Le nostre comunità cristiane, nel post COVID, saranno diverse?
Si, perché sono già cambiate.
Sono consapevole di aver dato una risposta lapidaria a questa domanda,
ma anche di non aver risposto con superficialità. Ho risposto dopo aver
riletto con attenzione quanto avvenuto nelle mie comunità e in alcune
comunità dove i pastori sono miei confratelli, che mi hanno raccontato
quanto avvenuto anche da loro dalla fine del lockdown.
Le comunità cristiane sono cambiate
Certo, non siamo usciti dalla pandemia, le normative che regolano la vita sociale sono molte e decisamente restrittive, la paura ha ancora un ruolo fondamentale
nell’orientare le scelte delle persone e il timore del tampone
positivo, seppur da asintomatico, con tutto ciò che esso porta con sé
per l’infetto e per chi ha avuto contatti con lui, costituisce un
deterrente forte per tutti.
Tuttavia, ci sono alcuni dati: penso in particolare ai nostri
volontari, dai catechisti ai baristi, a coloro che ricoprono ruoli da
consiglieri nelle riunioni ecclesiali e negli impegnati nelle attività
pratiche più svariate.
Ebbene, diversi hanno fatto un passo indietro, rinunciando al loro incarico nelle comunità.
Le motivazioni sono molte e diverse. C’è chi ha vissuto il dolore del
lutto e ne porta i profondi segni nel cuore, c’è chi ha sperimentato
nel suo corpo la malattia da COVID-19 e ne porta le conseguenze,
qualcuno nella salute fisica, altri nella mancanza di serenità mentale.
Con loro ci sono quelle persone, le più numerose secondo quanto ho
potuto sperimentare, che, abbastanza avanti negli anni, dopo aver
rinnovato annualmente la loro disponibilità, ad esempio nella catechesi,
per motivi di coscienza, ossia perché avevano percepito che in caso di
loro ritiro non ci sarebbero stati sostituti, questa volta hanno deciso
di dire basta.
La parte “molle” della Chiesa ha abbandonato
Tuttavia, e qui si colloca il dato interessante che un po’ mi fa
pensare in vista del futuro, ci sono anche persone giovani, almeno in
apparenza non particolarmente segnate da problemi legati a quanto
recentemente vissuto dalla nostra società, che si sono allontanate, quasi come questa situazione avesse costituito una sorta di “palla al balzo” da prendere per fuggire.
Personalmente, mi sento di propendere ora per quelle tesi che
affermavano, già nel tempo più duro della pandemia, che la “parte molle”
della Chiesa non avrebbe retto all’urto di questa esperienza.
Con “parte molle”, espressione che spero non risulti offensiva per
alcuno, si indicavano tutte quelle persone presenti nelle nostre
comunità più per abitudine che per convinzione, le quali forse non hanno
mai avuto il coraggio di decidere di prendere le distanze dalla
comunità cristiana o anche solo dagli impegni in essa assunti, ma che
l’esperienza della pandemia ha spinto semplicemente a non ripresentarsi
alla ripresa della vita delle comunità, soprattutto ora che si sta
cercando, con fatica, di tornare a camminare insieme. Questo dato, lungi
dal volersi configurare come un giudizio su qualcuno, suggerisce
invece, dal mio punto di vista, il criterio fondamentale per la
“ripartenza”.
Se la “ripartenza” sarà vissuta
come un puro e semplice tentativo di ripristino della situazione
“pre-COVID”, a mio parere si pongono le basi per un fallimento quasi
certo:
la pandemia e l’esperienza che ne è scaturita per la nostra società, e
quindi anche per la Chiesa che in essa è radicata, hanno costituito una
sorta di acceleratore di dinamiche che, senza COVID, avremmo visto
svilupparsi entro qualche anno e che invece si sono verificate, insieme,
già ora. Per questo la “ripartenza” non potrà evitare le questioni di senso,
che conducano a confronto sulla fede, sul Vangelo, sull’essere
comunità, sul “fare Oratorio” oggi e tanto altro. Non si tratta di
tornare a riempire agende, ma di dare senso, aiutando chi ha il
cuore lacerato o affaticato a sentirsi a casa nella sua comunità,
rileggendo insieme quanto tutti abbiamo vissuto, non ripartendo come se
nulla fosse accaduto e come se le mascherine e gli igienizzanti fossero
soltanto una sorta di nuova moda del momento.
Ci sarà da ricostruire la comunità, ci sarà da far fatica. Dovremo
farlo insieme, in fraternità, innanzitutto attorno all’altare dove si
rende presente Colui che dà senso a tutto.