Stando alla lettera del quarto Vangelo Giovanni Battista non compie alcun gesto per additare Gesù,
fissa solo lo sguardo su di lui e ripete la frase già pronunciata il
giorno prima: «Ecco l’agnello di Dio» (Gv 1,36; cf. 1,29). Tuttavia nell’iconografia la figura del Precursore più volte è caratterizzata proprio dall’indice.
Il gesto è però raffigurato in maniere molto diverse; un conto è il
dito del Giovanni giovane nel quadro di Leonardo, tutt’altro quello dipinto (nello stesso giro di anni) da Matthias Grünewald
per l’altare di Isenheim. In esso Giovanni Battista è collocato in modo
anacronistico in una scena di crocifissione. Al centro c’è Gesù in
croce, alla sua destra Maria, Giovanni evangelista che la sorregge e una
piccola Maria Maddalena; la sinistra è invece tutta occupata da Giovanni Battista, raffigurato con in mano un libro aperto e ai piedi un agnello, ritto anche se sgozzato, il cui sangue, uscendo dal petto, è raccolto in un calice.
Tra le sei figure la più sorprendente è quella del Battista. Essa non
compare di norma nelle crocifissioni. La ragione dell’assenza è
intuibile: il Precursore fu ucciso all’inizio dell’attività pubblica di
Gesù (cf. Mt 14,1-11); all’epoca della crocifissione era quindi morto da
tempo. La sua presenza è irrealistica e perciò dotata di valori
simbolici. Nella pala quanto colpisce, fin dal primo sguardo, in
Giovanni Battista è lo sproporzionato indice della mano destra proteso in direzione del Crocifisso: siamo di fronte a un gesto che si trasforma in testimonianza.
Nel momento supremo il Battista indica a tutti la realizzazione di
quanto aveva detto ai suoi discepoli: «Ecco l’agnello di Dio!» (Gv
1,29.36).
Nell’altare di Isenheim, per comprendere la testimonianza di Giovanni
Battista, si deve far riferimento, oltre che al dito proteso, ad altri tre elementi propri di questa figura: il libro, la scritta che si legge tra il volto e la mano di Giovanni, e appunto l’agnello.
Il libro, secondo la consueta interpretazione iconografica cristiana,
rappresenta l’Antico Testamento, le cui profezie si sono realizzate in
Gesù.
Il carattere della testimonianza di Giovanni Battista si fa più
preciso guardando alla scritta dipinta tra il volto e la mano protesa.
Non si tratta, come ci si potrebbe attendere, di «Ecco l’agnello di
Dio». Le parole sono altre: «Illum oportet crescere, me autem minui» («Egli deve crescere e io invece diminuire», Gv 3,30). Accurati studi hanno posto in luce la molteplice simbologia dell’altare,
a cui non è estranea neppure la suggestiva costatazione che la festa di
san Giovanni Battista cade il 24 giugno, subito dopo il solstizio
d’estate; da allora in poi i dì diminuiscono fino a giungere a Natale,
pochissimi giorni dopo il solstizio d’inverno, quando le ore di luce
iniziano ad allungarsi: il primo dunque diminuisce, mentre Gesù, il sole
destinato a splendere sul mondo, comincia a crescere (cf. Agostino Sermones, 287,4).
Nel quarto Vangelo il Battista non battezza Gesù, lo indica attraverso parole trascritte dall’iconografia in un linguaggio gestuale. Nella vita comune il gesto di additare
contraddistingue, per lo più, una mancanza di rispetto e, nei casi più
gravi, è segno di ludibrio e di disprezzo. In Giovanni è tutto il
contrario. Ciò, in un certo senso, può avvenire anche in ciascuno di noi
se assumiamo la logica di diminuire in favore di colui che additiamo
come esempio.
Nel Vangelo si tratta però di molto di più che un esempio da imitare: Giovanni attesta il compito peculiare dell’agnello, il solo capace di togliere il peccato del mondo.
Nel farlo accetta che i propri discepoli lo lascino per andare da chi è
più grande (Gv 1,37). Per i suoi seguaci è giunto il tempo di diventare
discepoli del Messia (cf. Gv 1,40-41). Lui diminuisce affinché
l’«altro» cresca. Quello del Battista è un indice umile, che prolunga la
propria testimonianza oltre la sua morte per giungere fino ai piedi
della croce.
Il vangelo in poche parole