"Capisci ciò che leggi?" - Lettura continua del Vangelo di Marco: Mc 8,14-21
I
discepoli sono talmente immersi nei pensieri terra–terra di ogni
giorno, che non riescono a penetrare nelle severe parole di Gesù e
continuano a manifestarsi l’un l’altro le loro preoccupazioni per
il pane.
Gesù
interviene e parla loro in tono di tale rimprovero come non aveva mai
fatto prima.
Il
loro cuore è indurito fin dal tempo della moltiplicazione dei pani
(6,52); essi non hanno capito nulla dell’opera messianica di Gesù
né hanno compreso il mistero della sua personalità mentre egli
camminava sulle onde del lago. Tuttavia Gesù non abbandona nemmeno
ora i suoi discepoli, ma cerca di portarli a riflettere e a capire.
I
discepoli devono stare attenti a non lasciarsi contagiare dalla
mentalità dei farisei e di Erode. Gesù vuole che stiano lontani da
questi due partiti: da quello dei farisei, la cui religione è più
esteriore che profonda; da quello di Erode che è totalmente preso
dalle cose del mondo e della politica. L’avvertimento è tutt’altro
che fuori posto: Giuda ci cascherà dentro in pieno, purtroppo!
Ma
mentre Gesù diceva loro queste cose, essi pensavano ad altro: «E
quelli dicevano tra loro: ‘Non abbiamo pane’» (v. 16). E’
evidente la «distrazione» dei discepoli, la loro incapacità di
ascoltare: Sono talmente immersi nella preoccupazione del pane che
non afferrano altro. Non avvertono neppure l’urgenza e l’importanza
di quanto Gesù sta dicendo. Si comportano come se egli non parlasse.
«Non
intendete e non capite ancora?» (v. 17). Il rimprovero di Gesù
assume un’ampiezza insospettata e si risolve in una diagnosi
completa delle malattie di cui sono afflitti i discepoli: scarsa
intelligenza, cecità, sordità, durezza di cuore, sospetta perdita
della memoria.
In
questi versetti, il martellamento delle domande incalzanti, che vanno
verso il fortissimo e passano in rassegna tutti i sensi dell’uomo,
fa capire ai discepoli che non hanno capito proprio nulla.
Essi
ricordano perfettamente i fatti. Rispondono senza alcuna esitazione e
sanno ricordare benissimo ciò che è accaduto. Sono tutt’altro che
stupidi, ma non comprendono il grande dramma che si sta svolgendo
sotto i loro occhi.
In
questa circostanza i nodi vengono al pettine e Gesù coglie
l’occasione per fare ai suoi discepoli un esame di coscienza
piuttosto ruvido. Non è possibile leggere questo brano senza sentire
il tono alto, altissimo della voce di Gesù, con una buona dose
d’ira, di accoramento e di delusione. Il Maestro si trova davanti
dodici discepoli che non sanno risolvere l’equazione ad
un’incognita: e in questo caso l’incognita è Gesù.
«Avete
il cuore indurito?». La diagnosi di Gesù si concentra
essenzialmente su una malattia: la durezza di cuore. Il cuore, nel
linguaggio biblico, indica non tanto la sede della vita affettiva,
quanto la fonte dei pensieri e della comprensione. Qui viene
denunciata la mancanza d’intelligenza, l’incapacità di vedere la
portata messianica di ciò che sta accadendo: è l’accecamento
dello spirito. I discepoli sono duri di cuore perché non hanno
l’intelligenza per capire chi è Gesù: e questa intelligenza si
identifica, di fatto, con la fede.
«Avete
occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?» Tutti questi
interrogativi non sono una condanna, ma un invito accorato e costante
a convertirsi, che richiama i rimproveri di Mosè (Dt 29, 3) e dei
profeti (Ger 5,21; Ez 12,2) al popolo ribelle.
Egli
li rimanda alla loro esperienza passata. Come il ricordo dei benefici
d’un tempo provocava Israele a uscire dal suo torpore e a tornare a
Dio (cf. Sal 77,4.6.12.13; 105,5), così la memoria di quello che
essi avevano fatto, distribuendo alle folle il pane che sazia in
abbondanza, può richiamarli alla loro responsabilità e aiutarli a
capire finalmente chi egli sia.
La
funzione di questo brano corrisponde alla prima fase del miracolo che
segue: vuol farci vedere che non vediamo. Siamo come il cieco che
scambia gli uomini per alberi.