Strano periodo il nostro. Da una parte si ha la sensazione netta
di un soffitto abbassato, di speranze giocate solo dentro il perimetro
della storia, senza lucernari che aprono verso il cielo; dall’altra,
sono tante le invocazioni e le richieste di uno sguardo verso un
“oltre”, non imprigionato nei limiti del tempo. Da una parte, l’uomo
moderno, sempre più scettico, è convinto con Voltaire che «il paradiso è
dove sono io» e con Sartre che «l’inferno sono gli altri»; dall’altra,
assistiamo ad una moltiplicazione di messaggi, dal cinema alla musica,
dalla letteratura al linguaggio comune, che rilanciano una “nostalgia di paradiso” senza pudore. Spesso anche senza cognizione. Popolato da immagini variopinte ed equivoche.
IL PARADISO. PAROLA DI DIO E FANTASIE DELL’UOMO
A tal punto che, non molto tempo fa, il cardinale Ravasi è
intervenuto dicendo che parole come ‘Dio’ o ‘paradiso’, quando vengono
usate da persone ignoranti, vengono avvolte come da una nuvola dorata,
diventano realtà vaghe che possono essere accolte perché inoffensive per
le scelte di vita, come new age.
Ma, a ben pensarci, lungo la storia nel tranello dell’equivoco ci siamo
cascati anche noi cristiani. In fondo, il nostro codice di riferimento
simbolico, teologico e iconografico – la Bibbia – sul paradiso, usa un
linguaggio estremamente sobrio, per non dire reticente. Un linguaggio
aperto, evocativo e allusivo più che descrittivo, un linguaggio
rispettoso del mistero, dell’alterità e, in particolare, dell’alterità
di Dio. Un linguaggio pudico, simile a quello che Dante che nel XXXIII
canto del Paradiso, alla vista di Dio, pronuncia: «Da quinci innanzi il mio veder fu maggio / che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede, / e cede la memoria a tanto oltraggio».
Eppure, la tradizione cristiana successiva si è abbandonata a una fantasmagoria irrefrenabile
di immagini e di scene. E dunque non stupiamoci troppo se l’uomo
contemporaneo tradisce il suo desiderio di felicità senza fine
attraverso forme e contenuti che ci appaiono deformanti. Come nel caso
dei vendutissimi libri che narrano le Near Death Experience, esperienze
(o presunte tali) di “pre-morte”. Sono migliaia i casi
ogni anno di persone che raccontano di aver visto, se non vissuto, in un
“aldilà” dalla realtà terrena. Tutte esperienze accomunate da almeno un
elemento, ovvero la costante, profonda e pervasiva sensazione di pace,
riservata a chi attraversa il confine tra la vita e la morte. Molti
parlano di una vera e propria estasi. E nella stragrande maggioranza,
chi è tornato indietro non aveva alcuna intenzione di farlo, e i
racconti convergono tutti sull’intervento di una forza non meglio
specificata, in grado di riavvicinare la coscienza al corpo
“abbandonato”.Ha fatto scalpore, tra queste, il caso di una storia
particolare, quella del dottor Eben Alexander, neurochirurgo a Harvard,
con un curriculum accademico importante. Una storia finita sulla
copertina di Newsweek, e ripresa da altri giornali nel mondo. Il
racconto della “settimana in paradiso” del neurochirurgo è quello di un
salto notevole da una vita fatta di ricerche, accademia, dati,
laboratori, a un’interpretazione della realtà profondamente diversa,
durante i giorni in coma vissuti da Alexander. Che, va detto, sulla
vicenda ha scritto un libro che vende, e non regala. Ma che dalla sua,
ha i referti di un monitoraggio costante del suo stato cerebrale durante
quello che lui definisce come un’esperienza in un altro mondo. Quello
dopo la morte.
DE-SIDERA, SGUARDO E ATTESA
Insomma, l’uomo schiacciato sul presente, dall’orizzonte corto, custodisce, strutturalmente, uno sguardo aperto. Che interroga, che chiede, che desidera.
Sì, è proprio così: la vita, la nostra vita, è un continuo stare e
andare, star chiusi e incontrare, fermarsi a cercare, è sempre un
affacciarsi oltre noi stessi. E noi sappiamo che il desiderio che
ciascuno ha nel cuore non si ferma mai, perché è l’infinito che
cerchiamo. C’è una profonda nostalgia che non ci lascia
in pace. Un desiderio di un luogo dove verità e giustizia siano prese
sul serio. Un luogo “altro” che non toglie ma da forza a questa vita.
Non è un disimpegno, non è un’alienazione. Forse questa è ancora oggi la novità cristiana.
Anzi, quel luogo – il futuro del mondo, il mondo come Dio lo vede e lo
vuole, il mondo che adempie la sua vocazione alla bellezza – sarà
possibile tanto più, ogni giorno, faremo del nostro pezzetto di mondo
qualcosa che gli assomiglia. L’aveva ben capito dal carcere di Tegel il
grande Dietrich Bonhoeffer: «I cristiani che stanno sulla Terra con un
solo piede, staranno con un solo piede pure in Paradiso».