Le tre parabole presenti nel Vangelo di questa
domenica, «la pecorella smarrita» (Lc 15,4-9), «la moneta perduta» (Lc
15,8-10); «il padre misericordioso e i due fratelli» (Lc 15,11-32) si
collegano all’incipit nel capitolo 15 di Luca: «Si avvicinarono
a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli
scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con
loro”» (Lc 15,1-2). Ognuna però lo fa per una sua strada. Il messaggio è affine ma non identico.
Tutte simboleggiano la misericordia di Dio, la
quale, a seconda delle circostanze, percorre vie in parte diverse. Un
raccordo tra le tre parabole è costituito dal verbo «perdere» (apollymi-apollyo):
il pastore perde la pecora, la donna la moneta, il padre dichiara per
due volte la propria gioia per il ritorno del figlio perduto (cf. Lc
15,24.32). L’insieme di questi tre ambiti tende a indicare,
nell’alternarsi dell’uso attivo e di quello medio del verbo, tre diversi atteggiamenti assunti nei confronti dello smarrimento:
il pastore perde la pecora e nel contempo la pecora si perde; la donna
perde la moneta senza che quest’ultima sia nelle condizioni di agire in
alcun modo; il figlio si perde senza che ciò sia direttamente imputabile
al padre.
Le prime due parabole sottolineano soprattutto la ricerca di quanto si era perduto.
Proprio questa insistenza ha fatto sì che, da sempre, la figura del
pastore sia stata letta in chiave cristologica. La conclusione della
parabola presente in Matteo lo indica già apertamente: «Così è volontà
del Padre vostro che è nei cieli che neanche uno di questi piccoli si
perda» (Mt 18,14). E se qualcuno in precedenza si era smarrito, allora
occorre andarlo a ricercare. Gesù dichiara di essere stato mandato alle
pecore perdute della casa d’Israele (cf. Mt 15,24), lo stesso compito è
da lui affidato ai Dodici (cf. Mt 10,6). Fa parte della più antica
iconografia cristiana simboleggiare Gesù attraverso la figura di un pastore
con una pecora in spalla (cf. Lc 15,5). Conviene notare che la pecora
si era perduta con le proprie gambe, mentre ritorna al gregge sorretta
dal pastore. La simbologia è inequivocabile: ci si smarrisce da soli, si
ritorna solo se aiutati (a dircelo è anche l’inizio della Divina Commedia).
La conclusione della prima parabola è festosa
(«Rallegratevi con me», Lc 15,6); lo stesso avviene al termine della
seconda («Rallegratevi con me», Lc 15,9); la simbologia profonda legata a
questo duplice invito è svelata dallo stesso Vangelo: vi è gioia in
cielo davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte
(Lc 15,10).
Entrambe le parabole comunicano un identico messaggio, tuttavia la seconda,
a differenza della prima, non ha mai dato luogo a rappresentazioni
cristologiche. Le ragioni sono molteplici; tra esse vi è senz’altro la
rilevanza assegnata dalla Bibbia alla figura del pastore (cf. Sal 23,1;
Ez 34,1; Gv 10,1-16). Tuttavia viene il sospetto che si sia avvertito
anche un certo disagio nel constatare il contesto tutto femminile della
parabola: la donna perde la moneta, la cerca e la trova e con lei si
rallegrano amiche e vicine. Questa immagine sembra voler comunicare il
fatto che la ricerca del peccatore perduto svela una componente femminile di Dio.
Ci chiediamo: il fatto di avere in gran parte trascurato questo
aspetto, non è forse stato per la tradizione cristiana anch’esso motivo
di smarrimento?
Il contesto della terza parabola è dal canto suo tutto maschile.
In ciò si trova, probabilmente, uno dei motivi del perché la sua
conclusione approda a una festa più contrastata che corale. In realtà la
ragione più profonda di questo esito è un’altra. Gli amici e i vicini
(Lc 15,6), le amiche e le vicine (Lc 15,9) si rallegrano perché il
ritrovamento rispettivamente della pecora e della moneta è per loro un
motivo di gioia condivisa; nessuno tra loro vive la festa come una forma
di ingiustizia nei propri confronti; in queste circostanze è facile
condividere l’allegrezza altrui.
Il fratello maggiore invece vede nella festa organizzata per suo
fratello una forma di ingiustizia commessa nei propri riguardi (cf. Lc
15,28-29). Con la comparsa del «terzo» sorge il problema della giustizia. Al contesto maschile della terza parabola si prospetta perciò il problema (ignoto alle prime due) di coniugare assieme misericordia e giustizia
(cf. Sal 84,11). Il discorso resta aperto: non si sa se e come il
fratello maggiore abbia risposto alle argomentazioni paterne, allo
stesso modo ci è ignoto come farisei e scribi abbiano reagito alle tre
parabole. Quanto davvero conta è però sapere come rispondiamo noi.
Il vangelo in poche parole