“Udir la Messa tutte le
domeniche e le altre feste comandate”. Così recitava il primo dei
Cinque Precetti Generali della Chiesa, nella sua formulazione
tradizionale secondo il catechismo di Pio X. In forma popolare,
nell’Italia meridionale, si diceva: “Vedere la Messa
tutte domeniche…”. Per cui nelle confessioni i penitenti che non avevano
osservato questo importantissimo precetto dicevano: “Non ho sentito Messa… (oppure: non ho visto la Messa) una,… due,… tante volte”.
Si può ben vedere come dalla Vetta
d’Italia fino a Lampedusa, gli Italiani erano d’accordo nel mani-festare
così la loro sostanziale estraneità al Santo Sacrificio.
Oggi, giustamente, grazie al
Concilio Vaticano II, i fedeli sono portati a considerare l’andare a
Messa non come a una semplice assistenza ad uno spettacolo, ma come a
una vera e propria partecipazione all’Azione liturgica.
Nella mente di molti però l’antico
difetto di impostazione fissato sull’udire e sul vedere torna fuori
fondamentalmente irrisolto. Lo si capisce dal mutismo di tante assemblee
eucaristiche, fatte di persone che si limitano ad ascoltare e a
guardare la Messa. Sono pure molti ancora i fedeli che si giustificano
per la loro diserzione alla Messa con la ragione che il celebrante non
parla bene o non è abbastanza… attraente.
L’amico parroco di Belsito, è giusto
riconoscerlo, è “diversamente bello” e, per giunta, ha una voce nasale e
monocorde. Giorni fa mi confidava il suo dispiacere nel vedere che
questo per diversi suoi parrocchiani è il motivo principale del loro
frequente “perdere Messa”.
“Che faccio? -mi dice- Come mi hai già
consigliato, mi sono letto e meditato il capitolo sull’Omelia
dell’Evangelii Gadium” di papa Francesco e -te lo giuro- cerco ancora
con più impegno di fare del mio meglio… Ma come faccio a cambiare voce?
Sto curando anche il modo di gestire e di muovermi sull’altare, ma la
mia scorza è di genere montanaro: più di tanto non mi riesce di
ingentilirmi”.
Che cosa potevo rispondergli? Il suo è
un po’ anche un problema mio. E poi, a ben pensarci, per un verso o per
l’altro, è un problema di ogni celebrante. Anche l’attore più bravo ha
sempre un suo critico ipercritico che gli trova più di un difetto sia
nella dizione che nella gestualità.
Gli ho detto di insistere nei suoi
sforzi di miglioramento. Ma poi l’ho anche tranquillizzato. Gli ho detto
che, se uno non si limita ad andare a sentire o a vedere Messa, ma ci
va per partecipare, ha anche lui la sua bella parte da fare perché la
celebrazione riesca bene. Gli ho ripetuto soprattutto il pensiero del
Papa che paragona il rapporto predicatore-fedeli a una conversazione
materna (tra la santa Madre Chiesa e i suoi figli), per cui un’omelia un
po’ noiosa, “sarà sempre feconda, come i noiosi consigli di una madre danno frutto col tempo nel cuore dei figli”.
“Questo me l’hai già detto la settimana
scorsa” mi disse con l’aria di chi non riceve visibile conforto da una
frase già ascoltata. Allora gli dissi: “Senti! Cerca di far capire ai
tuoi parrocchiani che devono venire a Messa non tanto per adempiere un
precetto, ma con l’idea che la fede, come dice la Bibbia, è simile
all’amore che c’è tra un uomo e una donna che si amano. Se la capiranno,
l’andare a Messa per loro sarà come un appuntamento d’amore, e, quando
uno ama davvero una ragazza, ci va all’appuntamento anche se la suocera è
brutta, il suocero è balbuziente, gli amici noiosi e la casa
malauguratamente squallida. Non ti pare? Perciò raccomanda ai tuoi
parrocchiani che vengano a Messa non per incontrare te, ma il Signore”.
“Ma questo non è per caso un argomento
troppo di comodo per noi parroci?”. (Come vedete il parroco di Belsito è
leale, umile e buono).
“Lo ammetto, -rispondo io- per cui non
dovremo mai smettere di far del nostro meglio; ma dal punto di vista
teologico e spirituale il ragionamento non fa una grinza e anche i
nostri fedeli potrebbero utilmente darci un pensiero”.
don Giacomo Panfilo
Da www.santalessandro.org