Nella parte più profonda
«Proporre
all’uomo soltanto l’umano è tradire l’uomo e volere la sua infelicità,
perché dalla parte principale di se stesso, che è lo spirito, l’uomo è
chiamato a qualcosa di meglio di una vita puramente umana». Scriveva così J. Maritain, nella sua grande opera che porta significativamente il titolo di Umanesimo integrale,
pubblicata nel 1936. La domanda di fondo che guidava Maritain in quegli
anni riguardava proprio ciò che realizza pienamente una persona.
Oggi, ancor più che negli anni ’30, siamo indotti a pensare all’uomo
solo alla luce dei suoi bisogni fisici, delle sue soddisfazioni
personali, eppure è sempre più chiaro che se non curiamo quella parte
più profonda e propria dell’essere umano, che è il suo spirito, egli
rimane sempre infelice.
Vivere o sopravvivere?
Ce
ne siamo accorti anche in questi mesi, dove la pandemia ci ha impedito
di accompagnare i nostri cari nella loro morte, ci ha allontanato dai
nostri affetti, ci è stata tolta persino la possibilità di partecipare
all’Eucaristia. Paradossalmente, abbiamo sperimentato solo adesso quel
vuoto che ci fa comprendere ciò senza cui non possiamo vivere.
Vivere qui vuol dire vivere pienamente, perché
abbiamo anche sperimentato che si può semplicemente sopravvivere, ci si
può accontentare, senza farsi troppe domande. Ma questa differenza tra
sopravvivere e vivere pienamente ci può far comprendere meglio le parole
di Gesù sul pane, sulla sua carne e sul suo sangue, con cui vuole
nutrirci. La carne e il sangue indicano chiaramente la vita di una
persona: Gesù vuole nutrirci della relazione con lui. E se abbiamo fatto
esperienza di come le relazioni possono cambiare la qualità della
nostra vita, possiamo assaporare forse cosa significa vivere nella
relazione con Gesù attraverso l’Eucaristia.
Il cammino della vita
Lungo
il cammino della vita ci nutriamo di tante cose, altre volte invece
sperimentiamo la fame perché non troviamo quello che cerchiamo. Anche il
libro del Deuteronomio al cap. 8 ci presenta la vita come un viaggio
attraverso il deserto, un viaggio però che non è un vagabondare, ma un
pellegrinaggio, cioè un cammino verso una meta. Si tratta infatti del
cammino attraverso cui Israele cerca la terra che Dio gli ha indicato,
una terra, che costituisce il luogo della relazione con Lui, una terra
nella quale non sopravvivere da schiavo, ma essere una persona libera e
profondamente amata.
Quel cammino diventa emblematico per Israele, ma diventa anche il
paradigma del cammino di ogni uomo. Se infatti rileggiamo quel testo, ci
accorgiamo come ciascuno di noi possa ritrovarsi in quegli elementi che
accompagnano il viaggio di Israele. Si tratta anzitutto di un viaggio
che dura quarant’anni ovvero una vita intera, un viaggio durante il
quale capita di essere umiliati e messi alla prova: umiliati perché ci
rendiamo conto di non avere le forze per camminare da soli, messi alla
prova perché gli eventi della vita ci svelano, ci conosciamo e siamo
conosciuti attraverso le scelte che operiamo, attraverso le nostre
reazioni. Quello che ci portiamo nel cuore, nel bene e nel male, non
resta mai nascosto.
Di cosa ho fame?
La
fame è la compagna di ogni cammino. E molto spesso la fame è
accompagnata dalla paura di non trovare un cibo adeguato. La nostra vita
dipende da come abbiamo gestito questa fame: alcuni mangiano quello che
capita, altri non distinguono quello che nutre da quello che avvelena,
altri ancora preferiscono andare a caccia da soli, altri si propongono
di condividere anche il poco che hanno. La vita spirituale in fondo
consiste nell’accorgersi che Dio stava già provvedendo alla nostra fame e
che non ci ha mai lasciato senza cibo. Al contrario, il peccato è
illudersi che quello che ho me lo sono procurato da solo, con i miei
sforzi e la mia astuzia. Proprio per questo il peccato non ci permette
di accedere all’Eucaristia perché non ci apre alla relazione con Dio. Ci
fa sentire autosufficienti.
Dichiarazione d’amore
Ricevere
il corpo di Cristo richiede un passaggio fondamentale, esige di
prendere consapevolezza della propria fame più profonda. Occorre
rendersi conto che sopravvivere non basta, perché la nostra parte più
profonda e vera trova risposta solo nella relazione più intima e
autentica che l’essere umano possa vivere, la relazione con Dio in Gesù
Cristo.
L’Eucaristia è la dichiarazione d’amore di Dio per ogni uomo, perché
in essa Egli dice che vuole nutrirci con la sua vita, vuole darsi a noi
corpo e sangue, cioè con tutta la sua persona. È un atto coraggioso,
perché Dio si espone anche al rifiuto. Come ogni vero amante ci lascia
nella libertà di accogliere o meno il suo dono. E forse molte persone lo
rifiuteranno, perché si sazieranno di cibi così superficiali e poveri
da non rendersi più conto di cosa hanno fame veramente.
Il vangelo in poche parole