Si certo, arriva un ennesimo Natale.
E in qualche modo ci stiamo preparando e leggiamo pure e meditiamo i
vangeli insieme a Curtaz, o a padre Ermes, o a Maggi e Armellini che ci
aiutano. E ci stiamo anche dando da fare per ritagliarci un qualche
spazio di sopravvivenza in quella notte. Che so, un po’ di preghiera in
silenzio, mezza giornata di ritiro in parrocchia, la novena…
E passeremo anche questo Natale, fidatevi, speriamo indenni, forse un po’ scossi o amareggiati.
Perché Natale, smettiamola di fingere, è un coltello piantato nella carne dei buoni sentimenti, nel nostro io bambino che aspettava quella notte come la notte.
Allora, prima sommessamente, poi tambureggiante, insostenibile, sorge
un dubbio che, santamente, cerchiamo di ricacciare nel buio dell’oblio.
Ma più lo allontaniamo da noi, relegandolo nella periferia della mente e
più incalza, feroce.
Ha senso tutto questo? Davvero siamo stati salvati? E da chi, da cosa?
Non è cambiato molto dopo duemila anni, dai.
E anche noi cristiani stiamo dando al mondo un osceno spettacolo di
incoerenza: proprio i popoli che hanno accolto il Vangelo sono fra i più
agguerriti predatori del pianeta, indifferenti alle esigenze di altri
popoli che non esitiamo a sottomettere economicamente.
La dico io, visto che non osate: e se fossimo presi la più colossale cantonata della Storia?
Se Gesù, alla fine della fiera, grandissimo uomo di Dio, affascinante
e colto, amabile e amato, altri non fosse che uno dei o, se volete, il
principale fra gli idealisti che hanno calpestato questo pianeta?
Se, davvero, questa storia di Dio che viene, fosse una solenne delusione?
Tranquilli; siamo legittimati ad avere tutti i dubbi del mondo.
Perché dubbioso è stato il più grande uomo mai visto sulla terra.
Il profeta Giovanni.
In carcere
Giovanni ha perso. Sta per essere ucciso, spazzato via
dall’irritazione di una donna che non sopporta la verità e dal suo
amante, re-fantoccio, che non sa decidersi.
Così finisce il grande movimento del Battista che ha radunato attorno
a sé migliaia di persone avvinte dalla sua predicazione. E, prima
ancora, avvinte da lui.
Ma ora Giovanni è scosso.
È scosso soprattutto per le notizie che gli giungono da lontano.
Dalla predicazione del Nazareno.
Nessuna ascia. Nessun albero tagliato. Nessuna rivoluzione. Nessun fuoco a divorare gli impenitenti.
Niente. Nulla. Nada.
Gesù non minaccia, perdona.
Non incute timore, accoglie.
Giovanni è scosso. E se si fosse sbagliato?
E quanta compassione suscita il dubbio di un profeta. Di quel profeta.
Se il più grande dei profeti ha avuto un dubbio così devastante, perché non io?
Sei tu?
Sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?
Questa storia che si incarta sempre negli stessi errori si può salvare?
Questo uomo che cresce in ogni conoscenza ma non nella saggezza, si può redimere?
E di più e peggio: questo Dio che si è svelato, alla fine, ha cambiato qualcosa?
Cosa stiamo per celebrare fra qualche settimana? Una innocua e insopportabile fiera della bontà?
Dubbi su dubbi. Dubbi che vedo diffondersi in questa lunga notte dell’uomo, in questa ipertrofia dell’anima.
Dubbi che mi vengono confidati da questo pulpito di byte, di persone belle, di chi ci ha creduto, di chi si è giocato fino in fondo.
Lo ha avuto Giovanni questo coraggio e lo abbiamo anche noi.
E se ci fossimo sbagliati?
Andate a dire a Giovanni
Gesù non dà una risposta ai discepoli del Battista. E nemmeno a noi.
Ci lascia nel dubbio. Ci obbliga a fare un salto. A vedere oltre.
E riprende la profezia di Isaia che abbiamo appena letto.
I ciechi vedono. I sordi odono. I muti parlano. I morti risorgono.
Sì, è vero. Ma quanti ciechi e sordi e muti e morti sono rimasti tali.
Nulla di eclatante, briciole, segni sfumati.
È lo sguardo che cambia.
Gesù non rassicura Giovanni. Non rassicura noi. Ci dice di spalancare lo sguardo.
Dice a Giovanni e a noi: guardati intorno.
Guardiamoci intorno e riconosciamo i segni della presenza di Dio:
quanti amici hanno incontrato Dio, gente disperata che ha convertito il
proprio cuore, persone sfregiate dal dolore che hanno imparato a
perdonare, fratelli accecati dall’invidia o dalla cupidigia che hanno
messo le ali e ora sono diventati gioia e bene e amore quotidiano,
crocefisso, donato.
Guarda, Giovanni, guarda i segni della vittoria silenziosa della venuta del Messia.
Anch’io li ho visti, quei segni.
Anch’io ho visto la forza dirompente del Vangelo, ho visto persone
cambiare, guarire, scoprire. Anch’io ho visto nelle pieghe del nostro
mondo corrotto e inquieto gesti di totale gratuità, vite consumate nel
dono e nella speranza, squarci di fraternità in inferni di solitudine ed
egoismo.
Ho visto e vedo i tanti segni del Regno.
Ho visto me. E quanto il Vangelo mi ha cambiato.
Cosa siete andati a vedere?
E Gesù rilancia.
Cosa siete andati a vedere?
Non dice ad ascoltare. Perché Giovanni e la sua vita sono il suo annuncio e la sua profezia.
Perché le parole non bastano, non servono, a volte sono in contraddizione con quanto diciamo.
Giovanni no: è un profeta asciutto e rude, consumato dal vento e dal fuoco di Dio.
E questo fuoco si vede da lontano.
Siamo chiamati ad annunciare il Vangelo. A volte anche con le parole.
Di questo, forse, dovremmo preoccuparci; diventare noi quella profezia.
Davanti ai tanti che si chiedono se dobbiamo aspettarne un altro,
Gesù indica a Giovanni i tanti segni della presenza di Dio e ai suoi
discepoli Giovanni, profezia vivente.
Siamo noi quella profezia per le persone che incontreremo in questi ultimi giorni prima del Natale.
Se lo vogliamo.