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LA PAROLA È LA MIA CASA - L’amico importunato. Immagine di Dio che vuol ispirare una confidenza e un affidamento quasi “sfacciati”

LA PAROLA È LA MIA CASA - L’amico importunato. Immagine di Dio che vuol ispirare una confidenza e un affidamento quasi “sfacciati”

Aprendo il collegamento è possibile scaricare il testo distribuito nelle chiese insieme agli avvisi parrocchiali.

Vangelo XVII dom TO C - Del Giorgio don Andrea.pdf

 

Nel vangelo di oggi abbiamo una catechesi sulla preghiera composta dalla “preghiera del Signore” insegnata agli apostoli, una parabola e alcuni detti. Nel dipanarsi del viaggio di Gesù e dei discepoli verso Gerusalemme, enfatizzato in maniera caratteristica nel racconto di Luca, questo brano si collega ai due precedenti proponendo i tre aspetti fondamentali della vita del discepolo e della comunità: la carità (la parabola del samaritano), l’ascolto della Parola (il brano di Marta e Maria) e la preghiera (la catechesi di questa domenica). Ma forti analogie le troviamo anche nella parabola centrale (dell’amico importuno e di quello importunato): il tema dell’accoglienza è presente anche nel racconto ambientato nella casa di Marta;  come nel samaritano vi è una persona incontrata nel bisogno (l’amico che giunge da un viaggio che corrisponde all’uomo derubato dai briganti), una persona che intercede per il bisogno dell’amico (colui che va a mezzanotte a chiedere i pani che corrisponde al samaritano che chiede al padrone della locanda), una persona che riceve la richiesta. Vi è poi un collegamento interno alle tre parti della catechesi, oltre al tema  della preghiera. Ed è il riferimento al cibo. A sua volta un riferimento alla Eucaristia. Due i nuclei fondamentali della parabola centrale che si rispecchiano nelle altre parti: la gioia di poter contare sulla amicizia e sulla paternità di Dio e la preghiera come intercessione per i fratelli. Il protagonista della parabola si rivela non l’amico importuno, ma l’amico importunato. Il centro della parabola non è l’insistenza nella preghiera, ma la premessa ad essa: la consapevolezza di avere un Dio che possiamo chiamare Padre, con cui possiamo osare la confidenza (fino alla sfacciataggine, come suggerisce il testo) che si usa con l’amico fraterno su cui possiamo contare anche in piena notte. Abitare in un luogo dove non possiamo contare su una o più persone amiche significa sentirsi soli, estranei, vulnerabili, stranieri. Altro elemento evidente è il fatto che tale preghiera non è individualistica, ma presuppone la presenza della comunità (il Padre è “nostro”, non “mio”!) ed è preghiera non solo per i propri bisogni ma è una intercessione, una richiesta che ci permette di aiutare, accogliere, prenderci cura di altri. Intercedere significa “fare un passo in mezzo”, mettersi nel mezzo di una situazione. Mettersi in mezzo tra Dio e gli uomini significa farsi prossimo  e rendere Dio più vicino. Ma anche fare propri gli atteggiamenti costitutivi della preghiera: chiedere e ricevere, per condividere con chi chiede a propria volta, bussare e cercare, per accogliere e vivere a porte aperte verso i fratelli. Il pane da chiedere non è mio, è nostro; il perdono a cui chiediamo accesso è dato perché io possa spalancare porte e finestre ai fratelli costruendo pace e riconciliazione.

23/07/2022 Categoria: Torna all'elenco