Gruppi volontari

In tutti i nostri paesi esistono diversi gruppi, costituiti formalmente oppure spontanei, che in diverse occasioni dell’anno promuovono, organizzano e animano incontri, feste, tornei, gite, corsi di formazione, spettacoli, teatri, serate a tema, sagre, eventi sportivi, culturali, artistici, musicali, ecc.

Molte persone offrono il loro impegno a pi gruppi e donano buona parte del loro tempo libero al servizio degli altri senza nessun fine di lucro, solo perché credono al valore di ciò che fanno. I nostri paesi devono moltissimo a questa numerosa schiera di volontari che, chi più in vista, chi più nel nascondimento, impiegano tempo, forze, risorse ed energie per creare occasioni di aggregazione sana, vivace, bella e arricchente, preziose sia per i residenti che per i turisti.

Alcune di queste attività hanno anche un risvolto sociale, perché ci si mette al servizio degli altri in un’ottica educativa o di aiuto e sostegno alle persone: si pensi ad alcune proposte rivolte ai bambini, ai ragazzi, ai giovani, alle famiglie; a chi ha bisogno di ascolto, accoglienza, attenzione, integrazione; alle persone sole, anziane o fragili.

Alcuni di questi volontari operano direttamente all’interno delle proposte parrocchiali e il loro servizio è accennato nelle varie sezioni di questo sito. A tutti va il nostro apprezzamento e la nostra gratitudine.

Avvisi

@ Diario di un prete: Covid, ripartenza e comunità: sta arrivando (forse) una Chiesa diversa

@ Diario di un prete: Covid, ripartenza e comunità: sta arrivando (forse) una Chiesa diversa

Le nostre comunità cristiane, nel post COVID, saranno diverse? Si, perché sono già cambiate. Sono consapevole di aver dato una risposta lapidaria a questa domanda, ma anche di non aver risposto con superficialità. Ho risposto dopo aver riletto con attenzione quanto avvenuto nelle mie comunità e in alcune comunità dove i pastori sono miei confratelli, che mi hanno raccontato quanto avvenuto anche da loro dalla fine del lockdown.

Le comunità cristiane sono cambiate

Certo, non siamo usciti dalla pandemia, le normative che regolano la vita sociale sono molte e decisamente restrittive, la paura ha ancora un ruolo fondamentale nell’orientare le scelte delle persone e il timore del tampone positivo, seppur da asintomatico, con tutto ciò che esso porta con sé per l’infetto e per chi ha avuto contatti con lui, costituisce un deterrente forte per tutti.

Tuttavia, ci sono alcuni dati: penso in particolare ai nostri volontari, dai catechisti ai baristi, a coloro che ricoprono ruoli da consiglieri nelle riunioni ecclesiali e negli impegnati nelle attività pratiche più svariate.

Ebbene, diversi hanno fatto un passo indietro, rinunciando al loro incarico nelle comunità.

Le motivazioni sono molte e diverse. C’è chi ha vissuto il dolore del lutto e ne porta i profondi segni nel cuore, c’è chi ha sperimentato nel suo corpo la malattia da COVID-19 e ne porta le conseguenze, qualcuno nella salute fisica, altri nella mancanza di serenità mentale. Con loro ci sono quelle persone, le più numerose secondo quanto ho potuto sperimentare, che, abbastanza avanti negli anni, dopo aver rinnovato annualmente la loro disponibilità, ad esempio nella catechesi, per motivi di coscienza, ossia perché avevano percepito che in caso di loro ritiro non ci sarebbero stati sostituti, questa volta hanno deciso di dire basta.

La parte “molle” della Chiesa ha abbandonato

Tuttavia, e qui si colloca il dato interessante che un po’ mi fa pensare in vista del futuro, ci sono anche persone giovani, almeno in apparenza non particolarmente segnate da problemi legati a quanto recentemente vissuto dalla nostra società, che si sono allontanate, quasi come questa situazione avesse costituito una sorta di “palla al balzo” da prendere per fuggire. Personalmente, mi sento di propendere ora per quelle tesi che affermavano, già nel tempo più duro della pandemia, che la “parte molle” della Chiesa non avrebbe retto all’urto di questa esperienza.

Con “parte molle”, espressione che spero non risulti offensiva per alcuno, si indicavano tutte quelle persone presenti nelle nostre comunità più per abitudine che per convinzione, le quali forse non hanno mai avuto il coraggio di decidere di prendere le distanze dalla comunità cristiana o anche solo dagli impegni in essa assunti, ma che l’esperienza della pandemia ha spinto semplicemente a non ripresentarsi alla ripresa della vita delle comunità, soprattutto ora che si sta cercando, con fatica, di tornare a camminare insieme. Questo dato, lungi dal volersi configurare come un giudizio su qualcuno, suggerisce invece, dal mio punto di vista, il criterio fondamentale per la “ripartenza”.

Se la “ripartenza” sarà vissuta come un puro e semplice tentativo di ripristino della situazione “pre-COVID”, a mio parere si pongono le basi per un fallimento quasi certo:

la pandemia e l’esperienza che ne è scaturita per la nostra società, e quindi anche per la Chiesa che in essa è radicata, hanno costituito una sorta di acceleratore di dinamiche che, senza COVID, avremmo visto svilupparsi entro qualche anno e che invece si sono verificate, insieme, già ora. Per questo la “ripartenza” non potrà evitare le questioni di senso, che conducano a confronto sulla fede, sul Vangelo, sull’essere comunità, sul “fare Oratorio” oggi e tanto altro. Non si tratta di

tornare a riempire agende, ma di dare senso, aiutando chi ha il cuore lacerato o affaticato a sentirsi a casa nella sua comunità, rileggendo insieme quanto tutti abbiamo vissuto, non ripartendo come se nulla fosse accaduto e come se le mascherine e gli igienizzanti fossero soltanto una sorta di nuova moda del momento.

Ci sarà da ricostruire la comunità, ci sarà da far fatica. Dovremo farlo insieme, in fraternità, innanzitutto attorno all’altare dove si rende presente Colui che dà senso a tutto.      

Don Alberto Varinelli


Da www.santalessandro.org

11/10/2020 Categoria: Torna all'elenco