Il brano del vangelo secondo Marco proposto oggi dalla liturgia
contiene il titolo dell’opera, particolarmente significativo, e quindi
la conformità di tale titolo alla profezia di Isaia compiutasi nella
missione di Giovanni il precursore. La prima parola del titolo è
“inizio” (arché), la stessa con cui si apre il libro della
Genesi, dunque il libro delle sante Scritture dell’antica alleanza. Si
inaugura infatti una nuova storia, una nuova creazione, con la
proclamazione della “buona e bella notizia” (euanghélion), del gioioso messaggio riguardante l’evento di Gesù, il Messia, il Figlio di Dio.
Il disegno della salvezza è giunto a compimento, l’Antico Testamento,
che era gravido del Messia, si è compiuto: ora c’è come un nuovo
inizio, l’inizio del tempo messianico. E se nei profeti la buona notizia
riguardava la venuta di Dio tra gli umani, nella nostra storia (“Ecco,
il Signore Dio viene!”: Is 40,11), ora questa notizia indica che tale venuta si è attuata in Gesù Cristo. Gesù, il cui nome Jeshu‘a
significa “il Signore salva”, è l’Unto del signore, il Messia, il
discendente di David atteso da Israele particolarmente in quei giorni.
Gesù, questo uomo galileo nato da Maria, è il Cristo e come tale è il
Figlio di Dio secondo i salmi (si pensi solo ai salmi 2 e 110); è il Figlio di Dio perché acclamato dalla sua comunità quale risorto, Kýrios, Signore vivente; è il Figlio di Dio proclamato alla fine del vangelo dal centurione romano, ai piedi della croce (cf. Mc 15,39).
Quando Marco mette per iscritto la sua opera, la messianicità e la
filialità divina di Gesù sono proclamate dalla chiesa, dunque con questi
titoli si indica in Gesù ben più del Messia umano: è Dio venuto in
mezzo a noi! Questo inizio però non è stato un evento accaduto per caso,
ma è inscritto nella storia di un popolo, Israele, è un evento che
porta a compimento le sante Scritture, soprattutto la profezia di Isaia.
Il Vangelo inizia inserendosi sulla scia della parola di Dio già
rivelata, perché – come scrive l’Apostolo Paolo – è stato preannunciato
nelle Scritture per mezzo dei profeti (cf. Rm 1,2).
Il Cristo era stato promesso da Dio ed era stato invocato e atteso dai
poveri e umili credenti nel Signore: dunque ora tutto si compie come (kathós) era stato scritto.
La comparsa di Giovanni è conforme alla parola profetica di Isaia sulla voce che grida nel deserto (cf. Is 40,3) e a quella di Malachia che annuncia un messaggero inviato davanti al Signore (cf. Ml 3,1, unito a Es 23,20).
Ecco allora che Giovanni il Battista, il Battezzatore, entra in scena
per rivelare la venuta di Gesù, ormai presente nella storia, discepolo
tra i suoi discepoli, ma nascosto, non ancora manifestato nella sua
identità. Come Malachia aveva rivelato che la venuta di Dio sarebbe
stata preceduta da un messaggero il quale avrebbe aperto la strada
davanti al suo volto, così è accaduto. Nel deserto Giovanni è voce di
uno che grida: “Preparate una strada al Signore, fate diritti i suoi
sentieri”. La profezia, che da secoli taceva, ha di nuovo una voce e
parla con l’invito di sempre alla conversione, a ritornare al Signore.
Secondo la tradizione giudaica sarà il profeta Elia, messaggero
annunciatore della fine dei tempi e del giorno grande e terribile del
Signore (cf. Ml 3,23), a far risuonare di nuovo la parola del Signore. Sì, Giovanni è il nuovo Elia (cf. Mc 9,13),
che entra in scena nel deserto, nella regione circostante il Giordano,
prima che esso sfoci nel mar Morto. Porta un abito come quello di Elia
(cf. 2Re 1,8) e dei profeti (cf. Zc 13,4);
suo cibo sono i prodotti spontanei della natura, radici e miele
selvatico; la sua vita ascetica, ruvida, è quella di un uomo che non
frequenta né i potenti né i luoghi urbani. Eppure “tutta la regione
della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme”, espressioni
enfatiche, vengono a lui nella solitudine del deserto. Di Giovanni il
Battista abbiamo notizia non solo nei vangeli ma anche in fonti
giudaiche (tra cui soprattutto Giuseppe Flavio), che ci testimoniano del
suo successo: egli aveva un ampio seguito tra i figli di Israele,
soprattutto tra i credenti semplici, che mendicavano da Dio misericordia
e perdono e che certo non potevano vantarsi di praticare le osservanze
fissate da uomini religiosi i quali non conoscevano il duro mestiere di
vivere.
Nella stessa regione – oggi lo sappiamo – vi erano diversi gruppi,
tra i quali la comunità essenica di Qumran, nella quale si attendeva il
Messia, si praticavano immersioni per ottenere la purificazione e si
offrivano a Dio come sacrificio l’ascolto, lo studio delle sante
Scritture e la lode, in una liturgia comune che aveva rinunciato ai
sacrifici del tempio di Gerusalemme. Giovanni faceva forse parte di
questi gruppi? Certamente li conosceva, ma non abbiamo notizie
sufficienti per collocarlo all’interno di uno di quei movimenti
religiosi, anche se il suo apparteneva alla medesima costellazione.
Giovanni chiede la preparazione di una strada al Signore e la
conversione in vista della remissione dei peccati. Perché preparare una
strada al Signore? Perché il Signore non chiede mai che apriamo
una strada davanti a noi e la percorriamo per andare a lui, ma
esattamente il contrario: chiede di sgomberare la strada sulla quale
egli raggiunge noi, viene verso di noi. La strada non è la nostra, ma la
sua, del Signore! L’incontro è dovuto alla sua grazia, alla sua ricerca
di ciascuno di noi, non a una nostra iniziativa. Egli viene infatti
sulla via della misericordia e del perdono, che lui solo può tracciare:
noi possiamo incontrarlo solo se riconosciamo il nostro peccato. Il
peccato, infatti, è peccato, è contraddizione al Signore, ma è la sola
possibilità affinché diventiamo consapevoli di incontrare il Signore.
Solo un cuore spezzato, un cuore che si riconosce nella colpa e confessa
il proprio peccato, può fare esperienza di Dio. Non a caso, quando Mosè
chiede a Dio: “Indicami la tua via, così che io ti conosca e trovi
grazia ai tuoi occhi” (Es 33,13),
la versione aramaica del Targum parafrasa: “Indicami la via della tua
grazia, perché io possa conoscere la tua misericordia”. Il Signore ci
precede sempre, nella chiamata, nell’incontro, nell’amore, “il suo volto
cammina con noi” (cf. Es 33,14).
Facciamo molta fatica a comprendere questo in profondità, ma nel suo
venire a noi si rivela proprio il suo amore gratuito, la sua grazia.
Certo, poi possiamo seguire le sue tracce amandolo e ascoltandolo con
tutto il cuore e tutta la vita (cf. Dt 10,12), ma la via resta la sua. Anzi, Gesù dirà: “Io sono la via” (Gv 14,6).
La richiesta di Giovanni è inoltre quella della conversione, del
ritorno al Signore, che trova nel gesto del battesimo un segno e nella
confessione dei peccati una parola: entrambi, segno e parola, attestano
la verità di chi accorre dal Battezzatore, non per sfuggire alla collera
di Dio (cf. Mt 3,7; Lc 3,7), ma per mettersi nella condizione di incontrare il Signore, veniente verso di lui.
Giovanni rivela, indica, manifesta Gesù e quindi lo immerge, lo battezza (cf. Mc 1,9).
Poi scompare subito dalla scena. A differenza degli altri sinottici,
Marco, sempre breve ed essenziale, testimonia del Battista solo queste
parole: “Viene dietro a me (opíso mou) colui che è più forte di
me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali.
Io vi ho immersi nell’acqua, ma egli vi immergerà nello Spirito santo”.
E il modo per esprimere come Giovanni svolge il suo ministero di
precursore: suo compito e missione è introdurre un altro, Gesù, qualcuno
del quale non dice ancora il nome ma che è già presente, anzi è un suo
discepolo, è al suo seguito. Giovanni sa discernere che lui è il più
forte, è proprio lui quel Signore di cui egli è indegno di essere
schiavo. Questo è un grande mistero, di fronte al quale possiamo solo
fare silenzio e adorare. Il discernimento di Giovanni su Gesù è solo
grazia, è solo dovuto alla rivelazione di Dio.
E Giovanni, nella più radicale obbedienza, riconosce di essere stato
mandato per manifestare un suo discepolo: colui che gli viene dietro,
sta per passargli davanti (cf. Gv 1,30).
Questo discepolo deve tenere il posto centrale, perciò Giovanni si
mostra sempre decentrato, interamente teso a indicare colui al quale
devono andare gli sguardi di tutti. Egli confessa però anche la
differenza tra il suo battesimo e quello che sarà dato da Gesù, due
immersioni differenti: l’una nell’acqua, l’altra nello Spirito santo,
nello Spirito di Dio che il Messia detiene in abbondanza e pienezza (cf.
Is 11,1-2), quello Spirito di Dio che Gesù donerà a quanti credono in lui.
Il vangelo in poche parole