Abbiamo bisogno di tempo
Il tempo svolge nella nostra vita un ruolo fondamentale: quando siamo
rimasti delusi da qualcuno, abbiamo bisogno di tempo per recuperare la
fiducia, quando abbiamo ricevuto una notizia drammatica, abbiamo bisogno
di tempo per accoglierla e affrontarla, quando ci siamo sentiti
abbandonati da Dio, abbiamo bisogno di tempo per ritrovare la speranza
in Lui.
I racconti di Pasqua, ci mostrano come anche i discepoli abbiano
bisogno di tempo per entrare in una nuova prospettiva, per ricordare
quello che hanno vissuto, per rileggere anche gli eventi recenti e per
arrivare finalmente a credere. La fede in Gesù non è un fatto magico o
immediato, ma è il frutto di un cammino, fatto anche di dubbi, di
domande e di incertezze.
Il tempo di un cammino
Il testo di Luca, che leggiamo in questa domenica, continua a
raccontarci di questi interrogativi: nonostante le notizie che arrivano,
i discepoli sono descritti nell’atto di parlare tra loro, di discutere e
ragionare, non vengono presentati come credenti ideali che
immediatamente danno credito a quello che hanno sentito. Tutti noi
abbiamo bisogno di fare un cammino per arrivare a credere in Gesù. Un
cammino che non ci mette al riparo dai dubbi, ma che ci porta a vivere
un’esperienza di incontro con il Signore, il quale non si rassegna
davanti alla nostra incredulità.
Il Signore infatti entra nei nostri ragionamenti e nelle nostre
perplessità: si mette in mezzo, riprende il suo posto nella comunità.
Come sappiamo, i dubbi e le paure espropriano Gesù dal centro del nostro
cuore. Ci sono altre preoccupazioni che prendono il sopravvento. Ma
anche in questo caso, vediamo come per gli stessi discepoli non sia
immediato riconoscere Gesù, proprio perché quando siamo presi
dall’angoscia e dalla tristezza, Gesù stesso ci sembra un fantasma nella
nostra vita.
Realtà o fantasia
Un fantasma è una presenza inefficace, che può colpire sì la nostra fantasia
(la radice è la stessa), ma che non è reale. Probabilmente anche per
noi Gesù è diventato talvolta un fantasma, un ricordo, un’immagine,
presente ma inefficace. Pensiamo che il Signore sia solo il frutto della
speranza: vorremmo che ci fosse nella nostra vita, ma in realtà non c’è
nulla.
Il Nemico ci persuade che in realtà è solo la nostra speranza che ci
fa credere che Gesù sia realmente presente nella nostra vita. Credere
che Gesù sia un fantasma vuol dire pensare che Egli non può veramente
cambiare la nostra vita. Il Signore diventa un simbolo, un’icona
culturale, un elemento di identità, forse anche uno a cui rivolgere
preghiere e lamenti, ma nel fondo del cuore sappiamo che tutto questo è
inutile, perché è solo un fantasma.
Discernere tra i sentimenti
Il cuore dei discepoli è attraversato da molteplici sentimenti. Il
testo di Luca dice che sono sconvolti, pieni di paura, turbati,
dubbiosi, provano gioia e stupore. Si tratta di sentimenti anche molto
diversi tra loro, ma che si combinano insieme, creando una tempesta
affettiva. Come non riconoscerci in questa varietà di sentimenti!
Anche il nostro cuore è spesso attraversato da sentimenti diversi,
anche nei confronti di Dio. Sant’Ignazio chiamava questi sentimenti mozioni,
perché ci spingono in qualche direzione. È importante fermarsi a
leggere quello che si muove dentro di noi, è importante riconoscere
quali pensieri ci sono dietro questi sentimenti, e discernere così se
quei sentimenti vengono da Dio o se vengono dallo spirito cattivo, dal
Nemico, che approfitta delle nostre paure per portarci lontano dal
nostro bene.
Le ferite e la condivisione
Il Signore sa che abbiamo bisogno di sentire la sua presenza e di
essere aiutati a riconoscerlo. Anche con i discepoli fa così, si fa
riconoscere e lo fa attraverso due modalità molto significative: le
ferite e la condivisione. Gesù mostra le sue ferite perché esse
raccontano l’amore che ha avuto per noi. Quelle ferite, come anche le
nostre, non sono inutili. Sono il segno di una storia d’amore. Gesù si
fa riconoscere come colui che ha sofferto per me.
Il secondo gesto è la condivisione, mangiare insieme. È il segno
della familiarità, ma soprattutto è un gesto che rimanda al Cenacolo, al
luogo dove abbiamo vissuto insieme e al luogo in cui Egli ha consegnato
il suo corpo e il suo sangue.
Quei due segni gettano luce sulla storia, aprono la mente, invitano a
rileggere quello che è accaduto. Certo, ci vuole tempo. Gesù invita i
discepoli a ricordare le parole che hanno ascoltato, il cammino che
hanno fatto insieme. Soprattutto i discepoli di ogni tempo sono invitati
a rileggere la passione di Gesù, la sua morte in croce e la sua
risurrezione.
Abbiamo bisogno di tempo, ma solo attraverso questo cammino, che
richiede tempo, possiamo diventare testimoni. Ed è proprio questo il
compito che Gesù vuole affidarci: raccontare quello che abbiamo vissuto.