Battesimo

Quando nasce un bambino, è una grande festa non solo per la sua famiglia, ma per tutta la comunità. È un dono di Dio! Un dono da accogliere con gratitudine, con amore, con responsabilità.

Il battesimo è il sacramento con cui Dio ci regala la sua stessa vita divina: rinasciamo dall’acqua e dallo Spirito Santo, diventiamo nuove creature, ci rivestiamo di Cristo morto e risorto, passiamo dalle tenebre alla luce, siamo invitati a vivere come veri figli di Dio, entriamo a far parte della comunità dei credenti, iniziamo il cammino della fede.

Per prepararsi al battesimo, chiediamo ai genitori di contattare i sacerdoti o le suore della nostra comunità pastorale e di concordare con loro un primo incontro, in casa, se possibile. Dopo questo primo momento di ascolto e di conoscenza reciproca, le coppie dei bambini da battezzare vivranno insieme un secondo incontro sul tema della fede e infine, invitando anche padrini e madrine, il terzo incontro sarà sul rito.

In Valmalenco si fissano ogni anno sei date domenicali in cui celebrare i battesimi, ogni due mesi, a rotazione nelle varie chiese parrocchiali. Ogni famiglia può liberamente scegliere la data che preferisce.

Avvisi

@ Diario di un prete: Elogio del letargo. Il sonno della Chiesa e il futuro atteso

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In campo pastorale, i francesi la chiamano “la petite cuisine”, ed è l’attività pastorale di basso profilo, senza fantasia né slanci creativi particolari e con orizzonti ristretti; nella migliore delle ipotesi, la gestione dell’ordinario tradizionale.

LA “PICCOLA CUCINA”

Temo che anche noi a Bergamo e in Italia ci siamo dentro in pieno. C’è da dire che il contesto ecclesiale non aiuta molto: sempre le stesse facce, sempre la stessa minestra, gli stessi impegni, le stesse attese da parte dei fedeli (parlo da parroco), le stesse pretese, le stesse critiche sugli stessi dettagli marginali, la stessa refrattarietà alla minima proposta di cambiamento. Oppure, dall’altro versante, la stessa petulante proposta di ricette utopistiche che appagano indebitamente il cuore di chi le fa senza il minimo costo personale, e amareggiano ulteriormente quello di chi, nonostante la buona volontà, non riesce proprio ad andar fuori nemmeno di un metro dalla propria “piccola cucina”.

ANCHE I SUPERIORI FANNO LA “PICCOLA CUCINA”

Tra chi soffre per questa situazione e vorrebbe venirne fuori, senza riuscirci, c’è qualcuno che crede ancora che la gerarchia abbia in dotazione dei lumi particolari, e si aspetta quindi un aiuto risolutivo dall’alto. Ecco perciò l’attesa di prese di posizioni e direttive chiare da parte dei “superiori”, che blocchino d’autorità orientamenti ritenuti indebiti e spalanchino autostrade a orientamenti precisi ritenuti necessari per uscire dall’impasse. Ma non si tiene conto che anche loro, i nostri pastori, provengono dalle nostre stesse file e son cresciuti nella stessa “piccola cucina”. E poi, il più saggio che ho conosciuto di loro, quando gli ho fatto presente questa attesa della base, mi ha risposto: «Perché le cose vadano bene, mio caro, le idee non devono andare avanti o cadere per l’appoggio o il boicottaggio dell’autorità, ma per la loro consistenza nella dialettica reciproca».
Giusto, giustissimo! Ma in una “piccola cucina” è pensabile la capacità di progettare dialetticamente portate diverse, più adeguate ai bisogni nutrizionali di oggi?
È così che noi siamo finiti in una specie di letargo pastorale.

LETARGO PASTORALE

Sentii nominare per la prima volta la “létargie pastorale” dagli svizzeri romandi, quando, tra il ’70 e l’80, passai tra loro circa sette anni. Noi eravamo ancora in pieno fervore post-conciliare; essi invece stavano già sperimentando fortemente la crisi della scristianizzazione. Per loro incoraggiamento – ricordo – buttai là un’osservazione che li fece sorridere perché praticamente era l’elogio del letargo.
Il letargo – dicevo infatti – per l’opinione comune ha una nomea spregiativa; in realtà per molte bestie è l’unica preziosa risorsa che la natura ha loro regalato per non soccombere nei rigori invernali. Passato l’inverno, questi animali tornano a folleggiare alla vita vispi come non mai, perché nel frattempo la natura ha lavorato per loro come in una feconda incubazione.
Ora quell’osservazione consolatoria torna buona per me, per noi oggi, nel tedio immenso sia delle stagnazioni personali, sia di quelle ecclesiali. A una condizione però: che in questo periodo di letargo lasciamo lavorare la grazia e i doni dello Spirito santo, che effettivamente, continuano ad operare in chi , nonostante tutto, ha il cuore vivo e buono.
E c’è un’ultima osservazione da tener presente: gli zoologi affermano che il letargo è meno rischioso se gli animali interessati lo sopportano non isolatamente. ma insieme.

Don Giacomo Panfilo


Da www.santalessandro.org

29/02/2020 Categoria: Torna all'elenco