«La parola l’ho detta tante volte: rischia!
Rischia. Chi non rischia non cammina. “Ma se sbaglio?”. Benedetto il
Signore! Sbaglierai di più se tu rimani fermo».
Papa Francesco
L’urgenza della decisione
La vita ci mette continuamente davanti a delle possibilità e quello
che siamo oggi è il frutto delle scelte che abbiamo operato. Quando ci
ritroviamo davanti a queste possibilità siamo presi inevitabilmente da
un sentimento di angoscia. Ci rendiamo conto che il nostro futuro,
l’immagine di noi stessi, dipende anche dalla scelta che faremo. Davanti
a una decisione siamo fondamentalmente da soli, perché nessuno può
scegliere al nostro posto. E per lo più non si tratta di decidere tra
bene e male, ma tra diversi beni, alcuni dei quali lo sono in realtà
solo in modo apparente e lusinghiero.
L’immagine del deserto in cui Gesù si trova in questo passo del
Vangelo di Luca, così come il deserto che Israele deve attraversare,
sono l’immagine di questa solitudine radicale nella quale ci troviamo
quando siamo chiamati a decidere. Se lo Spirito ci guida nel deserto
della decisione, è altrettanto vero che il Nemico cercherà di
allontanarci dalla nostra felicità.
Il peso delle attese
Il testo di Luca sulle tentazioni di Gesù si colloca immediatamente
dopo l’episodio del battesimo e prima dell’inizio del ministero di Gesù a
Nazareth. Questa collocazione del brano offre una prima chiave per
capirne il senso. Gesù ha accolto la missione che il Padre gli ha
affidato, esprimendo il suo compiacimento quando Gesù esce dalle acque
del Giordano. Ora, però, prima di intraprendere la sua missione, Gesù è
guidato dallo Spirito per decidere che tipo di Messia vuole essere.
Questo testo di Luca sta al posto di quello che potrebbe essere un
discorso programmatico di Gesù come Messia. Al tempo di Gesù c’erano in
fatti molte attese su questa figura, attese complesse, diversificate,
ambigue. Davanti alle attese che il mondo ha su di noi, abbiamo bisogno
di allontanarci, di prendere le distanze, per confrontarci con i nostri
desideri e con i valori che vogliamo realizzare.
Il deserto della decisione
Tutto il racconto delle tentazioni colloca sullo sfondo un’altra
storia, quella del popolo (Dt 26,4-10). Si tratta di un popolo che ha
attraversato il deserto e proprio lì, per quarant’anni, come i quaranta
giorni di Gesù nel deserto, si è confrontato con le paure, con
l’indecisione, con gli ostacoli della vita. Per Israele il tempo del
deserto è stato però anche il tempo della maggiore intimità con Dio, il
tempo cioè in cui ha sperimentato di essere amato, il tempo in cui si è
reso conto che Dio si prende cura del suo popolo. Nella vita di ognuno
di noi, il tempo della decisione per quanto complesso e faticoso è anche
il tempo in cui possiamo sperimentare la cura premurosa che Dio ha per
la nostra vita.
Una dimensione quotidiana
La tentazione fa parte delle dinamiche della vita e si presenta
inevitabilmente quando nasce in noi il desiderio di servire: «Figlio, se
ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» (Sir
2,1). Come mostra la prima tentazione, si tratta di una dimensione
quotidiana dell’esistenza. La tentazione si insinua nella fame
inevitabile che accompagna la nostra vita.
La fame è una dimensione ordinaria e frequente, come a dire che la
tentazione si presenta nella nostra quotidianità. Del resto anche Adamo
viene tentato attraverso l’azione del mangiare. È evidente dunque che si
tratta della possibilità di usare in modo sbagliato le relazioni con il
mondo. Mangiare significa infatti metterci in relazione con ciò che sta
fuori di noi, creare un legame intimo, nutrirci di quello che ci sta
davanti. Possiamo infatti usare le cose in maniera violenta, vorace,
così come possiamo usare gli altri per soddisfare la nostra brama di
possesso. Il modo in cui mangiamo dice molto del nostro modo di metterci
in relazione con il mondo: ci sono quelli che mangiano pensando solo a
se stessi, ci sono quelli che non si controllano quando mangiano, ci
sono purtroppo anche coloro che si rifiutano di mangiare.
Nel mangiare esprimiamo diversi modi, a volte distorti, di metterci
in relazione con il mondo. Il Nemico vuole indurre Gesù a mangiare
utilizzando il privilegio. Gesù ha fame ed è capace di trasformare le
pietre in pane. Non ci sarebbe niente di male, eppure Gesù si rifiuta di
usare questo potere per se stesso, senza essere visto, solo per
soddisfare una sua esigenza. Gesù si rifiuta di entrare in relazione con
il mondo secondo la logica del privilegio. E sta dicendo di fatto che
tipo di Messia vuole essere.
Il modo in cui affrontiamo le tentazioni costruisce la nostra identità. Il verbo peirazo,
usato qui per esprimere l’azione del tentatore, significa infatti
propriamente ‘far venir fuori’, ‘mettere alla prova’. Il modo in cui
affrontiamo quotidianamente le tentazioni ci fa venir fuori per quello
che siamo.
A fin di bene…
La tentazione si presenta spesso attraverso l’ambiguità, ci spinge a
usare mezzi illeciti pur di arrivare a uno scopo in sé buono. Qui si
tratta dell’alleanza con il male per fare qualcosa che alla fine sarà
magari anche buono per sé o per gli altri. Quante scelte, non solo
personali, ma anche sociali, sono passate e passano attraverso questa
dinamica. Abbracciamo i mezzi e le modalità del male, nascondendoci
dietro il pretesto che alla fine sarà un bene per tutti.
Il bisogno di conferme
C’è poi un volto della tentazione ancora più oscuro. È quello che
sopraggiunge nei momenti in cui ci sentiamo precipitare nel vuoto, i
momenti di difficoltà, di disperazione, dove ci prende la tentazione di
pensare che Dio non ci soccorrerà, Dio non verrà in nostro aiuto. Ci
comportiamo come figli capricciosi, figli che pretendono una conferma
continua dai propri genitori. Ma che amore è quello che ha bisogno di
una continua conferma? Il Nemico vuole spingere Gesù a sperimentare il
suo potere di figlio capriccioso, di un figlio che può godere del
privilegio di costringere il padre a venire in suo soccorso ogni volta
che ne ha bisogno. È la tentazione che sperimentiamo nel dubbio di non
essere amati.
Gli altri nella mia decisione
Gesù non affronta la tentazione da solo, in maniera autoreferenziale,
come se fosse una questione solo sua. Le sue decisioni coinvolgono
anche altri e si collocano all’interno della storia di un popolo, così
come le nostre decisioni non sono mai solo un affare nostro.
L’evangelista rende questa relazione tra Gesù e il popolo attraverso le
risposte che Gesù contrappone alla tentazione, si tratta infatti di
citazioni dal libro del Deuteronomio che percorrono momenti fondamentali
della storia di Israele: il popolo che mormora contro Dio perché stanco
di mangiare sempre la manna (Dt 8,3); la consegna della legge che
permette di restare nella relazione con Dio (Dt 6,3 ss.); la
provocazione nei confronti di Dio a Massa e Meriba (Dt 6,16).
Quando siamo più deboli
Proprio perché la tentazione accompagna la quotidianità della nostra
vita, essa ritorna nei momenti di maggiore debolezza. Il Nemico lascia
Gesù con il proposito di tornare al momento opportuno. Quel momento
arriverà quando Gesù si troverà solo e tradito nell’orto degli Ulivi e
quando si sentirà abbandonato mentre pende dalla croce. È il momento
della solitudine totale. E ancora una volta, Gesù sarà chiamato a
decidere. La tentazione si presenta con il volto dell’auto-salvezza. Le
voci suggeriscono a Gesù di salvare se stesso, di mettersi prima degli
altri, di pensare prima a se stesso.
Non possiamo non riconoscere come, anche nel nostro tempo, questa
tentazione continui a tornare, sempre sotto l’apparenza di un bene
giustificato e persino sacro. Come Gesù, anche noi siamo chiamati a
svelare il volto della tentazione e a scegliere secondo la logica della
croce e non secondo la logica dell’interesse personale.