Il brano del vangelo di oggi ci apre a una lettura ecclesiologica.
Gesù
ha chiamato i discepoli ad essere con Lui, adesso li costringe a
partire mentre Lui si ritira da solo sul monte, nella relazione con il
Padre.
Si
fa vedere che c’è un passaggio, c’è un momento in cui sembra che il
Signore non è presente, che si è da soli, che si sta facendo una
traversata, si ha delle opposizioni, il vento contrario, uno spirito
del male che si oppone. La Chiesa si ritrova a vivere la sua missione
da sola. E mentre vorrebbe una presenza confortante di Cristo,
all’interno delle coordinate di questo mondo, Cristo si fa presente in
un modo nuovo, diverso. E benchè i discepoli sulla barca abbiano tutte
le coordinate per poter comprendere questa teofania, non sono in grado
di farlo. Non riescono a cogliere che è proprio il Signore. A Pietro che
in qualche modo lo sfida dicendo “Se sei” Cristo dice: “Vieni!” (Mt
14,28-29).
In forza di questa parola Pietro si mette a camminare sulle acque e va verso Gesù.
La
novità della presenza di Cristo nella sua manifestazione diventa per
noi l’attrazione, diventa meta del nostro cammino, diventa il
superamento di ciò che sarebbe la logica e la legge di questo mondo. Il
modo divino di vivere la natura umana diventa attraente, Pietro
desidera anche lui esistere in questo modo. Questa nuova presenza di
Cristo, che infatti rivela già una esistenza post pasquale diventa una
meta verso la quale si vorrebbe incamminare.
Pietro ha vissuto tanti momenti forti con Cristo ma solo adesso davanti a quello che pare loro un fantasma,
ha la forza di camminare sulle acque. Pietro supera la sensazione e si
affida alla parola che lo chiama perché infatti già una volta si è
affidato e si e incamminato seguendo la Parola che gli era stata
rivolta. Ora lui riesce a superare tante resistenze che in diversi brani
del Vangelo si notano nelle sue reazioni. Sono reazioni di una
mentalità secondo la natura. Ma ora la relazione di affidamento che la
parola instaura lo libera dalla dipendenza alla sua stessa natura.
Infatti non è nella natura umana camminare sulle acque. Ma è la Parola,
cioè la relazione di Cristo che lo fa camminare sulle acque.
Si
tratta dunque di essere totalmente liberato e di scoprire una specie di
trasfigurazione della propria natura in una realtà nuova, relazionale. È
la relazione con Cristo che rende la natura umana quello che veramente
è. Mentre senza questa relazione è una natura pesante che scivola verso
la morte, che fa affogare. Anzi è una natura che attira dietro nel
morire anche la coscienza di quell’io che è pronto a far tutto per non
morire, e scopre la sua impotenza e permanente frustrazione. Mentre la
relazione di Cristo riempie la distanza relazionale che si accorcia, che
si condensa, tanto che il mare diventa solido, che lui può camminare.
Questo è il messaggio forte in questo brano. Cristo è presente nella
storia in un modo nuovo e noi in questa storia che viviamo possiamo
trovare Cristo lì dove normalmente l’occhio non lo scorge. E possiamo
trovare la via di uscita di una situazione fuori dalla logica di questo
mondo.
Perché
l’incontro, la via di uscita sarà su un nuovo livello, e quando la
storia, il mondo la contrarietà diventa forte e si fa sentire la paura,
vengono i dubbi – quelli che faranno affondare il povero Pietro –
,quando cominciamo a gridare per la paura di essere perduti – e Cristo
stesso sulla croce ha emesso un forte grido -, allora è il momento della
fiducia e dell’amore.
Come le donne davanti a Cristo risorto lo riconoscono e “lo adorano” (Mt 14,33), anche qui i discepoli si prostrarono davanti a Lui,
come le donne. Dunque, è la conoscenza del Cristo risorto, la Chiesa
che lo adora e lo riconosce, proprio perché ha tirato fuori dal dubbio,
dalle onde, dallo sprofondamento il Primo Apostolo.
Dunque:
non dubitare, ma fissare lo sguardo su Cristo, su questa nuova
esistenza, che non corrisponde né alle leggi, né alla logica della
natura di questo mondo, ma è l’affidarsi a quel pasquale “Io sono (ego
eimi di Dio), non temete” che rimanda alla relazione d’amore che prevale
sulle leggi della natura e la logica di questo mondo.
Vangelo e immagine: Banksy, La zattera della medusa (da Géricault), Calais, 2016, stencil e pittura acrilica su muro.
(da www.monasterodibose.it)
Il
vangelo di questa domenica ci parla di una barca in difficoltà e
dell’aiuto che il Signore mette nell’infondere coraggio ai naviganti
impauriti. Che questo vangelo abbia molto da dire alla nostra stretta
attualità è scontato, la chiave che scelgo è quella dell’ironia dello
street artist Banksy. Nel 2016 decide di lavorare a tre immagini nella zona portuale di Calais,
città ormai famosa per la così detta “giungla”, ovvero il grande campo
di fortuna costruito dai rifugiati in attesa di potersi imbarcare verso
il Regno Unito. Racconto brevemente le prime due per poi soffermarmi
sulla terza che fa da illustrazione al commento al vangelo.
La prima
rappresenta Ste
ve Jobs, il fondatore della Apple, che scappa con un
sacco in una mano e nell’altra uno dei primi modelli dei suoi computer:
Macintosh 128k del 1984. Per coglierne la satira basta il commento
scritto dallo stesso Banksy:
«Spesso siamo portati a credere che gli immigrati prosciughino le
risorse di un certo paese, ma Steve Jobs era figlio di un immigrato
siriano. Apple è la società più redditizia al mondo, paga oltre 7
miliardi di dollari all’anno in tasse ed esiste solo perché gli Stati
Uniti hanno accettato di accogliere un giovane uomo da Homs»
Il
secondo lavoro a ridosso del porto rappresenta un bambino con alle
spalle una valigia che guarda con un cannocchiale rivolto verso il mare,
che è l’orizzonte non solo immaginario, ma anche fisico della spiaggia.
Quindi guarda verso il Regno Unito, o simbolicamente verso il futuro.
Sul cannocchiale però poggia minaccioso un avvoltoio che punta verso di
lui, a ricordare che il suo destino non sarà per nulla facile.

Il terzo lavoro è una citazione di un famoso quadro francese “La zattera della medusa” (1819) di Théodore Géricault.
Questo quadro è un emblema della fierezza francese al pari della
“Vittoria che guida il popolo” (1830) di Eugène Delacroix che riprende
lo schema compositivo della zattera. La scelta della citazione ha quindi
dei chiari richiami all’orgoglio nazionale dei francesi e a quei
principi di “libertà, uguaglianza e fraternità” che a Calais sembrano
dimenticati.

Il
quadro originale di Géricault narra di un episodio avvenuto nel 1816 in
cui per una serie di negligenze la fregata francese Méduse rimase
incagliata sulle coste della Mauritania. Oltre 250 persone si salvarono
grazie alle scialuppe, le rimanenti 150, la ciurma, dovettero essere
imbarcate su una zattera di fortuna, lunga 20 metri e larga 7; di queste
ultime persone soltanto 12 si salvarono. Lascio al lettore tutti i
collegamenti tra la storia del 1816 e i barconi di oggi.
L’occhio di
Banksy è attento alla scelta del muro sul quale è già colorato uno
zoccolo azzurro sul quale appone l’immagine della zattera trasformando
quella striscia di colore nella linea dell’orizzonte.
Su quella linea si staglia una nave che continua sulla sua rotta mentre i naufraghi cercano di attirarne l’attenzione.
Anche su questa immagine Banksy ha lasciato un suo caustico commento:
«Non tutti siamo fortunati allo stesso modo».
E noi, discepoli di Gesù, riusciremo ancora a tendere una mano e a dire “Coraggio, non abbiate paura”?
Per approfondire:
Sito ufficiale di Banksy
a cura di Elia Fiore
Il vangelo in poche parole