L’Avvento sta per concludersi e dopo tre settimane nelle quali l’attesa era indirizzata alla parousía,
alla manifestazione finale del Veniente, il Figlio dell’uomo nella sua
gloria, ora inizia un tempo di memoria: ricordiamo eventi del passato,
la preistoria del Messia, facciamo memoria di come il Figlio di Dio è
venuto nel mondo, perché proprio questi eventi fondano la nostra attesa
della venuta gloriosa di Cristo. Si faccia pertanto attenzione: non
attendiamo il Natale, evento già avvenuto che possiamo solo ricordare,
ma confessiamo la nostra fede nel Signore Gesù anche nel suo venire nel
mondo, confessiamo il mistero centrale della nostra fede,
l’incarnazione, nelle tappe e negli eventi che hanno manifestato il
disegno di salvezza di Dio.
Qual è dunque la ghénesis (cf. anche Mt 1,1),
l’origine di Gesù? Così la racconta Matteo: c’è una ragazza di Nazaret
di Galilea, Maria, promessa sposa di Giuseppe. Questa era l’usanza nelle
nozze ebraiche: venivano stipulate con il fidanzamento, ma a volte
passava un certo tempo tra l’impegno matrimoniale e la convivenza dei
due sposi, soprattutto se in età adolescenziale. In questo tempo in cui
Maria e Giuseppe non convivono ancora insieme e quindi non consumano le
loro nozze, accade ciò che è umanamente inaudito: Maria si trova
incinta, il suo grembo è fecondato, vi è in lei un figlio che attende di
venire alla luce. Cosa significa questo fatto? Diciamolo subito: quel Figlio solo Dio può darlo,
e l’azione creatrice di Dio è all’opera in Maria. Non il caso né la
necessità, il destino, presiedono a quella gravidanza, ma la volontà di
Dio stesso, che vuole essere “veniente” tra gli umani. Ecco la genesi di
Gesù di Nazaret:
una donna, Maria,
lo Spirito di Dio che agisce in lei come Spirito creatore che “cova sulle acque” (cf. Gen 1,2, versione siriaca)
e un uomo che appare come un testimone.
L’evangelista Matteo non si interessa né alla reazione psicologica di
Maria né a quella di Giuseppe, ma vuole metterci di fronte a una
situazione reale, pur nell’aporia: Maria è incinta senza aver conosciuto
uomo e Giuseppe ignora cosa possa essere accaduto. Quest’ultimo è
presentato come uno tzaddiq, ossia un giusto, un credente, e
venuto a conoscenza della situazione di Maria pensa di sciogliere il
vincolo nuziale, senza dire nulla pubblicamente, per non svergognarla.
Difficile per noi decifrare cosa muoveva Giuseppe ad assumere tale
decisione, e va detto che i commenti al riguardo, anche quelli dei padri
della chiesa, sono incerti, a volte persino ridicoli. Secondo alcuni
egli vorrebbe applicare la legge sull’adulterio, ma senza giungere alla
violenza (cf. Dt 22,23-24);
secondo altri è ferito e deluso… Più semplicemente, si può pensare che
Giuseppe, accolta la spiegazione fornitagli da Maria, essendo pieno di
timore di Dio, pensa di fare un passo indietro, per non vantare nessun
diritto su quel bambino che Maria dice venire da Dio: di fronte alla
paternità di Dio, Giuseppe rinuncia alla propria!
Quell’aporia può essere risolta solo da una rivelazione, dall’alzare
il velo da parte di Dio con la sua parola. Ecco dunque l’angelo, il
messaggero del Signore, che si fa presente a Giuseppe mentre egli dorme,
in un sogno, mezzo attraverso il quale nell’Antico Testamento Dio ha
più volte rivelato la sua volontà e la sua azione (come a uno dei figli
di Giacobbe, Giuseppe, l’uomo dei sogni: cf. Gen 37,5-11).
Il messaggero di Dio si rivolge a Giuseppe ricordandogli la sua
identità, che contiene anche una missione: “Giuseppe, tu che sei figlio
di David, che hai un posto nella discendenza messianica, non temere di
prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in
lei viene dallo Spirito santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo
chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
Questa parola del Signore chiede a Giuseppe obbedienza, gli chiede di
essere sposo di una sposa che gli dà un figlio come Dio l’ha promesso
nella discendenza di David a tutto il popolo santo. Giuseppe deve
accettare questa spogliazione del suo essere sposo e saper vivere una
paternità non sua: paternità che eserciterà dando al figlio il nome Jeshu‘a, Gesù, che indica la sua missione di salvezza, dunque di perdono dei peccati (cf. Lc 1,77).
Giuseppe è invitato a diventare padre, a sentirsi padre di un figlio
che non viene dal suo desiderio, dalla sua decisione, ma soltanto da
Dio: sarà padre di Gesù secondo la Legge e tale sarà chiamato dai suoi
conoscenti che non conoscono le profondità del mistero (cf. Lc 4,22). Giuseppe deve esercitare la sua qualità di figlio di David su colui che è il Figlio di David promesso e acclamato (cf. Mt 21,9).
Di fronte a questo racconto di miracolo, gli uomini e le donne di
oggi sono tentati di restare esitanti, di leggerlo come un mito, ma con
sguardo puro dovremmo giungere a capire ciò che in profondità vuole
comunicare alla nostra fede. Più che la forma narrativa, dobbiamo
cogliere l’intenzione dell’evangelista, che è questa: far comprendere al
lettore che un uomo come Gesù solo Dio ce lo poteva dare, che è stato
Dio a inviarlo; anzi, se Gesù era in forma di Dio e si è spogliato con
l’umanizzazione (cf. Fili 2,6-7),
allora è veramente il frutto della volontà di Dio e
dell’acconsentimento dell’umanità a questo “meraviglioso scambio”
(antifona dei primi e secondi vespri della solennità di Maria SS. Madre
di Dio, 1° gennaio), a queste nozze. Come dire che Gesù era in relazione
con Dio, che era la presenza di Dio tra gli uomini? L’unzione dello
Spirito santo che feconda il grembo di Maria appare un racconto adeguato
per fondare la fede.
A Giuseppe, dunque, non è data innanzitutto una “rivelazione” sul
Figlio, ma una “vocazione”: come a Osea fu chiesto di sposare una
prostituta, a Geremia di restare celibe, a Ezechiele di restare vedovo, a
Giuseppe è chiesto di accogliere come figlio Gesù, un figlio che in
verità non è suo figlio, ma Figlio di Dio. Così Giuseppe dà alla sua
sposa Maria non solo una casa, ma anche un casato, quello di David,
permettendole di entrare nella discendenza messianica, di compiere la
promessa di Isaia e di imporre al figlio il Nome che contiene in sé
anche una missione. Per questo Matteo annota: “Tutto questo è avvenuto
perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del
profeta: ‘Ecco, la vergine – termine che viene dalla versione greca dei
LXX, mentre l’ebraico dice, alla lettera, “una giovane donna, una
ragazza” – concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome
di Emmanuele, che significa Dio con noi’ (Is 7,14)”.
Quando Giuseppe si sveglia, senza fare alcuna obiezione, “fece come gli
aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la
quale, senza che egli la conoscesse, diede alla luce un figlio che egli
chiamò Gesù”. Giuseppe era stato definito “giusto”: ora lo conosciamo
come credente e obbediente alla parola del Signore nel silenzio.
Le vocazioni sono diverse: c’è chi è chiamato da Dio a fare la sua
volontà proclamando, annunciando, addirittura gridando (come il
Battista, cf. Mt 3,3 e Is 40,3);
e c’è chi è chiamato a eseguire, a fare concretamente, in un abisso di
silenzio. Nei vangeli non ci è testimoniata alcuna parola di Giuseppe,
ma di lui sono attestati l’obbedienza e il silenzio: non mutismo, ma
silenzio di adorazione, di custodia, di approfondimento del mistero.
Questa pagina può essere per noi un grande insegnamento: ci dice
infatti che Dio può sorprenderci e che quando, secondo la nostra
giustizia davanti a lui, abbiamo elaborato e deciso un tragitto, il
Signore può improvvisamente chiederci di mutare direzione e cammino,
verso un orizzonte che ci resta oscuro. È l’ora di obbedire mettendo un
passo avanti all’altro, sicuri che “camminando si apre cammino” (Antonio
Machado) e che il Signore solo ci precede. Questo deve bastarci.
Avvento e fotografia: Cristina Garcia Rodero, Reparto maternità, Georgia, autunno 1995.
(da www.monasterodibose.it)
Userò le parole dell’autrice di questa foto per raccontarla, non ci sono
parole migliori, aggiungerò solo una piccola introduzione per
comprendere come è costruita l’immagine e nel testo descrittivo porrò
tra parentesi quadre delle valutazioni sulla scelta di porla accanto al
brano evangelico.

Questa foto afferra il nostro occhio perché sembra che le due donne
“danzino”. Si tengono per mano in un perfetto parallelismo (come si può
vedere nelle linee dello stesso colore nella composizione). Qui sta la
bravura della fotografa: aver scattato attendendo di cogliere l’attimo
in cui la posizione delle due donne fosse perfettamente simmetrica.
Ovviamente il fatto descritto non permetteva in alcun modo che le due
donne si mettessero in posa, il risultato è un premio per la pazienza e
la tenacia di Cristina Garcia Rodero.
Il ricordo principale che mi è rimasto è di quella donna magra, con
la pelle tirata, gli zigomi alti e gli occhi infossati di un blu
trasparente e freddo, con indosso un semplice camice bianco, piena di
umanità. Il suo calore compensava gli enormi deficit tecnici
dell’ospedale. [Quante volte anche noi potremmo compensare tanti
“deficit tecnici” della vita soltanto facendo sentire la nostra presenza
accanto agli altri?] La giovane puerpera – così bella mentre giace sul
letto nella sua vestaglia – grida il nome di sua madre a ogni
contrazione.
Perdo la cognizione del tempo. Per essere all’altezza del letto, mi
piego in un angolo della stanza. Non c’è altro spazio. Di quando in
quando altre infermiere vengono a vedere se ho finito o a controllare
che cosa sta succedendo e sorridono – senza capire – nel vedere la mia
concentrazione e attenzione per queste due donne, unite dal dolore e
dalla gioia, all’arrivo di una nuova vita.”[Una nuova vita sta
arrivando, nasce all’interno di una vicinanza, di una prossimità mano
nella mano. Giuseppe sarà accanto a Maria, sarà il suo conforto di
fronte ad un avvenimento che sta cambiando le loro vite, le nostre
vite.]
Il vangelo in poche parole
p. Ermes Ronchi:
p. Alberto Maggi:
sr. Mariangela Tassielli: