"Capisci ciò che leggi?" - Lettura continua del Vangelo di Marco: Mc 1,1
1 Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.
Il vangelo di Marco non ci presenta una dottrina o una ideologia, ma una persona
concreta, Gesù Cristo, Figlio di Dio, che va accolto come nuovo criterio di vita.
Lo stesso Vangelo, come contenuto, è proprio questo Gesù, e le prime parole di Gesù
non sono altro che una manifestazione, una presentazione di se stesso. Gesù esordisce
«predicando il Vangelo di Dio» (1,14), cioè se stesso (1,1), e dice: «Il tempo
dell’attesa è finito. Io sono qui. Rivolgetevi a me e credetemi» (1,15). Il Dio che
ci rivela il Vangelo di Marco è colui che nessuno avrebbe potuto sospettare: l’uomo
Gesù, il crocifisso dalla religione e dal potere. Sotto la croce si svela il segreto:
«Veramente quest’uomo era Figlio di Dio» (15,39). Tutto il Vangelo è un cammino
crescente verso la rivelazione finale del Figlio di Dio in Gesù, il crocifisso. Marco
vuole portarci alla contemplazione di Dio–Amore crocifisso. Questo è il Vangelo, la
buona notizia, che distrugge ogni immagine di Dio che l’uomo da sempre si costruisce
o distrugge.
Quanto Marco pone come inizio del suo Vangelo, Giovanni lo pone come conclusione:
«Questi (segni) sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di
Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,31). Come si può
constatare, lo scopo dei vangeli è sempre e solo questo: dare al mondo la gioiosa notizia
che Gesù di Nazaret è Dio che ci salva.
Similmente a Paolo, di cui è discepolo, Marco identifica il vangelo con Cristo: nella
proclamazione del Vangelo (13,9–11) Cristo si fa presente.
Il Vangelo non è primariamente una narrazione su Gesù, ma una proclamazione del
Cristo risorto che il Vangelo rende nuovamente presente.
I greci chiamavano vangelo (euanghélion) la proclamazione di una vittoria e il
sacrificio che la celebrava, oppure l’intronizzazione di un nuovo re. Il senso
religioso di questo termine lo dobbiamo cercare nell’Antico Testamento. Isaia al cap.
52,7, per fare un esempio, ci presenta così il lieto annunzio: «Come sono belli sui
monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, messaggero di bene,
che annunzia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio!». I contenuti di questa
bella notizia sono: pace, bene, salvezza, regno di Dio. Si potrebbe quindi tradurre così
questo primo versetto: «Inizio della buona notizia di salvezza che è Gesù, il Cristo,
il Figlio di Dio». Tutto il Vangelo di Marco sarà lo svolgimento del tema di questo
primo versetto: fino a 8,29 per arrivare alla proclamazione di Pietro: «Tu sei il
Cristo»; e fino a 15,39 per giungere all’affermazione del centurione: «Veramente
quest’uomo era Figlio di Dio!». Due professioni di fede che riprendono e svelano i
due titoli che il primo versetto del Vangelo attribuisce a Gesù.
Questa parola «principio» echeggia all’inizio della Bibbia quando Dio creò
l’universo (Gen 1,1): Dio è la sorgente della vita del mondo e dell’uomo. Il
Gesù presentato dal Vangelo di Marco è il «principio» di un mondo nuovo, dei cieli
nuovi e della terra nuova, dove abita l’uomo nuovo.
Il Vangelo è la buona notizia che Dio non è il padre–padrone, giudice
onniveggente e spietato. Egli è il Padre che perdona e accoglie sempre, con un amore
infinitamente più grande del nostro bisogno e di quanto possiamo immaginare. La nostra
miseria è l’unica misura della sua misericordia. Solo la croce rivelerà chi è Dio
per noi e chi siamo noi per lui: lui è amore senza limiti e noi siamo suoi figli amati
non nonostante il nostro peccato, ma a motivo del nostro peccato. La misericordia è
l’amore di Dio che incontra la miseria dell’uomo. Il Vangelo, attraverso il
racconto della vita di Gesù, ci dona questa nuova esperienza di Dio. Infatti il Vangelo
è «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm 1,16). Il Vangelo, la buona
notizia, è Gesù stesso. La sua carne, la sua vita di uomo ci rivela chi è Dio. Un Dio
totalmente altro rispetto a quello di ogni religione e di ogni ateismo. Ciò che lui fa e
dice è una continua smentita di ogni nostra ovvietà e la sua croce è la distanza
infinita che Dio ha posto tra se stesso e l’idolo.
La storia di Gesù è la critica più radicale di ogni religione e di ogni ateismo:
spiazza tutti, giusti ed empi, presentando l’umanità di Dio ucciso dai giusti e
morto in croce per gli empi, e quindi salvezza per tutti. Tutto il Vangelo è Parola che
illumina il mistero di Dio crocifisso per l’uomo.
Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio: in questi nomi è significata tutta la persona, la
storia e la missione del Salvatore.
Gesù significa: Dio salva.
Cristo o Messia è colui che ha ricevuto l’unzione dell’olio, il consacrato;
è colui che Israele attende come strumento di Dio per la salvezza del popolo.
Gesù è il Cristo, ma non nella linea politica e nazionalistica, ma nella linea della
croce e della risurrezione: «Ma egli (Gesù) replicò: «E voi chi dite che io sia?».
Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di lui
a nessuno. E incominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva molto
soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi
venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare» (8,29–31).
Figlio di Dio: questo titolo ha chiaramente il senso teologico che gli attribuiva la
comunità cristiana post–pasquale del tempo di Marco. E’ un titolo che Marco usa
con sobrietà. Viene usato soprattutto in tre testi importanti: al Battesimo (1,11), alla
Trasfigurazione (9,7) e nella professione di fede del centurione ai piedi della croce
(15,39). Ma quale significato preciso dobbiamo attribuire al titolo «Figlio di Dio»?
E’ proprio per rispondere a questa domanda che Marco racconta la vicenda di Gesù.
Perché c’è modo e modo di pensare il Figlio di Dio. Sembrerebbe logico, per
esempio, pensarlo unicamente nella linea della gloria e della potenza. Marco invece
racconta una vicenda che ci costringe a pensarlo nella linea della povertà e della
sofferenza: e questa è la tesi centrale del suo Vangelo.
Se il Figlio di Dio si fosse manifestato nella forma splendida di un imperatore, non
sarebbe stata una bella notizia: non sarebbe stata novità, liberazione, speranza. Ma,
anche se la storia di Gesù di Nazaret si fosse fermata alla croce, non sarebbe stata una
lieta notizia: sarebbe stata una prova ulteriore che l’amore è sconfitto, che la
speranza degli umili e dei martiri è vana. La gioiosa notizia sta nel fatto che Gesù di
Nazaret, il crocifisso, è risorto (16,6), è il Figlio di Dio, è il Signore. E’
importante mantenere uniti i due aspetti di Gesù: uomo e Dio, crocifisso e risorto, Gesù
di Nazaret e Signore. Sta in questa unione la lieta notizia.
Compito della Chiesa non è semplicemente quello di parlare di Dio, ma del Dio che si
è rivelato in Gesù di Nazaret, il crocifisso. E’ proprio di fronte a Gesù morente
che il primo pagano si converte. Il centurione riconosce in Gesù il Figlio di Dio non
vedendo i suoi prodigi, ma vedendolo morire; quindi non nella potenza, ma nella debolezza;
non nella gloria, ma nell’umiliazione della sconfitta. Nella concezione
dell’evangelista, il lieto annunzio appare simultaneamente come intervento decisivo
di Dio nella storia umana (1,15; 8,35; 10,29), come proclamazione di tale intervento per
il mondo (13,10; 14,9) e come presenza dello stesso Signore risorto, vivente e operante,
oggi, nella vita di ogni uomo (16,15).
L’agire di Gesù continua ancora oggi nella Chiesa (16,15–20). Per questo il
Vangelo di Marco narra solamente ciò che fu l’inizio, il principio, il punto di
partenza. Se oggi possiamo predicare il Vangelo è perché intorno agli anni trenta in
Palestina è passato Gesù di Nazaret, predicando, guarendo, perdonando, soffrendo,
morendo; è perché di Gesù di Nazaret si può dire con verità: «E’ risorto!»
(16,6). Gesù è la causa efficiente, l’origine, la fonte. Il Vangelo, oggi, è Gesù
che continua ad agire nei suoi inviati, nella sua Chiesa che è il Cristo diffuso e
comunicato, il prolungamento della sua umanità.
Annunciare il Vangelo non vuol dire riferire una notizia come fa l’annunciatore
del telegiornale, non vuol dire aggiornare una persona sugli ultimi avvenimenti lieti. Il
Vangelo non è solo la notizia della salvezza, il bollettino della vittoria; è una forza
che produce la salvezza: «Il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque
crede» (Rm 1,16). Annunciare il Vangelo ad una persona vuol dire metterla sotto la forza
dell’azione di Gesù, Dio che salva.
La storia di Gesù di Nazaret è il momento a cui la predicazione deve sempre
ricondursi, che la Chiesa deve continuamente meditare, e sul quale l’esistenza
cristiana deve perennemente modellarsi.
Il Vangelo non è apparso come qualcosa di grandioso e di perfettamente costituito:
ebbe un inizio umile e uno sviluppo graduale. Ha percorso la strada del piccolo seme che
diventa albero (4,30–32). La lieta notizia di Gesù non emerge dalla storia e non si
spiega solo con essa: è l’irruzione nel mondo della novità di Dio. E’ una
notizia attesa e desiderata (Antico Testamento), ma anche inaspettata e sorprendente.
Tutti aspettavano il Messia, ma nessuno avrebbe potuto sospettare che il Messia fosse Dio
in persona.
Alcuni vorrebbero vedere nel Vangelo di Marco un itinerario di fede per i catecumeni
(coloro che ricevono l’insegnamento orale, che ascoltano dalla viva voce). Un fatto
è certo: Marco prende per mano il lettore e l’accompagna fino alla professione di
fede piena in Gesù «Cristo, Figlio di Dio».
Il Vangelo non colloca il Cristo–Figlio di Dio nei cieli, al di fuori della nostra
storia. Il Cristo è «Gesù». E’ un uomo tra gli uomini. Cristo si trova ormai
nella storia, nelle situazioni concrete, negli uomini. E’ necessario saper leggere e
discernere la presenza dell’azione di Dio all’interno della nostra storia
personale e sociale. Dio è qui! Dio è con noi e in noi. In questo modo si afferma
l’unità tra Dio e l’uomo, contro ogni separazione, la quale fa sì che Dio sia
senza l’uomo (e ciò è la radice di ogni alienazione religiosa) e che l’uomo
sia senza Dio (e ciò è la radice di ogni concezione idolatrica dell’uomo). Il
Vangelo toglie la divisione tra l’uomo e gli altri uomini annunciando l’unità
tra Gesù e tutti gli uomini. Toglie la separazione tra gli elementi negativi (la morte) e
gli aspetti positivi (la risurrezione) della vita, annunciando l’unità tra di essi:
la morte e la risurrezione di Gesù sono due aspetti inseparabili come le facce di una
stessa medaglia. Dal Vangelo secondo Marco impariamo a non annunciare mai l’una senza
l’altra.
Nel Vangelo vengono così superate e risolte tutte le scissioni e le contraddizioni che
caratterizzano l’uomo e il suo mondo.