La
vita scorre, ma non è detto che la viviamo. Gran parte
della nostra vita, la trascorriamo addormentati, senza accorgerci di
quello che avviene dentro di noi e introno a noi.
A
volte dormiamo perché abbiamo smesso di essere padroni
della nostra vita: non viviamo più perché altri scrivono per noi il
copione della nostra vita. Ci lasciamo andare, trasciniamo la vita
senza entusiasmo, ma ogni tanto il desiderio di tornare a vivere fa
di nuovo capolino, per poi scomparire nella stanchezza per le energie
perdute.
A
volte preferiamo dormire per non prenderci le nostre responsabilità,
dormiamo per evitare di vivere il compito che la realtà ci affida. È
un sonno che sa di rinuncia e di paura. Il sonno è una
rappresentazione della morte. È una sospensione della vita.
Questo
testo ci presenta due persone che non riescono a vivere.
Dodici anni sono un tempo di pienezza. Si tratta di vite, per motivi
diversi, non vissute in pienezza.
L’emorroissa
è una donna costretta, dal giudizio degli altri, a non vivere:
quel sangue che scorre, cioè la vita che scorre, la rende
paradossalmente impura e per questo non può avere contatti o
relazioni. La vita che vorrebbe vivere le sfugge. Non riesce a
fermarla. Si deve tenere a distanza. È costretta alla solitudine.
È
proprio il giudizio degli altri che le toglie energia, le fa
perdere vita: i medici sono qui la rappresentazione di coloro che
dedicano la vita a prescrivere ricette per gli altri, passano la vita
a fare diagnosi che peggiorano la vita della gente («aveva molto
sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi
senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando» Mc 5,26).
Questa
donna comincia a vivere nel momento in cui strappa la
ricetta che gli altri vorrebbero imporle: decide di toccare Gesù.
Decide di fare ciò che gli altri non le permettono.
Molte
volte siamo schiavi delle etichette che gli altri ci hanno messo
addosso. A volte quelle etichette ci fanno comodo, perché
almeno abbiamo un’identità in cui riconoscerci, siamo qualcuno, ma
ne paghiamo il prezzo. A volte non abbiamo più le energie per
scegliere ciò che vogliamo essere.
Gesù
si lascia toccare. Ciò che sembra impuro, un contatto
umano, il contatto con un’umanità malata, diventa fonte di vita
nuova. Molte volte l’ostinazione a salvaguardare la purezza uccide
la vita.
C’è
però anche una ragazzina che non si è data il permesso di vivere,
una persona che ha rinunciato a percorrere la sua strada. Il testo
dice che questa ragazzina camminava, aveva infatti dodici anni,
come per dire che se hai dodici anni non puoi non camminare.
Questa ragazzina aveva rinunciato a giocarsi le risorse che aveva.
Proprio come tanti giovani che pur avendo l’età per camminare
preferiscono rinunciare a vivere. Come con l’emorroissa, anche in
questo caso Gesù entra in contatto con la malattia, le prende la
mano. Forse questa ragazzina aveva bisogno solo di un adulto che
credesse in lei e la invitasse ad alzarsi e a camminare con le sue
gambe.
E
poi c’è un padre che, come tanti padri, non capisce e non accetta
il sonno della figlia. Ma è un padre che si comporta da
adulto: non rimane a litigare con il sonno della figlia o ad
abbattersi perché la figlia dorme, ma si stacca, esce e va a cercare
un aiuto. Il padre è padre perché si fa parola per il figlio,
traduce il suo bisogno, porta in casa ciò che serve per la vita.
Questo vuol dire essere padre. È un padre che non solo non pretende,
ma addirittura sa aspettare, nonostante l’urgenza di quello che sta
vivendo.
Forse
stiamo continuando a buttare sangue inutilmente, come
l’emorroissa, perché continuiamo a cercare vita dove non c’è.
Ci fissiamo su situazioni, relazioni, compiti, che invece non fanno
altro che toglierci energie.
Forse
abbiamo deciso di non svegliarci per non camminare con le
nostre gambe, come questa dodicenne.
Forse
abbiamo bisogno di lasciarci toccare dalla vita per
ricominciare a credere in noi stessi, forse non è più tempo di
vivere la vita a metà, senza energie o addormentati.
Il vangelo in poche parole