Dimenticare il Natale senza Natale
“In questo periodo d’Avvento, difficile evitare i sinistri
villaggi/mercatini di Natale. Non c’è città di Francia che sfugga a
questo contagio. A parte, evidentemente, Strasburgo, dove la forza della
tradizione conferisce loro una certa dignità, siamo condannati ad
errare nei centri storici delle città tra casette di legno che imitano
baite montane (ma che rapporto ci può essere con la nascita di un uomo
avvenuta in Medio Oriente duemila anni fa?), guardando stancamente la
distesa di cianfrusaglie inutili made in China, e mangiando la nostra mela caramellata tutta rossa. Per non parlare della musica, un “Vive le vent” (ndr.: canto sulle note di “Jingle bells”)
ripetuto fino allo sfinimento, poiché ci si guarda bene dal mettere
qualche cantico della Natività. Ben presto, nella folla compatta,
l’odore di vin brulé e di cannella diventa insopportabile, a meno di
berne abbastanza per dimenticare: dimenticare il Natale del nostro
secolo, con i brillantini, gli abeti addobbati e la musica sdolcinata,
ma senza la stella e il presepe. Dimenticare questo Natale senza
Natale…” Così scrive Isabelle de Gaulmyn, vaticanista del quotidiano
francese La Croix. Un’analisi impietosa che credo valga anche per il nostro contesto italiano.
Il presepe secondo Papa Francesco
Al termine dell’articolo, sono andato a rileggermi “Admirabile signum”,
la lettera apostolica sul presepe che Papa Francesco ha firmato il 1
dicembre scorso durante la sua visita a Greccio, il piccolo comune di
Rieti, dove nel 1223 per iniziativa di Francesco d’Assisi si ebbe una rievocazione sacra della nascita di Gesù.
La storia, ricordata dalle Fonti Francescane, è richiamata dal Papa:
Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo
del posto, di nome Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un
desiderio: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in
qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato
per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in
una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”
Il Papa ricorda come il santo di Assisi voleva far sentire a tutta la
popolazione che essa stessa era “coinvolta nella storia della salvezza,
contemporanea dell’evento che è vivo e attuale nei più
diversi contesti storici e culturali”. Come a dire: “Non c’è bisogno di
andare fino a Betlemme, è qui ed ora che questa cosa avviene!”Ancora il
papa nella sua bellissima lettera:
In modo particolare, fin dall’origine francescana il
presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di
Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è
un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della
spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un
appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle
sorelle più bisognosi (cfr Mt 25,31-46).
Dove trovare le tracce di Dio che nasce come un cucciolo d’uomo?
La domanda che pone il Papa è la domanda che ogni credente in questo
tempo deve porsi: dove trovare le tracce del Dio dei cristiani che
sceglie di nascere come ogni cucciolo d’uomo? Dove trovare i segni di un
Dio che ama il paradosso se, come scrive Leonardo Boff, “tutti vogliono
crescere nel mondo, ogni bambino vuole essere uomo. Ogni uomo vuole
essere re. Ogni re vuole essere “dio”. Solo Dio vuole essere bambino.” La giornalista francese non ha dubbi: sicuramente, il bambino e il presepe bisogna andare a cercarli altrove.
In quell’ospedale parigino, ad esempio, che la settimana
scorsa, per mancanza di spazio, ha dovuto rifiutare una decina di
giovani madri senzatetto che erano andate a rifugiarvisi con i loro
bambini. E nelle maternità delle nostre grandi città, sopraffatte dalla
quantità di donne che hanno partorito e che dormono nei corridoi. Nelle
nostre strade, molto semplicemente, dove nascono sempre più bambini:
quest’anno sono già 146, e le associazioni caritative si trovano a dover
distribuire culle portatili. Sono presepi poco estetici, bambini con nasi gocciolanti. madri esauste, sporcizia, puzza, freddo.
Sono presepi che non fanno venire voglia di fermarsi, di ammirare, e
neppure di commuoversi. Si vorrebbe piuttosto guardare da un’altra
parte, imbarazzati.
Quei presepi – basta avere occhi per vederli, anche dentro la nostra
opulenta Bergamo – sono scandalosi. Testimoniano con violenza la miseria
e l’esclusione. Ci parlano di mancanza, capovolgono le nostre
prospettive, ci ricordano i più poveri, i dimenticati. Quei presepi sono terribili, ma veri: a modo loro, anch’essi ci dicono che siamo implicati nella storia della salvezza. Qui ed ora.