«insegnava»;
«insegnamento»; «insegnava come uno che ha autorità»; «un
insegnamento nuovo dato con autorità»: in poche righe il vangelo
secondo Marco ripete con ritmo martellante termini legati
all’insegnare e alla modalità autorevole con
cui il rabbi di Nazareth si poneva. Si
sta cominciando
a raccontare la cosiddetta giornata di Cafarnao, strumento narrativo
in cui l’evangelista condensa la complessità e il significato del
ministero pubblico di Gesù.
Alle
orecchie ebraiche dei destinatari dello scritto di Marco non
occorreva specificare ciò che Gesù
insegnava. Non
era la matematica ma l’insegnamento per eccellenza, la “Torah”.
Nel
suo significato più stretto è
il nucleo più vincolante e solenne della Bibbia ebraica, i primi
cinque rotoli, più in generale la Parola di Dio che si manifesta sia
negli scritti che oralmente. “Torah”, spesso tradotto con “la
Legge”, più
letteralmente significa
appunto “l’insegnamento”.
Nella
scena della sinagoga di Cafarnao Gesù stupisce tutti non tanto per
ciò che insegna o per i gesti che fa. La
gente presente lo ha
percepito, in maniera non
consapevole, come la
Torah in persona che parla e ordina (addirittura agli spiriti impuri
radicati dentro l’uomo), qualcosa
dentro di loro misteriosamente
lo sente come Dio che si
rivela. Non commenta, magari pure in maniera saggia e competente, un
messaggio di altri come gli scribi o come chiunque non sia Dio. Egli
non porta una Parola. Egli è la Parola.
Tutto
ciò che succede in quel sabato a Cafarnao rimane sospeso
e misterioso e suscita attrazione e domande. I
«Che è mai questo?» e «Chi è costui?» percorreranno tutta la
prima parte del vangelo e troveranno risposta solo nei pressi di
Cesarea di Filippo sulla bocca di Pietro.
Il vangelo in poche parole