Comincia con questa domenica ad apparire
in modo più evidente il tema della fine dell’anno liturgico e
dell’inizio del nuovo, con le parabole “escatologiche”.
La questione dello sposo e della sposa
nell’Antico Testamento è la questione dell’alleanza tra Dio e l’uomo.
L’uomo è un essere di appartenenza ed è il rapporto con Dio a
determinarne l’identità. Nell’Antico Testamento la differenza tra saggio
e stolto sta proprio nel sapere a chi si appartiene. Lo stolto è colui
che sbaglia il bersaglio perché non sa a chi appartiene e non costruisce
sulla roccia ma sulla sabbia, cioè vive un’esistenza senza un vero
fondamento. È questa sapienza del mondo - dove l’uomo è l’epicentro di
tutto – che Cristo è venuto a rovesciare, facendola diventare stoltezza
(cf Lc1,51-54).
In che cosa consiste allora la sapienza
di queste cinque vergini sagge che tengono in mano non piccole lampadine
ma delle vere e proprie fiaccole, con un contenitore dell’olio che fa
uscire una fiamma decisa e che è praticamente impossibile spegnere? Il
loro modo di ragionare parte dalla fine, cioè dall’incontro con lo Sposo
dove assolutamente non si possono trovare senza fuoco, altrimenti
inutile aspettarlo. Tanto più non sapendo quando arriverà. Il
ragionamento è tutto in funzione dell’incontro ed è questa la sapienza:
creare una mentalità che tiene continuamente la sua sorgente in ciò che è
il senso, cioè l’incontro con il Signore, quello definitivo. E nel
frattempo tener fede al proprio compito. Questo significa non solo
sapere che appartengo al Signore, ma organizzare la mia vita in modo
tale che veramente posso appartenere definitivamente a Lui.
È curioso che queste luci devono
illuminare lo Sposo quando arriva, devono fargli strada, illuminare il
suo volto perché la gente veda la sua bellezza.
Che è lo stesso senso delle nostre opere, affinché splenda qualche cosa sul volto di Dio.
L’olio da dove la lampada prende la luce
è, praticamente per l’unanimità dei Padri, la carità, o meglio lo
Spirito Santo: la carità è un frutto, è lo Spirito Santo a versarla nei
nostri cuori (cf Rm5,5). L’olio è lo Spirito Santo; la carità infatti ti
fa amare l’altro, ti fa donare tutto, ti fa unire all’altro, ma non è
possibile trasmettere da noi stessi la sorgente dell’amore. Lo Spirito
Santo lo possiamo contemplare l’uno nell’altro, ma uno solo è il
donatore, il Padre, per mezzo del Figlio, cioè per mezzo della Chiesa.
Siccome questa parabola parla di Israele
che è stato scelto per preparare la via al Messia, per attenderlo e
riconoscerlo come il vero Sposo, allora è tanto più evidente che bisogna
essere pronti anche perché lo Sposo può tardare. Bisogna imbeversi di
quello Spirito alla luce del quale possiamo dire che Cristo è il
Signore. È proprio su questo non si può essere leggeri e contare sugli
altri. La salvezza è sempre personale.
Anche se tutte si sono addormentate, le
sagge erano pronte comunque, proprio perché hanno vissuto e pensato in
vista di questo incontro, che dipendeva dallo Sposo. Infatti era in
ritardo, ma loro non erano prese alla sprovvista. Mentre una parte di
Israele era troppo sicura di sé, dei suoi calcoli e delle sue abitudini e
non si incontrano.
Il senso della vita dell’uomo, come
diceva s. Serafino di Sarov, è acquisire lo Spirito Santo, essere
abitati dallo stesso Spirito che ha abitato lo Sposo. Avere lo stesso
soffio che ha lo Sposo.
Ci si addormenta, ma la differenza è
trovarsi con o senza l’olio. È lo Spirito Santo che ci fa riconoscere lo
Sposo ed è la ragione per cui Lui ci riconoscerà.
Il Padre darà lo Spirito a coloro che
glielo chiedono. E chiederlo è l’inizio della sapienza, perché tiene
conto dell’incontro finale, ragiona a partire da questo evento.
Il vangelo in poche parole