Un gioco di specchi
Ci
sono persone che spendono la loro vita a svalutare gli altri. Per
andare avanti hanno bisogno di denigrare, nell’illusione che, abbassando
l’altro, loro stessi si troveranno più in alto. In realtà, gli altri ci
fanno sempre da specchio e il modo in cui entriamo in relazione svela
quello che invece vorremmo nascondere. La vita è decisamente un gioco di
specchi. L’evangelista Luca lo sa bene. Nel suo Vangelo infatti propone
continuamente dei doppi, persone opposte che, stando l’una davanti
all’altra, si svelano reciprocamente: Marta e Maria, Simone e la
peccatrice, il Fariseo e il Pubblicano.
Il Fariseo, l’uomo che deve mostrare sempre una facciata di
perfezione e di correttezza, ha paura di essere un peccatore come il
Pubblicano. Il Pubblicano, da parte sua, è talmente peccatore che non ha
la possibilità di nascondersi. Per allontanare da sé lo spettro del
fallimento e dell’errore, il Fariseo accentua i suoi comportamenti
irreprensibili, fino al punto però da non vedere più nient’altro che se
stesso.
La sfiducia negli altri
Il
Fariseo è l’uomo ossessionato dal proprio io. È talmente impegnato a
costruire la propria immagine che distrugge ogni possibilità di
relazione. Finisce pian piano con il restare solo, perché nessuno è
adeguato a stare alla sua presenza, nemmeno Dio! Nella sua preghiera, il
Fariseo si mette al posto di Dio, attribuisce a se stesso il nome che è
solo di Dio: “Io sono”.
Per convincersi della sua perfezione, il Fariseo che è dentro di noi
deve abbassare gli altri. Il confronto distrugge la sua sicurezza di
essere il migliore. Per evitare questo paragone, il Fariseo parte sempre
da un presupposto negativo sugli altri: tutti gli altri devono essere
considerati cattivi e inaffidabili, perché questo è il solo modo per
garantire la sua unicità.
E infatti dice di digiunare due volte alla settimana, sebbene la
legge prescrivesse di digiunare una sola volta all’anno, nel giorno
dell’espiazione (Lv 16,29). Ma il Fariseo digiuna anche per quelli che,
secondo lui, non lo fanno. Allo stesso modo dice di pagare la decima su
tutto, ma la legge prevedeva la decima solo su quello che viene venduto
(Dt 12,17). Il Fariseo paga infatti la decima anche su quello che
compra, nell’eventualità che chi gli ha venduto la merce non l’abbia
fatto come avrebbe dovuto.
Nel suo delirio di perfezione, il Fariseo va a coprire tutti i
possibili spazi vuoti lasciati dall’imperfezione degli altri. Una vita
ossessionata dall’immagine della propria perfezione non può certo essere
una vita riconciliata.
Riconoscere il proprio limite
Al
contrario, il Pubblicano vede la sua vita così com’è. Il suo peccato è
evidente, non saprebbe dove nasconderlo: le sue mani sono sporche dei
soldi delle tasse, raccolte per di più in nome degli stranieri che
opprimono il suo popolo, e sicuramente approfittando e rubando. Il
Pubblicano si lascia vedere anche da Dio così com’è. Riconosce i suoi
limiti, li accoglie, sa chiedere aiuto.
Chi riconosce il suo limite permette alle relazioni di vivere: il
Pubblicano si ferma a distanza, cioè riconosce di stare alla presenza di
un altro. Nel suo linguaggio l’Io lascia il posto al Tu. Riconoscere il
proprio peccato, ci mette già in relazione con Dio. Per questo motivo,
la vita del Pubblicano è una vita riconciliata.
Il modo in cui entriamo o meno in relazione con gli altri ci rivela,
racconta molto di noi, al di là di quello che diciamo con le parole. La
nostra vita parla. Gli altri ci fanno inevitabilmente da specchio e non
ci servirà a nulla provare a distruggerli solo per non sentirci dire che
non siamo i migliori.
Il vangelo in poche parole