Secondo alcuni la pandemia ha
rallentato i ritmi della nostra vita. Questo ci darebbe la possibilità
di fare di meno ma di fare meglio e di pensare di più. Sei d’accordo?
Lucia
La pandemia ha rallentato, nostro malgrado, i ritmi della nostra vita, cara Lucia, stravolgendo i nostri stili di vita! Il tempo del lockdown non è stato facile!
Siamo tutti ben consapevoli che, oltre allo smarrimento, al dolore
sperimentato nella nostra carne, alle lacrime e alla tristezza, abbiamo
vissuto solitudine, paura, fatica; la “clausura” imposta ci ha impedito
persino di continuare a vivere le relazioni familiari, gli impegni, gli
hobby e altro.
Le nostre giornate hanno subito notevoli e, a volte estenuanti,
rallentamenti, che, tuttavia, ci hanno donato di riscoprire e forse
“rigustare” uno stile di vita più sobrio e semplice, sconosciuto alle
ultime generazioni.
In quelle indimenticabili settimane, la solitudine e la solidarietà si sono prese per mano,
come per camminare insieme; ancora, il sacrificio e il dono di noi
stessi hanno ritrovato in Dio e nella preghiera domestica la propria
forza e il proprio fondamento.
Non possiamo negare che il Covid ci ha cambiato “dentro”, nel cuore:
ferendoci negli affetti e persino nella dignità, ci ha resi più
sensibili e solidali fra di noi.
Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, presente alla cerimonia di
commemorazione dedicata alle vittime bergamasche del Covid 19 presso il
piazzale antistante il nostro cimitero monumentale, ha evidenziato molto
realisticamente: «Questi mesi, contrassegnati da tanta, intensa,
tristezza, ci hanno certamente cambiato. (…) Dire che, d’ora in poi, la
nostra vita non sarà come prima non è la ripetizione di un luogo comune.
(…) Non sarà come prima perché la sofferenza collettiva, che
all’improvviso abbiamo attraversato ha certamente inciso, nella vita di
ciascuno, sul modo in cui si guarda alla realtà. Sulle priorità,
sull’ordine di valore attribuito alle cose, sull’importanza di sentirsi
responsabili gli uni degli altri».
Non è da sottovalutare, tuttavia, la difficoltà di dare concretezza a questo cambiamento interiore
attraverso stili di vita e opzioni concrete diversi rispetto a quelli
a cui eravamo abituati, scelte che abbiano un “sapore” profetico, in
grado di esprimere quell’ “oltre” che tutti abbiamo intravisto, seppure
tra lacrime e lutti, nella tragedia che abbiamo vissuto.
La crisi che stiamo attraversando su molti fronti è globale: essa ci
interpella non solo personalmente o comunitariamente, ma globalmente,
interrogando addirittura le sofisticate leggi del mercato, fondate sulla
mondanità, sullo sfruttamento delle risorse, sulle ingiustizie fra i
popoli, su culture spesso disumane.
La pandemia ha avuto il potere di “spazzare via”, come casa costruita
sulla sabbia, ciò che credevamo essere il fondamento sicuro per la
nostra vita: «Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti
e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu
grande» (Mt. 7,27). Lo scossone subito ha avuto, quindi, ripercussioni
in ogni ambito della nostra società, dall’economia alla sanità, dalla
scuola al tempo libero, ecc., persino nella nostra relazione con Dio e
con la Chiesa.
Significativo è stato allora l’invito del nostro capo dello Stato
ad uscire da quanto avvenuto «…guardando avanti. Con la volontà
di cambiare e di ricostruire che hanno avuto altre generazioni prima
della nostra. La strada della ripartenza – ha continuato il Presidente –
è stretta e in salita. Va percorsa con coraggio e con determinazione.
Con tenacia, con ostinazione, con spirito di sacrificio».
Rimbocchiamoci, allora, le maniche, e, per quanto ci è possibile,
proviamo a riformulare una nuova gerarchia di valori che tenga conto
della nostra estrema vulnerabilità.