È
risorto, il Signore.
Inutile
cercarlo fra i morti, inutile imbalsamarlo, inutile seppellire Dio.
È
una lunga festa di pietre rotolate, la Pasqua, un evento di massi
ribaltati, di definitività rimesse in discussione, di canti funebri
interrotti.
Ma,
lo viviamo sulla nostra pelle, ci vuole del tempo per convertirsi
alla gioia.
E
percorsi interiori, strade dell’anima tracciate dallo Spirito per
potersi finalmente arrendere all’evidenza.
È
qui, il risorto. Raggiunge Tommaso. E i discepoli di Emmaus. E noi.
Egli
vuole che nessuno vada perduto. Cerca ad una ad una le pecore
smarrite.
Smarrite
per il troppo soffrire. Per gli scandali suscitati da uomini di
Chiesa. Per la nostra stupida inclinazione all’autocommiserazione.
Viene,
conosce per nome ciascuno di noi.
E
non è come il pastore compassionevole di Luca, che si sfinisce
finché non ha ritrovato la pecora perduta. È muscoloso e
determinato, il pastore di Giovanni. Pronto a fare a pugni pur di
difendere le sue pecore.
Entra
dalla porta
Entra
dalla porta della nostra anima il pastore. Sa come entrare, abita la
nostra interiorità, la sua forza è nell’amore verso Dio e gli
uomini e la conoscenza che ha delle cose di Dio.
Altri
si mascherano, ingannano, sono dei mercenari. Ma solo a lui, al
pastore, stiamo a cuore.
Quanto
è vero!
Ancora
oggi molti si occupano di noi solo per interesse. Per vendere
soluzioni al nostro disagio, per proporci soluzioni improbabili, per
manipolarci e ottenere consenso.
A
chi sto davvero a cuore? A chi sta a cuore la mia felicità, sul
serio, in maniera disinteressata, solo per amore? I mercenari fingono
di occuparsi di noi ma, in realtà, si occupano solo del loro
interesse.
Intendiamoci:
nessuno può agire al posto nostro, nessuno può occuparsi di noi
meglio di noi stessi. Ma altro è farlo seguendo un Maestro, il
Signore, altro improvvisandosi per ciò che non si è.
Gesù
Risorto che proclamiamo Figlio di Dio, rivelatore del Padre, è
l’unico che sa dove condurci, l’unico che ci conosce più di
quanto noi stessi ci conosciamo.
Ci
spinge fuori
È
la voce che ci permette di riconoscere il pastore.
È
la Parola che vibra possente e vera in noi che ci permette di
distinguere il vero pastore dai mercenari. Quella Parola che ci
scuote, ci scruta, ci incendia, ci scompone, ci innalza, ci rianima,
ci svela, ci riempie. Quella Parola che meditiamo, amiamo,
celebriamo.
Se
la frequentiamo, se la amiamo, non possiamo sbagliare: è quella la
Parola, l’unica, che ci aiuta a riconoscere il vero Pastore.
Ci
chiama per nome, per rassicurarci.
Poi
ci caccia, ci spinge fuori.
Fuori
dall’ovile, fuori dalle certezze, fuori dalle piccole isole in cui
ci siamo nascosti.
Fuori
dalle sacrestie, fuori dalla curia, fuori dal nostro piccolo mondo
auto-referenziale.
Ma
anche fuori dalle nostre certezze incrollabili, dai nostri cammini
spirituali definiti e statici, inossidabili e puri. Fuori dalle
visioni piccine. Fuori.
Come
ci ricorda Papa Francesco. Dio abita le periferie.
La
porta delle pecore
Al
tempo di Gesù le pecore venivano radunate durante la notte e chiuse
in un basso recinto fatto di pietre accatastate. A volte, ad
aumentare un po’ la sicurezza, di aggiungeva una fila di rovi
spinosi, in modo da impedire ai ladri e ai lupi di accedere e di fare
scempio del gregge.
Il
recinto, normalmente, sorgeva nei pressi del villaggio e radunava le
pietre di numerosi proprietari. A turno, poi, questi si alternavano
per la veglia della notte: si ponevano nell’unica apertura del
recinto di pietre e, seduti, si appoggiavano con la schiena ad uno
stupite e con le gambe rannicchiate chiudevano il passaggio:
diventavano loro stessi la “porta” del recinto.
Impedivano
così ai malintenzionati di avvicinarsi.
Sul
fare del mattino, quando arrivavano i singoli proprietari, bastava
una voce per svegliare le proprie pecore che, a questo punto,
venivano lasciate passare per andare a pascolare.
Gesù
è quel pastore che passa la notte a vegliare, accovacciato
all’apertura del recinto di pietre, diventando egli stesso la porta
che lascia passare solo chi ha a che fare con le pecore e tiene
lontano i nemici, i briganti, i ladri.
Fino
a quando è lui a vegliare, fino a quando è lui il custode della
porta del nostro cuore no, non abbiamo nulla da temere.
Pastori
e guardiani
È
lui il Pastore. L’unico buono, l’unico bello,
come abbiamo cantato nel Salmo.
E
cerca guardiani e cani. Anime innamorate che lo aiutino a condurre,
lasciandosi condurre.
Così
siate, fratelli preti, così diventate, fratelli vescovi.
Guardiani
e cani che saltano festanti intorno all’unico Pastore.
Che
poi siate fragili, incoerenti, a volte burberi, poco importa.
Siate,
però, innamorati.
Per
farci innamorare.
Il vangelo in poche parole