Io sono il pane disceso dal cielo. In una sola frase Gesù raccoglie e
intreccia tre immagini: pane, cielo, discendere. Potenza della scrittura
creativa dei Vangeli, e prima ancora del linguaggio pieno di
immaginazione e di sfondamenti proprio del poeta di Nazaret. Io sono
pane, ma non come lo è un pugno di farina e di acqua passata per il
fuoco: pane perché il mio lavoro è nutrire il fondo della vita. Io sono
cielo che discende sulla terra. Terra con cielo è giardino. Senza, è
polvere che non ha respiro. Nella sinagoga si alza la contestazione: ma
quale pane e quale cielo! Sappiamo tutto di te e della tua famiglia...
E
qui è la chiave del racconto. Gesù ha in sé un portato che è oltre.
Qualcosa che vale per tutta la realtà: c'è una parte di cielo che
compone la terra; un oltre che abita le cose; il nostro segreto non è in
noi, è oltre noi. Come il pane, che ha in sé la polvere del suolo e
l'oro del sole, le mani del seminatore e quelle del mietitore; ha patito
il duro della macina e del fuoco; è germogliato chiamato dalla spiga
futura; si è nutrito di luce e ora può nutrire. Come il pane, Gesù è
figlio della terra e figlio del cielo. E aggiunge una frase bellissima:
nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato.
Ecco una nuova immagine di Dio: non il giudice, ma la forza di
attrazione del cosmo, la forza di gravità celeste, la forza di coesione
degli atomi e dei pianeti, la forza di ogni comunione. Dentro ciascuno
di noi è al lavoro una forza instancabile di attrazione divina, che
chiama ad abbracciare bellezza e tenerezza. E non diventeremo mai veri,
mai noi stessi, mai contenti, se non ci incamminiamo sulle strade
dell'incanto per tutto ciò che chiama all'abbraccio. Gesù dice: lasciate
che il Padre attiri, che sia la comunione a parlare nel profondo, e non
il male o la paura. Allora sì che “tutti saranno istruiti da Dio”,
istruiti con gesti e parole e sogni che ci attraggono e trasmettono
benessere, perché sono limpidi e sani, sanno di pane e di vita. Il pane
che io darò è la mia carne data per la vita del mondo. Sempre la parola
“vita”, martellante certezza di Gesù di avere qualcosa di unico da dare
affinché possiamo vivere meglio. Ma non dice il mio “corpo”, bensì la
mia “carne”. Nel Vangelo di Giovanni carne indica l'umanità originaria e
fragile che è la nostra: il verbo si è fatto carne. Vi do questa mia
umanità, prendetela come misura alta e luminosa del vivere. Imparate da
me, fermate l'emorragia di umanità della storia. Siate umani, perché più
si è umani più si manifesta il Verbo, il germe divino che è nelle
persone. Se ci nutriamo così di vangelo e di umanità, diventeremo una
bella notizia per il mondo.