Lui a rendere fecondi i nostri sforzi come pare a Lui”.
+ Oscar Cantoni, Vescovo di Como
da www.settimanalediocesidicomo.it dove troverete la registrazione completa della celebrazione e alcune foto (dove potete vedere che era presente anche un illustre rappresentante sceso appositamente dalla valle).