Caritas

La Caritas parrocchiale è l'organismo pastorale istituito per animare la parrocchia, con l'obiettivo di aiutare tutti a vivere la testimonianza, non solo come fatto privato, ma come esperienza comunitaria, costitutiva della Chiesa. L’idea stessa di Caritas parrocchiale esige, pertanto, una parrocchia "comunità di fede, preghiera e amore". Questo non significa che non può esserci Caritas dove non c’è "comunità", ma si tratta piuttosto di investire, le poche o tante energie della Caritas parrocchiale nella costruzione della "comunità di fede, preghiera e amore". Come se la testimonianza comunitaria della carità fosse insieme la meta da raggiungere e il mezzo, (o almeno uno dei mezzi), per costruire la comunione. Un esercizio da praticare costantemente.

Cosa ci si aspetta dalla Caritas parrocchiale?

Ogni parrocchia, che è volto della Chiesa, concretizza la propria missione attorno

  1. all’annuncio della parola
  2. alla celebrazione della grazia
  3. alla testimonianza dell’amore

È esperienza comune che ci siano, in parrocchia, una o più persone che affiancano il parroco nella cura e nella realizzazione di queste tre dimensioni. Sono gli "operatori" pastorali, coloro che "fanno" (opera) concretamente qualcosa. Dopo il Concilio Vaticano II, la pastorale si arricchisce di una nuova figura: colui che "fa perché altri facciano", o meglio, "fa, per mettere altri nelle condizioni di fare". È "l'animatore pastorale".
La Caritas parrocchiale, presieduta dal parroco, è costituita da figure di questo tipo: un gruppo di persone (ma nelle piccole comunità può trattarsi anche di una sola persona) che aiuta il parroco sul piano dell'animazione alla testimonianza della carità più che su quello operativo di servizio ai poveri. L’obiettivo principale è partire da fatti concreti – bisogni, risorse, emergenze – e realizzare percorsi educativi finalizzati al cambiamento concreto negli stili di vita ordinari dei singoli e delle comunità/gruppi, in ambito ecclesiale e civile (animazione).

Come lavorare per un così alto obiettivo?

L'esperienza e la riflessione avviata negli ultimi anni portano a definire alcuni elementi cardine su cui fondare il lavoro di ogni caritas anche in parrocchia:

  • la definizione dei destinatari/protagonisti del servizio di animazione: i poveri, la Chiesa e il territorio/mondo
  • un metodo di lavoro basato sull'ascolto, sull’osservazione e sul discernimento, finalizzati all’animazione
  • la capacità di individuare, tra tutte le azioni possibili, quelle in grado di collegare emergenza e quotidianità, cioè di intervenire nell’immediato e portare ad un cambiamento nel futuro
  • la scelta di costruire e proporre percorsi educativi, in grado di incidere concretamente nella vita delle persone e delle comunità

Centrare sull'animazione e sul metodo pastorale il mandato della Caritas, ridimensionando le aspettative sul piano operativo, svincola la possibilità di costituire l’organismo pastorale dalle dimensioni e dalla situazione della parrocchia. In ogni contesto, infatti, seppure con modalità diverse, è possibile promuovere la cura delle relazioni, la conoscenza del contesto, la possibilità di scegliere insieme come agire, alla luce della missione della Chiesa nel mondo (da: www.caritasitaliana.it )

Anche nella nostra Valle si sta attivando u n gruppetto di persone sensibili, di diversa estrazione culturale e sociale, per cercare di mettere in pratica queste indicazioni. Due soprattutto le prospettive prese in considerazione:

  1. un monitoraggio dei bisogni sul territorio, in collegamento con le diverse istituzioni locali
  2. un aggiornamento continuo sul fenomeno migratorio, che interpella le comunità cristiane a diversi livelli

Avvisi

"Capisci ciò che leggi?" - Lettura continua del Vangelo di Marco: Mc 6,7-13

Mc 6,7Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient'altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: "Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro". 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.



I Dodici erano stati scelti da Gesù perché «stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni» (Mc 3,14–15). Nei capitoli precedenti li abbiamo visti stare con lui, ascoltare e imparare, ora Marco ci mostra la seconda dimensione del discepolo, quella missionaria. Per descrivere la missione degli apostoli, Marco usa le medesime parole con cui ha descritto la missione di Gesù: predicavano la conversione, guarivano i malati e scacciavano i demoni.

L’invio dei discepoli avviene «a due a due», sia in riferimento alla duplice testimonianza (Dt 17,6; 19,15; Nm 35,40), sia secondo il consiglio del saggio Qoelet (4,9–12) adottato poi anche dalla comunità cristiana di Gerusalemme (At 13, 2).

Gli ordini che Gesù dà ai suoi inviati riguardano, anzitutto, la povertà e la rinuncia: senza alcun aiuto umano, i discepoli hanno come appoggio solo la fede in colui che li manda.

Queste parole condannano il trionfalismo e la ricchezza e impongono la povertà e la discrezione. L’apostolo non deve usare i mezzi del mondo (denaro, potere e forza) per conquistare l’adesione dei suoi ascoltatori. Il vero apostolo non compera nessuno e non si lascia comperare da nessuno: forse sarà venduto a poco prezzo come il suo Maestro (Mc 14,10–11).

La povertà è una condizione indispensabile per la missione: i missionari devono essere «truppe leggere». Questa povertà è fede, libertà e leggerezza. Un discepolo appesantito dai bagagli diventa sedentario, conservatore, incapace di cogliere la novità di Dio, abilissimo nel trovare mille ragioni di comodo. La povertà è fede concreta di chi non confida in se stesso e nei propri mezzi, ma nell’assistenza e nella provvidenza di chi l’ha mandato.

L’annuncio del vangelo deve sempre essere in povertà, perché proclama la croce che ha salvato il mondo. Più che ciò che dobbiamo dire, Gesù ci insegna ciò che dobbiamo essere. Ciò che siamo grida più forte di ciò che diciamo. Finché non siamo poveri, ogni cosa che diamo o che diciamo non è dono, ma solo esercizio di potere sugli altri.

Già nell’Antico Testamento, povertà, piccolezza e impotenza sono i mezzi che Dio sceglie per vincere (cf. 1Sam 2,1–10; Es 3,11; 4,10; Gdc 7,2). Infatti «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (1Cor 1,27–29).

Questa lezione l’aveva imparata bene Pietro, quando compì il primo miracolo. Egli disse allo storpio: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina» (At 3,6). Se Pietro e Giovanni avessero avuto argento e oro, avrebbero fatto un’opera buona, forse avrebbero fondato un istituto per portatori di handicap, avrebbero dato dei soldi, ma non avrebbero pensato che dovevano dare Gesù, il salvatore.

La salvezza viene dalla croce, svuotamento che rivela Dio. Guai se la nostra potenza o sapienza la vanifica: «Cristo mi ha mandato a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo» (1Cor 1,17).

Gesù invia i suoi in povertà, come il Padre aveva mandato lui in povertà. I discepoli, mediante la missione, sono chiamati alla forma più alta di vita cristiana: sono pienamente associati al Figlio, che conoscendo l’amore del Padre, è spinto verso tutti i fratelli.

I Dodici possono annunciare agli altri la conversione mostrando di essere loro stessi convertiti perché sono e vivono come Gesù.

Il vangelo parla anche della possibilità, tutt’altro che teorica, vista la sorte toccata a Gesù, che i discepoli non siano accolti e ascoltati. E’ una sofferenza che il discepolo deve affrontare senza perdersi d’animo. A lui è stato affidato un compito, non garantito il successo.

Sulla attività dei Dodici, Marco non dà alcuna indicazione di tempo e di luogo; gli basta segnalare che essi realizzano esattamente ciò che aveva detto e fatto il Maestro: proclamare la conversione e operare esorcismi e guarigioni.

12/08/2018 Categoria: Torna all'elenco