Insiste,
il rabbì,
rende concrete le beatitudini, dona sapore alla nostra vita prima di
invitarci ad andare nel deserto, la prossima settimana.
La
violenza, il rapporto con l’affettività, la verità di noi stessi,
l’elemosina, la preghiera, il digiuno… ogni aspetto della nostra
vita, nel discorso della montagna, viene analizzato, ribaltato,
illuminato.
Perché
il rischio della schizofrenia, sinceramente, esiste.
Pii
e credenti in chiesa. Smemorati e faciloni nel mondo. Devoti con Dio.
Mondani col mondo.
Ben
venga, allora, chi, per amore, ancora ha il coraggio di dirci in
faccia cosa non funziona.
Senza
cedere al politicamente
corretto tanto di
moda che nasconde, quasi sempre, la logica dell’indifferenza: va
tutto bene, fai ciò che vuoi, purché tu non mi dica cosa fare.
Dio
non la pensa così. Corre il rischio di essere mandato a quel paese.
Corre
il rischio di venire inchiodato.
A
volte chi ti vuole davvero bene si assume la responsabilità di
indicarti le cose che non vanno. Come fa Gesù.
Io
e mammona
Dio
o mammona?
In
aramaico suonava molto meglio: in chi riponi la tua fiducia (emunà
)?, in Dio o in
ma’amum?
Noi
cattolici tendiamo a vedere nella ricchezza un ostacolo
insormontabile alla nostra fede, a demonizzare il denaro. Il denaro,
in sé, è neutro, come ogni altra realtà umana. Gesù non è
classista, né dice che la ricchezza sia un male, anzi. Ci dice che è
pericolosa perché inganna, perché promette ciò che non può in
alcun modo mantenere. Si accumulano tesori in cielo condividendo
quelli in terra (non solo denari ma anche capacità, tempo,
qualità…).
Per
la Bibbia la ricchezza (onesta) è sempre dono di Dio ma la povertà
è sempre colpa del ricco: la ricchezza è donata per essere
condivisa.
Dov’è
il tuo cuore? Nel tuo tesoro? Poni la tua fiducia nelle cose che hai?
Pensi sia sufficiente?
Gesù
ci ammonisce: ogni realtà è penultima. Anche gli affetti, anche i
figli. Figuriamoci le cose!
La
sapienza biblica già aveva concluso nel libro dei Proverbi (30,7-9):
meglio non avere né ricchezza, né povertà. Nella sazietà
rischiamo di rinnegare Dio, nella povertà di maledirlo…
Affanni
della vita
Gesù
insiste, mettendo a fuoco una delle caratteristiche del nostro tempo:
l’ansia, l’affanno,
termine che ricorre sei volte in pochi versetti. Un invito rivolto al
discepolo a fidarsi di Dio senza lasciare che l’ansia ci divori il
cuore e le emozioni.
Siamo
travolti dalle preoccupazioni, corriamo come dei matti, sempre
insoddisfatti, spesso arrabbiati e polemici.
Il
tema della fiducia
è un tema
essenziale e impegnativo, che sta in equilibrio fra affido e impegno,
senza giustificare la pigrizia o assecondare l’ansia. Ansia che,
dicono gli esperti, è una forma di stress
della famiglia della paura, manifesta la nostra incapacità di tenere
le cose sotto controllo con l’illusione di potere dominare la
realtà che, ovviamente, è decisamente più ampia di ciò che
possiamo controllare.
Il
Signore Gesù ci invita a fare un percorso che parta
dall’intelligenza per giungere al cuore e, dal cuore giunga alla
fede.
Keep
calm!
L’intelligenza
ci porta a
guardare intorno le cose come avvengono, a centrarci sulla realtà.
È
uno strumento importante che ci obbliga ad uscire da noi stessi,
dalla nostra autoreferenzialità, oggi quanto mai diffusa e
perniciosa (e pericolosa!). noi al centro di tutto, invece di essere
inseriti in un contesto.
Eppure
Gesù parte proprio da me per invitarmi ad alzare lo sguardo, a
guardare gli uccelli del cielo e l’erba del campo, a ragionare sul
fatto che non posso aggiungere una sola ora della mia vita (questo
non significa fare di tutto per accorciarla!). Intelligenza nel
vedere che esiste un’armonia, una leggerezza, una sottigliezza che
sono chiamato a cogliere ed interpretare.
La
rigidità con cui affrontiamo le situazioni ci impedisce di vedere
oltre, al di là, di ammirare l’opera potente di Dio in noi e nelle
vite di chi abbiamo accanto.
È
come dire: la realtà si adegui! Chi non vuole vedere non riesce a
vedere.
Dall’intelligenza
al cuore.
Davanti a tanta armonia il cuore si converte, si commuove: esiste un
Dio che conta i capelli del mio capo e che si occupa di due passeri
che, pure si vendono per un soldo (Lc 12,6). Certo, ci sono molte
cose che non capiamo (la violenza, il peccato che abita in noi) ma le
contraddizioni sono inserite in un contesto di luce.
Matteo
dice che anche partendo dall’osservare le cose positive possiamo
risalire al Creatore che le ha volute. La fede ha sempre a che fare
con l’intelligenza e il cuore ma approda alla volontà per far
nascere la fede che è fiducia.
Alla
fede
La
fede nasce dal credere che questo Dio che veste i gigli del campo
veste anche me! Non facendomi trovare i vestiti all’uscio, ma
facendo della mia vita un percorso che mette il Regno e la giustizia
al centro, e il resto arriva in sovrappiù.
Parliamo
di una misura, di una proporzione, non dell’incoscienza: non stiamo
seduti ad aspettare la manna dal cielo, Dio arriva a noi attraverso
gli strumenti abituali, ordinari, senza fare miracoli che pieghino la
realtà.
La
nostra vita è l’opportunità che ci è data per capire e per
amare, per lasciarci amare attraverso percorsi che non vorremmo e
che, spesso, pretendiamo di tenere in mano e, in fondo di
controllare.
È
naturale preoccuparsi (occuparsi prima, non ha senso!), è naturale
avere paura e difendersi, è cristiano, invece, scegliere di lasciare
che sia Dio a primeggiare.
Cerchiamo
anzitutto il Regno, le cose di Dio, il resto verrà. Come?
Con
i soliti strumenti della vita interiore: la preghiera, la vita di
comunità, i sacramenti, la meditazione della Parola ma, soprattutto,
lasciare che questa abitudine contagi la vita e i giudizi. E vivere
nella giustizia nelle relazioni, nella correttezza (interiore,
profonda, autentica) con le persone, con le situazioni, tenendo fede…
alla fede.
Si
può fare.
Vangelo e arte (da www.monasterodibose.it)
Mosaico di Musrara, VI sec., 7x4 metri, tessere musive policrome, Gerusalemme (nei pressi della porta di Damasco).

Mosaico particolare del vaso
Nell’immaginario
delle prime generazioni cristiane gli uccelli sono stati utilizzati sia
come elemento decisamente decorativo sia con un valore molto più
simbolico. Le decorazioni delle case romane riportano numerosi affreschi
e mosaici con rappresentazioni di uccelli, è da questo stile e da
questo immaginario che i cristiani attingeranno per le loro
rappresentazioni.
Un esempio raffinato è quello del mosaico
pavimentale detto di Musrara a Gerusalemme vicino alla porta di
Damasco. Il mosaico è stato scoperto tra il 1892 e il 1893 e risale al
VI secolo.
Questa pavimentazione testimonia
l’utilizzo certamente liturgico dell’ambiente per il quale è stato
realizzato. Ha una lunghezza di sette metri ed è largo più di quattro.
Da un vaso finemente decorato partono dei
tralci di vite all’interno dei quali trovano spazio diversi uccelli. Al
fianco del vaso due pavoni.

Mosaico particolare dei tralci
La vite ha chiaramente un significato legato al passo di
Giovanni 15,1-11. Gesù è la vigna, il Padre il vignaiolo e i fedeli i tralci dal quale si richiede il frutto.
In questo mosaico si aggiunge inoltre la
presenza degli uccelli alcuni intenti a beccare i grappoli di uva che
pendono dalla vite. Se la vite è Cristo, cibarsene vuol dire partecipare
della sua vita, essere un corpo solo, partecipare all’eucaristia che è
pane e vino.
Ogni tralcio è un fedele e ad ogni
tralcio corrisponde un uccello anch’esso quindi simbolo del fedele. In
questo solco simbolico si inserisce il brano del vangelo di questa
domenica che ricorda ai fedeli di guardare agli uccelli come memoria
dell'attenzione da parte di Dio verso di loro. il Signore provvede a
loro e tanto di più provvederà a noi che valiamo più di molti passeri! (Lc 12,7).

Mosaico particolare della gabbia
(nel cerchio rosso)
Come
ci ricorda questo brano siamo chiamati a non
farci prendere dalla preoccupazione, ma a vivere l’oggi in Dio. Per
ricordare al fedele di non lasciarsi prendere dalle preoccupazioni in
questo mosaico sull’asse principale un solo uccello è in gabbia: l’unico
uccello che non può avvicinarsi ai grappoli che gli pendono ai lati. Le
preoccupazioni sono diventate più forti della sua capacità di affidarsi
al Signore e rischia di restare bloccato.

Mosaico particolare dell'iscrizione
Un
ultimo accenno all’iscrizione che si trova sulla sommità del mosaico, è
in lingua armena e dice:”In memoria e per la salvezza di tutti gli
Armeni, dei quali il Signore conosce i nomi”. Era quindi nella volontà
dei committenti del mosaico ricordare attraverso i tralci e gli uccelli
tutti i credenti di cui il Signore conosce il nome e di cui si prende
cura nel presente e lo farà nel futuro.
fr. Elia
Il vangelo in poche parole p. Marko Ivan Rupnik:
p. Ermes Ronchi:
p. Alberto Maggi:
p. Gaetano Piccolo:
sr. Mariangela Tassielli: