Venti anni fa moriva Helder
Camara. Un nome che rischia di dire poco o nulla ai giovani o a coloro
che, anche nelle nostre comunità ecclesiali, attraversano distratti la
storia del nostro tempo. Eppure è stato una figura decisiva della chiesa
latinoamericana. Perché fare memoria di questo testimone? Perché mons.
Camara ha indicato a tutti i cristiani, non solo a quelli del continente
latinoamericano, il punto di vista dal quale leggere la storia e il
Vangelo: quello dei poveri e degli ultimi. Perché il
Vangelo ha un concetto diverso dal nostro per intendere il centro e le
periferie. Perché Gesù ha un’idea strana su chi conta e chi ha la
precedenza nel Regno dei cieli. Mons. Helder Camara, morto a
novant’anni, è stato l’icona di una Chiesa che ha progressivamente
scoperto che non si può annunciare Dio che sta nei cieli senza sporcarsi
le mani nella grande basilica che, dopo l’incarnazione, è diventata il
mondo, la storia. Non è possibile essere cristiani e non stare dalla
parte dei poveri: è la vicenda stessa di Gesù a ricordarcelo.
IL VESCOVO ROSSO
Di fronte ai drammi del nostro tempo – e
mons. Camara si è confrontato e scontrato con il dramma della fame,
della miseria e del sottosviluppo – non esiste “neutralità”, non c’è
possibilità alcuna di tirarsi fuori. A chi in Brasile lo contestava
chiamandolo l’”obispo rosso” (vescovo rosso) accusandolo di fare
politica, amava rispondere, senza mezzi termini, che «la politica è un
capitolo del Vangelo». Lo aveva predetto lucidamente: «Se do da mangiare
ai poveri, mi chiamano santo. Se chiedo perché i poveri non hanno cibo, mi chiamano comunista». Più
o meno come papa Francesco che rispondendo a cinque giovani studenti
belgi lo scorso 31 marzo ha detto loro: «Io sono credente, credo in Dio e
in Gesù Cristo, per me il cuore del Vangelo è nei poveri. Ho sentito
due mesi fa che una persona ha detto: con questo parlare dei poveri,
questo Papa è un comunista! No questa è una bandiera del Vangelo, la
povertà senza ideologia, i poveri sono al centro del Vangelo di Gesù».
LEGGERE IL PRESENTE CON GLI OCCHI DI DIO
Per questo, da vescovo, Camara si è
sempre battuto contro il peccato di omissione, così presente in tante
comunità cristiane. È stato un uomo e un credente libero, sin da quando
partecipò attivamente, seppure nelle quinte, nelle sessioni del Concilio
Vaticano II: «Va bene discutere del celibato, senza però trascurare
argomenti più essenziali come fame e libertà». Quando la Congregazione
per la dottrina della fede mise in guardia dalla teologia della
liberazione, Camara rispose che la salvezza dell’anima non esclude
quella del corpo dalla miseria e dalla povertà. Sostenne che alcuni
teologi erano vittime di una cattiva interpretazione del loro messaggio e
diceva che «se isolassero alcune frasi di Cristo, come fanno con le nostre, sarebbe criticato anche Lui».
Così alla sua gente continuava a spiegare le cause della fame, del
disagio, della povertà e le ragioni della lotta nonviolenta attiva («il
pacifismo non è passivismo!»). Ma parlava loro anche di speranza e di
eternità, di contemplazione e di preghiera.
Profeta è il termine che molti hanno usato per indicare l’azione e l’impegno pastorale di mons. Camara. Nella Bibbia, profeta non è colui che prevede il futuro ma colui che legge il presente con gli occhi di Dio.
Che riconosce e grida lo scarto tra il sogno di Dio sul mondo e la
realtà concreta. Per questo, molte volte, i profeti nella Chiesa si
preferisce onorarli da morti che riconoscerli da vivi. Sono scomodi,
hanno passi divergenti, ragionano secondo il Vangelo e non secondo i
calcoli del mondo. Più volte interrogato sul perché di una certa
“impopolarità” presso alcuni uffici vaticani, rispondeva, scherzando,
che era il modo per pagare un errore di gioventù quando, durante la
guerra, mentre le armate tedesche si avvicinavano a Roma, diverse volte,
nelle sue preghiere, si sorprese a chiedere al Signore che non perdesse
l’occasione… cioè che orientasse qualche bomba su qualche palazzo
vaticano. «Poi finita la guerra capii che lo Spirito Santo – che è più
intelligente di me, evidentemente – ha permesso che certi palazzi
rimanessero in piedi… Sarebbe servito a poco che qualche bomba li avesse
distrutti. La gente ricca li avrebbe ricostruiti subito e forse peggio
di prima! Lo Spirito Santo quindi non mi ha ascoltato, però ha mandato
in quei palazzi e nel mondo un’altra “bomba”, per la conversione dei
nostri cuori: papa Giovanni XXIII…».
UNA CHIESA POVERA E SERVA
Perché questo era il sogno custodito da mons. Helder Camara: una
Chiesa povera e serva. «Affinché la Chiesa sia serva come Cristo,
affinché non offra al mondo lo scandalo di una Chiesa forte e potente
che si fa servire, mi sembra fondamentale questo inizio d’inizio da fare
subito, il primo giorno. Vi rendete conto di che rivoluzione sarebbe?
Forse il prestigio del Papa crollerebbe. Ma è essenziale che abbia
prestigio? Essenziale è che faciliti alla gente l’identificazione fra
Cristo e il suo rappresentante diretto e immediato sulla terra.
Essenziale è che l’umanità non veda nella Chiesa un Regno in più, un Impero in più».
Come gridarlo alle nostre comunità che hanno cancellato il tema della
chiesa povera, che si sono abituate a convivere con silenzi e
omissioni e abbassano continuamente l’asticella dell’indignazione?