0 - 6 Anni

Per valorizzare la presenza dei genitori appare sempre più promettente curare la preparazione al Battesimo e la prima fase della vita (0-6 anni). L'evangelizzazione passa, in questo periodo, attraverso il linguaggio delle relazioni familiari.
Come mostrano molte esperienze, si tratta di mettere in atto gradualmente un'attenzione pastorale per e con gli adulti, oltre che di impegnarsi nell'annuncio ai piccoli.

La pastorale battesimale e delle prime età costituisce un terreno fecondo per avviare buone pratiche di primo annuncio per e con genitori, famiglie, nonni e insegnanti delle scuole per l'infanzia.
La comunità cristiana impara in tal modo a costruire relazioni fondate sulla continuità, la gratuità, la semplicità, la stima per ciò che le famiglie realizzano nella dedizione per i loro figli.

Diocesi di Como
Progetto di iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi, Cap. 7

Nella nostra comunità pastorale si cercherà di valorizzare tutte le occasioni favorevoli. Alcune iniziative già esistenti sono:

  • la domenica dopo Pasqua, la Memoria del battesimo, per le famiglie di tutti i battezzati dell’anno precedente
  • la proposta educativa delle quattro Scuole dell’infanzia parrocchiali, col supporto della F.I.S.M.
  • Iniziative varie a portata di bambino potranno essere –gradualmente- la novena di Natale, qualche festa in oratorio, qualche momento rivolto all’intera famiglia, ecc.

Avvisi

@ Diario di un prete: Elogio del letargo. Il sonno della Chiesa e il futuro atteso

@ Diario di un prete: Elogio del letargo. Il sonno della Chiesa e il futuro atteso

In campo pastorale, i francesi la chiamano “la petite cuisine”, ed è l’attività pastorale di basso profilo, senza fantasia né slanci creativi particolari e con orizzonti ristretti; nella migliore delle ipotesi, la gestione dell’ordinario tradizionale.

LA “PICCOLA CUCINA”

Temo che anche noi a Bergamo e in Italia ci siamo dentro in pieno. C’è da dire che il contesto ecclesiale non aiuta molto: sempre le stesse facce, sempre la stessa minestra, gli stessi impegni, le stesse attese da parte dei fedeli (parlo da parroco), le stesse pretese, le stesse critiche sugli stessi dettagli marginali, la stessa refrattarietà alla minima proposta di cambiamento. Oppure, dall’altro versante, la stessa petulante proposta di ricette utopistiche che appagano indebitamente il cuore di chi le fa senza il minimo costo personale, e amareggiano ulteriormente quello di chi, nonostante la buona volontà, non riesce proprio ad andar fuori nemmeno di un metro dalla propria “piccola cucina”.

ANCHE I SUPERIORI FANNO LA “PICCOLA CUCINA”

Tra chi soffre per questa situazione e vorrebbe venirne fuori, senza riuscirci, c’è qualcuno che crede ancora che la gerarchia abbia in dotazione dei lumi particolari, e si aspetta quindi un aiuto risolutivo dall’alto. Ecco perciò l’attesa di prese di posizioni e direttive chiare da parte dei “superiori”, che blocchino d’autorità orientamenti ritenuti indebiti e spalanchino autostrade a orientamenti precisi ritenuti necessari per uscire dall’impasse. Ma non si tiene conto che anche loro, i nostri pastori, provengono dalle nostre stesse file e son cresciuti nella stessa “piccola cucina”. E poi, il più saggio che ho conosciuto di loro, quando gli ho fatto presente questa attesa della base, mi ha risposto: «Perché le cose vadano bene, mio caro, le idee non devono andare avanti o cadere per l’appoggio o il boicottaggio dell’autorità, ma per la loro consistenza nella dialettica reciproca».
Giusto, giustissimo! Ma in una “piccola cucina” è pensabile la capacità di progettare dialetticamente portate diverse, più adeguate ai bisogni nutrizionali di oggi?
È così che noi siamo finiti in una specie di letargo pastorale.

LETARGO PASTORALE

Sentii nominare per la prima volta la “létargie pastorale” dagli svizzeri romandi, quando, tra il ’70 e l’80, passai tra loro circa sette anni. Noi eravamo ancora in pieno fervore post-conciliare; essi invece stavano già sperimentando fortemente la crisi della scristianizzazione. Per loro incoraggiamento – ricordo – buttai là un’osservazione che li fece sorridere perché praticamente era l’elogio del letargo.
Il letargo – dicevo infatti – per l’opinione comune ha una nomea spregiativa; in realtà per molte bestie è l’unica preziosa risorsa che la natura ha loro regalato per non soccombere nei rigori invernali. Passato l’inverno, questi animali tornano a folleggiare alla vita vispi come non mai, perché nel frattempo la natura ha lavorato per loro come in una feconda incubazione.
Ora quell’osservazione consolatoria torna buona per me, per noi oggi, nel tedio immenso sia delle stagnazioni personali, sia di quelle ecclesiali. A una condizione però: che in questo periodo di letargo lasciamo lavorare la grazia e i doni dello Spirito santo, che effettivamente, continuano ad operare in chi , nonostante tutto, ha il cuore vivo e buono.
E c’è un’ultima osservazione da tener presente: gli zoologi affermano che il letargo è meno rischioso se gli animali interessati lo sopportano non isolatamente. ma insieme.

Don Giacomo Panfilo


Da www.santalessandro.org

29/02/2020 Categoria: Torna all'elenco