Gruppi volontari

In tutti i nostri paesi esistono diversi gruppi, costituiti formalmente oppure spontanei, che in diverse occasioni dell’anno promuovono, organizzano e animano incontri, feste, tornei, gite, corsi di formazione, spettacoli, teatri, serate a tema, sagre, eventi sportivi, culturali, artistici, musicali, ecc.

Molte persone offrono il loro impegno a pi gruppi e donano buona parte del loro tempo libero al servizio degli altri senza nessun fine di lucro, solo perché credono al valore di ciò che fanno. I nostri paesi devono moltissimo a questa numerosa schiera di volontari che, chi più in vista, chi più nel nascondimento, impiegano tempo, forze, risorse ed energie per creare occasioni di aggregazione sana, vivace, bella e arricchente, preziose sia per i residenti che per i turisti.

Alcune di queste attività hanno anche un risvolto sociale, perché ci si mette al servizio degli altri in un’ottica educativa o di aiuto e sostegno alle persone: si pensi ad alcune proposte rivolte ai bambini, ai ragazzi, ai giovani, alle famiglie; a chi ha bisogno di ascolto, accoglienza, attenzione, integrazione; alle persone sole, anziane o fragili.

Alcuni di questi volontari operano direttamente all’interno delle proposte parrocchiali e il loro servizio è accennato nelle varie sezioni di questo sito. A tutti va il nostro apprezzamento e la nostra gratitudine.

Avvisi

@ Diario di un prete: Elogio del letargo. Il sonno della Chiesa e il futuro atteso

@ Diario di un prete: Elogio del letargo. Il sonno della Chiesa e il futuro atteso

In campo pastorale, i francesi la chiamano “la petite cuisine”, ed è l’attività pastorale di basso profilo, senza fantasia né slanci creativi particolari e con orizzonti ristretti; nella migliore delle ipotesi, la gestione dell’ordinario tradizionale.

LA “PICCOLA CUCINA”

Temo che anche noi a Bergamo e in Italia ci siamo dentro in pieno. C’è da dire che il contesto ecclesiale non aiuta molto: sempre le stesse facce, sempre la stessa minestra, gli stessi impegni, le stesse attese da parte dei fedeli (parlo da parroco), le stesse pretese, le stesse critiche sugli stessi dettagli marginali, la stessa refrattarietà alla minima proposta di cambiamento. Oppure, dall’altro versante, la stessa petulante proposta di ricette utopistiche che appagano indebitamente il cuore di chi le fa senza il minimo costo personale, e amareggiano ulteriormente quello di chi, nonostante la buona volontà, non riesce proprio ad andar fuori nemmeno di un metro dalla propria “piccola cucina”.

ANCHE I SUPERIORI FANNO LA “PICCOLA CUCINA”

Tra chi soffre per questa situazione e vorrebbe venirne fuori, senza riuscirci, c’è qualcuno che crede ancora che la gerarchia abbia in dotazione dei lumi particolari, e si aspetta quindi un aiuto risolutivo dall’alto. Ecco perciò l’attesa di prese di posizioni e direttive chiare da parte dei “superiori”, che blocchino d’autorità orientamenti ritenuti indebiti e spalanchino autostrade a orientamenti precisi ritenuti necessari per uscire dall’impasse. Ma non si tiene conto che anche loro, i nostri pastori, provengono dalle nostre stesse file e son cresciuti nella stessa “piccola cucina”. E poi, il più saggio che ho conosciuto di loro, quando gli ho fatto presente questa attesa della base, mi ha risposto: «Perché le cose vadano bene, mio caro, le idee non devono andare avanti o cadere per l’appoggio o il boicottaggio dell’autorità, ma per la loro consistenza nella dialettica reciproca».
Giusto, giustissimo! Ma in una “piccola cucina” è pensabile la capacità di progettare dialetticamente portate diverse, più adeguate ai bisogni nutrizionali di oggi?
È così che noi siamo finiti in una specie di letargo pastorale.

LETARGO PASTORALE

Sentii nominare per la prima volta la “létargie pastorale” dagli svizzeri romandi, quando, tra il ’70 e l’80, passai tra loro circa sette anni. Noi eravamo ancora in pieno fervore post-conciliare; essi invece stavano già sperimentando fortemente la crisi della scristianizzazione. Per loro incoraggiamento – ricordo – buttai là un’osservazione che li fece sorridere perché praticamente era l’elogio del letargo.
Il letargo – dicevo infatti – per l’opinione comune ha una nomea spregiativa; in realtà per molte bestie è l’unica preziosa risorsa che la natura ha loro regalato per non soccombere nei rigori invernali. Passato l’inverno, questi animali tornano a folleggiare alla vita vispi come non mai, perché nel frattempo la natura ha lavorato per loro come in una feconda incubazione.
Ora quell’osservazione consolatoria torna buona per me, per noi oggi, nel tedio immenso sia delle stagnazioni personali, sia di quelle ecclesiali. A una condizione però: che in questo periodo di letargo lasciamo lavorare la grazia e i doni dello Spirito santo, che effettivamente, continuano ad operare in chi , nonostante tutto, ha il cuore vivo e buono.
E c’è un’ultima osservazione da tener presente: gli zoologi affermano che il letargo è meno rischioso se gli animali interessati lo sopportano non isolatamente. ma insieme.

Don Giacomo Panfilo


Da www.santalessandro.org

29/02/2020 Categoria: Torna all'elenco