Care sorelle, ho seguito alla
televisione la visita apostolica di Papa Francesco in Iraq. Mi ha
colpito moltissimo per diversi motivi: ho trovato molto coraggioso che
abbia deciso di partire comunque in un periodo difficile come questo,
per di più per recarsi in un Paese in cui i cristiani sono una
minoranza. Questo viaggio del Papa, poi, mi sembra un grande segno di
speranza anche perché rappresenta un passo nel dialogo con culture
considerate molto lontane delle nostre, anche “nemiche”. Voi che cosa ne
pensate?
Stefania
Il viaggio di papa Francesco in Iraq, il più importante del suo
pontificato, si è rivelato un grandissimo segno di speranza. Lo avevamo
già intravisto nel breve stralcio del discorso che, in un video
messaggio, aveva rivolto al popolo iracheno, la vigilia della sua
partenza: «Vengo come pellegrino, come pellegrino penitente per
implorare dal Signore perdono e riconciliazione dopo anni di guerra e di
terrorismo, per chiedere a Dio la consolazione dei cuori e la
guarigione delle ferite. E giungo tra voi come pellegrino di pace, a
ripetere: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). Sì, vengo come
pellegrino di pace in cerca di fraternità, animato dal desiderio di
pregare insieme e di camminare insieme, anche con i fratelli e le
sorelle di altre tradizioni religiose, nel segno del padre Abramo, che
riunisce in un’unica famiglia musulmani, ebrei e cristiani».
Francesco si è recato in Iraq quale pellegrino penitente, con la più
sincera umiltà e, paradossalmente, con la chiara consapevolezza di non
aver nulla da vantare né di fronte a Dio, né di fronte ai fedeli di
altre religioni, se non la propria vicinanza e la propria fraternità; un
pellegrino penitente, quindi, in cammino sulle strade di quel
martoriato paese per annunciare la pace e la speranza, perdono e
riconciliazione, dopo anni di sanguinosi conflitti e terrorismo. Da
fratello umile e rispettoso, inoltre, si è posto in ascolto delle
sofferenze e delle speranze che pulsano nel cuore di ogni iracheno; con
attenzione si è lasciato provocare dalle loro testimonianze, restituendo
una ventata di speranza. Animato dall’impellente desiderio di
confermare nella fede la Chiesa irachena e di “essere a sua volta
confermato dalla sua testimonianza giunta sino all’effusione del sangue”
(cfr. Vatican News, editoriale di A. Tornielli), il papa argentino ha
camminato sui sentieri di quella terra “santa” dove tutto è iniziato,
accolto con tanta gioia dall’intero paese. Come mendicante, egli ha teso
la mano e aperto il cuore a tutte le religioni e ai governi, chiedendo,
in nome di Dio, giustizia e rispetto per tutte le minoranze,
proclamando la fraternità tra tutti i popoli che vivono su quella terra
che ha visto gli albori della storia della salvezza: «Voi siete tutti
fratelli» ha affermato ad ogni iracheno. In questo viaggio, sono emerse
in filigrana i temi dominanti nell’ultima enciclica “Fratelli tutti” e
nel documento sulla fraternità umana nel 2019 ad Abu Dabi, sottoscritto
da papa Francesco e dal grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb.
Fratelli, quindi, non nemici! Questo pellegrinaggio, infatti, ha aiutato
i credenti di tutte le religioni monoteiste e tutte le minoranze a
riconoscersi reciprocamente fratelli, perché figli dell’unico padre
Abramo.
Molto importante, dalla valenza simbolica forte, è stato lo storico
incontro con il grande ayatollah Sayyid Ali Al-Husaymi Al-Sistani!
Accomunati dall’unico desiderio di pace, di solidarietà e di bene per
tutti, questi due fratelli, si sono reciprocamente incoraggiati a
perseguire le vie di Dio che è sempre per la vita. Anche nella grande
preghiera interreligiosa, sulla piana di Ur, il papa ha aiutato i fedeli
di tutte le religioni a riconsiderare la propria origine comune:
“Questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti
dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. – ha esordito il
vescovo di Roma – Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di
tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un
viaggio che avrebbe cambiato la storia”. Una visita storia che ha
portato “Pietro” alla genesi della fede, là dove ogni credente in Dio
riconosce le proprie origini; in questo viaggio abbiamo visto che il
confronto e il dialogo con il mondo islamico è possibile, non solo nei
grandi eventi storici, ma anche nella quotidianità spicciola, vissuta
nella semplicità.
Non lasciamo cadere nell’oblìo quanto, con stupore, abbiamo visto in
questi storici giorni! L’esperienza profetica di papa Francesco può
diventare anche la nostra, nella misura in cui tentiamo di metterci in
gioco, per costruire e vivere relazioni fraterne sempre più libere e
autentiche! L’esempio del nostro papa ci aiuti a riconoscere, in ogni
fratello e in ogni sorella di culture molto diverse dalla nostra,
l’immagine di Dio e un segno della sua presenza.