Quante
volte, anche nella nostra vita, si ripete la scena presentata dal
Vangelo di Giovanni (Gv 11,1-45): una persona – Lazzaro – si
ammala gravemente e muore, mentre i suoi parenti, aggrappandosi
tenacemente alla fede, invocano la presenza di Dio, perché guarisca
e faccia vivere. Spesso però coloro che lo hanno invocato finiscono
col dire: «Signore, se tu fossi stato qui…» (Gv 11,21).
La
malattia fa il suo corso, la morte dice la sua determinante parola e
la nostra fede resta muta, gravemente colpita da ineluttabili eventi.
Cosa può dirci il Vangelo in situazioni simili? In cosa e come può
essere davvero buona notizia?
C’è
un elemento che svetta con particolare intensità e che può
diventare ossigeno per la nostra fede: il Signore soffre con noi,
resta con noi quando tutto sembra ormai senza speranza, offre ai
nostri orizzonti umani nuove prospettive. La sofferenza e la morte
sono forse la più vera e solenne chiamata che la vita ci rivolge. È
in quel momento che possiamo decidere chi essere e a cosa dare
valore.
Maria,
chiamata da Gesù, corre verso di lui e si butta ai suoi piedi. Marta
esce dalla sua casa, dal suo dolore, da se stessa e va verso di
lui, certa di trovare una risposta.
Come
loro anche noi, anche in quei momenti di massima disperazione siamo
chiamati a uscire da noi stessi per andare verso Dio, per
permettergli di spalancare in noi nuovi orizzonti. Forse lo faremo
con paura, forse con disperazione, forse con le lacrime strozzate in
gola e senza neppure un filo di speranza… ma quello sarà il
momento in cui dire: «Signore, io credo!». Sarà la goccia di
rugiada che farà fiorire il nostro deserto.
Signore,
facci vivere!
Signore, facci vivere!
Sono tante le
situazioni che uccidono e feriscono,
ma tu, Signore, facci
vivere.
Quando la malattia attacca e la morte dice l’ultima
parola,
noi sperimentiamo impotenza e dolore,
ma tu,
Signore, facci vivere.
Ogni giorno, in ogni istante,
tu, vita del
mondo: facci vivere!
Amen.
Il vangelo in poche parole