Il vangelo odierno ci presenta l’austera figura di
Giovanni Battista, cugino di Gesù e suo Precursore. Egli vive nell’aspro
deserto della Giudea, la regione sassosa e brulla che, ad est
dell’altipiano omonimo, scende verso la vallata del Giordano e il Mar
Morto. Si nutre di cavallette arrostite e miele selvatico, una sorta di
resina che si trovava nella corteccia degli alberi, “selvatico”, cioè
non toccato da nessuno, non contaminato da mani impure; è lo scarso cibo
che offre il deserto, dieta spartana e insolita, che ricorda la
capacità dei profeti del Primo Testamento di sopravvivere con poco cibo.
E soprattutto porta un abbigliamento che – come sempre nella Bibbia –
non ha valore solo materiale, ma simbolico, come ben spiega Mons.
Ravasi: “Giovanni indossava solo una rozza tunica di peli
di cammello stretta da una cintura di pelle. Era l’abbigliamento tipico
dei nomadi che usavano tessuti di pelo di cammello o capra, compatti
contro la pioggia e il freddo invernale, aerati e porosi col
caldo…..Questa tunica di peli però non rimanda solo all’abbigliamento
beduino, ma anche all’abito del profeta, che anticamente indossava come sua insegna specifica >, secondo la testimonianza di Zaccaria (13,4)………………
Nell’abbigliamento del Battista c’è poi una cintura
di pelle, [un altro segno di riconoscimento del profeta e in
particolare di Elia], una fascia stretta che serviva anche per
rimboccare la veste durante le marce, come ricorda l’espressione , tipica dell’esodo di Israele dalla schiavitù d’Egitto e della festa di Pasqua. E anche questo capo rimandava all’abbigliamento profetico
come è attestato per Elia (2° Re 1,8)……… Interessante è il significato
simbolico della cintura: l’Emmanuele, re-Messia, avrà come cintura la
giustizia…e il cristiano dovrà cingere< i fianchi con la verità>.” (G. Ravasi, Secondo le Scritture, Anno A, pp.17-19 passim).
Evidente è il rapporto di Giovanni Battista con
Elia, che il 2° libro dei Re ci descrive abbigliato come il Precursore.
Secondo la tradizione giudaica (cfr. Malachia 3,23) il ritorno di Elia
doveva preludere all’intervento definitivo di Dio nella storia umana,
l’invio del Messia. Effettivamente Giovanni è il “nuovo Elia”, come
avrebbe riconosciuto Gesù stesso (Matteo 11,14: “E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire”), è l’ultimo dei profeti del Messia e perciò il più importante; in lui si compie il ministero profetico. Altissimo era il suo compito: preparare la strada all’Inviato di Dio.
Nell’antichità, quando un personaggio importante
stava per giungere in una città in visita ufficiale, occorreva un
corriere-araldo per precederlo e invitare la popolazione a uscirgli
incontro, a riparare strade e ponti per il suo passaggio. Gerusalemme
era circondata dal deserto: a oriente le strade di accesso, appena
tracciate, erano facilmente cancellate dalla sabbia mossa dal vento,
mentre a occidente le vie di ingresso si perdevano fra le asperità del
terreno degradante verso il mare. Quando un corteo o un personaggio
importante doveva giungere in città, bisognava andare nel deserto per
tracciare una strada meno provvisoria; si tagliavano gli sterpi, si
colmava un avvallamento, si spianava un ostacolo, si riattivava un ponte
o un guado.
E’ esattamente a questo che il Battista si riferisce, quando, riecheggiando Isaia, esclama: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!”.
Egli è il profeta dell'Altissimo per eccellenza perché - se gli altri profeti annunciavano Colui che doveva venire - il Battista fu testimone della sua venuta.
Nessun altro profeta aveva detto che era vicino: lo avevano annunciato
sì, ma come ancora lontano. Mentre il Battista annuncia l'avvento di
qualcuno che non solo verrà, ma che è già arrivato ed è "Colui che viene dopo di me". Il Battista è l’ultimo profeta che si situa al punto di congiunzione tra Antico e Nuovo Testamento.
Egli è quell’araldo solenne che annuncia la realizzazione di una lunghissima attesa: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”
“Convertitevi” – E’ la condizione richiesta per prendere parte alla nuova possibilità aperta dalla venuta del Regno: convertirsi, “metanoein” nell’originale greco (= cambiare mentalità), non è solo riconoscimento dei propri errori, ma cambiamento radicale, di mentalità, pensiero e comportamento, che ha un parallelo nel classico verbo dell’ebraico antico (“shub” = ritornare), per indicare, secondo la predicazione dei profeti, il ritorno a Dio, da cui ci si era allontanati con il peccato (cfr. Ger.8,6 e Osea 14,2-3).
Quello di Giovanni è l’antico appello dei profeti
alla conversione, alla rottura col passato empio e peccaminoso,
all’orientamento verso Dio. Ma il suo appello è ancora più categorico di
quelli precedenti, perché sottostà al prorompere urgente della
rivelazione escatologica (cioè degli ultimi tempi) di Dio. E’ conversione una volta per tutte, senza false apparenze (vedi farisei e sadducei) ed è conversione di tutti. Conversione come cambiamento di vita dall’interno e sua verifica in una vita che le corrisponda alla perfezione, con “frutti degni della conversione” (v.8), cioè una vita di carità e giustizia.
Perché è necessaria la conversione?
Perché, al contrario delle aspettative del tempo, l’avvento della
signoria di Dio non consiste in un folgorante intervento storico divino
che abbatta l’odiato dominio romano, ma si affida alla libera accettazione dell’uomo;
di conseguenza la sua instaurazione non sarà trionfale ed evidente per
tutti, ma lenta e soggetta a difficoltà ed ostacoli, quelli del nostro
cuore, simboleggiati dalle vie storte.
La conversione ha un suo importante atto
corrispettivo nel battesimo amministrato da Giovanni con le acque del
Giordano. Il rito di Giovanni ricorda da vicino i bagni rituali degli
Esseni, come anche il “battesimo” dei proseliti del giudaismo tardivo.
E’ da notare che Matteo si allontana dalla tradizione ricordata in Marco
1,4 e Luca 3,3 (“Giovanni predicava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati”), visto che la remissione dei peccati è conseguenza non del battesimo di Giovanni, ma del sacrificio di Cristo: “questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati” (Mt.26,28), dice Gesù nell’Ultima Cena, con un’espressione che, tra l’altro, è solo di Matteo.
“Regno dei cieli”
è una tipica espressione del 1° evangelista, che ricorre 33 volte nel
suo vangelo, un modo di dire giudaico che, in segno di rispetto,
sostituisce “cieli” al nome di Dio; in pratica, equivale alla forma
“regno di Dio” usata dagli altri vangeli.
Il “regno dei cieli” (cioè “di Dio”) è Gesù stesso e la salvezza che avrebbe donato agli uomini; e dunque è giustizia, gioia, pace, amore, verità, benevolenza, solidarietà, fratellanza, rettitudine, bontà.
Anche ciascuno di noi, in questo nuovo dono dell’Avvento, è
chiamato a “fare deserto” nella propria vita, ad alimentarsi in maniera
sobria ed essenziale, ad ascoltare con maggiore impegno la Parola, a
convertirsi e a fare veri frutti degni di conversione.
Avvento e fotografia: Raymond Depardon, Berlino Est, il muro tra la Porta di Brandeburgo e Potsdamer Platz, 11 novembre 1989.
(da www.monasterodibose.it)
“Jean-Pierre Montagne, capo del dipartimento fotografico di
Liberation, mi aveva contattato per dirmi della caduta del Muro e
chiedermi di recarmi sul posto immediatamente per fotografare l’evento.
La città era come una terra di nessuno. Il muro cadde la notte del 9
novembre 1989, ma tutti i fotografi arrivarono il giorno dopo, il 10.
Scattai la foto del ragazzo sul muro l’11 novembre. Il muro non era
ancora caduto del tutto e le sue rovine simboliche erano ancora là. A
metà del rullino mi concentro su un giovane, un punk della zona Ovest
che all’improvviso comincia a urlare. Così cattura la mia attenzione.
Lui urla, io afferro la macchina e scatto.” Così Raymond Depardon
racconta la nascita di questa immagine. E’ una di quelle immagini
imprescindibili della storia europea contemporanea.

Che cosa la rende tanto interessante ai nostri occhi? Che cosa rende
questa immagine iconica? La maestria di selezionare l’inquadratura
adatta a valorizzare il soggetto e il contesto. Nelle foto precedenti e
successive a questo scatto l’inquadratura è satura di persone che sono
ai piedi del muro e guardano il ragazzo. L’occhio non sa dove
soffermarsi ci sono troppi elementi che lo richiamano. Questa foto
invece pone il soggetto al centro dell’immagine (riga verde della
composizione) tra due campi: un pieno sottostante e il vuoto del cielo
dove la potenza dell’urlo si amplifica.
Ho riprodotto con delle righe tratteggiate bianche per capire meglio
come in un attimo l’occhio attento del fotografo è riuscito a
“inquadrare” il soggetto dando equilibrio a tutta l’immagine.
In più l’inquadratura sottolinea in maniera forzata le linee di fuga
marcatamente oblique (linee rosse della composizione). Questo senso
prospettico fa immaginare al nostro occhio la direzione dell’urlo del
giovane che ho sottolineato con la linea gialla tratteggiata. In questo
caso non c’è nessun oggetto fisico che segna questa linea, ma il volto e
lo sguardo del giovane rendono chiara la direzione.
La didascalia di questa doto potrebbe essere : “In quei giorni venne
Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo:
«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è
colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: Voce di uno
che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi
sentieri!”.
Un urlo liberatorio perché la liberazione sta arrivando, il muro sta
cadendo e allo stesso tempo un urlo di rabbia verso tutto ciò che fino a
quel momento ha impedito che crollasse. E' una gioia tale che tutti
devono accorrere, tutti devono sapere: la libertà è vicina! C’è speranza
nei suoi occhi, qualcosa di incredibile sta avvenendo, la storia sta
cambiando, e lui lo sta vedendo. Vicino alle sue mani c’è un martello
con il quale martellare il simbolo della divisione di una città.
La sua è una posizione in bilico precisamente al di sopra di uno
spartiacque: questo è Giovanni, seduto sul fronte che divide la storia
di Israele tra ciò che è prima e ciò che è dopo l’avvento del Messia.
Anche questo giovane sta dando una direzione attraverso il suo sguardo e
il suo urlo: c'è già qualcosa che va oltre quello che sta vivendo. Così
come Giovanni indica qualcuno che verrà dopo di lui. Come questo
giovane anche Giovanni è carico di speranza per ciò che avverrà. Saldo,
ma allo stesso tempo sempre a rischio di cadere. E’ l’incertezza di chi
apre una nuova strada, di chi deve affidarsi perché qualcosa “proprio
ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is 43,19).
p. Ermes Ronchi:
p. Alberto Maggi:
sr. Mariangela Tassielli: