Siamo nel discorso di congedo di Cristo.
È preoccupato per i discepoli che vede turbati. Il termine è quello che
si usa per un pezzo di legno o una piccola barchetta sbattuta in una
tempesta, una burrasca sul mare, fa vedere che si è sbandati, sbattuti
qua e là, che non si ha un punto fermo, un punto di appoggio.
Nel vangelo di Giovanni questo termine è
usato sempre in riferimento a Cristo, in contesti che in qualche modo
rimandano alla sua morte. Come se Cristo, attraverso la sua dimensione
umana, cioè il Cristo uomo, partecipa a questa situazione tragica
dell’uomo che non ha un punto di appoggio quando si tratta della vita
definitiva. Perché nessuna cosa risolve la morte.
E perciò si capisce che lui testualmente
dica: ‘affidatevi a Dio affidandovi a me’ (Gv 14,1). Perché “io e il
Padre siamo una sola cosa” (Gv 10,30).
Infatti è nel rapporto con il Padre che
sempre Cristo risolve questo turbamento. È il turbamento davanti alla
morte che spoglia ogni certezza, viene meno ciò che prima faceva
sembrare la cose solide. E se qui ci colleghiamo al vangelo della
settimana scorsa comprendiamo il discorso del recinto, ciò che fa
sembrare di essere al sicuro. Il tempio, la religione attraverso i
comandamenti, le leggi, le regole sembrano dare all’uomo la certezza di
essere a posto con Dio, di aver adempiuto quanto doveva. Ma questo non
risolve la vita, non ti dà la sicurezza di vita, non ti fa vivere come
Cristo vive con il Padre: ‘Io sono nel Padre ed il Padre è in me’ (Gv
14, 11). La religione ti dice di fare bene per stare bene con Dio.
Invece Lui non sta bene con Dio, Lui sta “in Dio”.
Non è che io devo fare qualcosa per
stare bene con Dio e avere una giustificazione con Dio. Proprio da
questa mentalità Cristo vuol farci uscire. Ci fa uscire per entrare
nella casa del Padre. Perché quel tempio dal quale Lui ha scacciato i
mercanti non è la casa del Padre. E quando all’inizio del vangelo di
Giovanni dice che la casa del Padre è il Tempio si precisa che parla del
tempio del suo corpo (Gv 2,21).
Allora il vero Exodus non è dall’Egitto
alla Terra promessa, ma nel Corpo di Cristo, da schiavi del peccato a
Corpo di Cristo. Ma perché ciò avvenga Lui deve prima morire per poi
diventare il Corpo di Gloria. La gloria in Giovanni è la manifestazione
di una Persona divina nell’altra. È il luogo dove le Persone divine si
manifestano nell’unione l’una con l’altra. Io glorifico il Padre ed il
Padre glorifica me. E proprio nella morte Lui glorifica il Padre e lì,
nella sua carne umana diventa trasparente il dono. Lì Lui è Via, Verità e
Vita (cf Gv 14,6), luogo dove si manifesta la vita che è tipica solo
per Dio, il dono l’uno all’altro.
Questo prima non era possibile, solo dopo la Risurrezione si manifesta questo corpo di gloria, dove l’umanità di Cristo vive a modo di Dio.
E se a modo di Dio significa
l’uno nell’altro, non è per niente strano che Lui parli di tante dimore
(Gv 14,2). Perché il suo Corpo diventerà una abitazione degli altri,
perché questo è il modo di Dio, vivere l’uno nell’altro.
In questo Corpo di Gloria noi siamo
innestati con il battesimo, quando passiamo la morte e usciamo dalle
acque battesimali già abilitati a questa esistenza a modo di Dio, parte
del Corpo di Cristo, perché parte di questo modo di essere uno
nell’altro.
La nostra missione nel mondo è proprio
nel rivelare un modo di esistere che è secondo Dio. La nostra esistenza è
secondo la vita in Cristo. Noi come luogo della vita di Cristo. Il
superamento di ogni forma dell'individualismo, questo è la nostra
identità. Allora è più che doveroso farci domanda: con quale filosofia,
con quale mentalità ci siamo lasciati ingannare tanto che oggi soffriamo
per lo stesso "virus" che il mondo: l'individualismo.
Il vangelo in poche parole