L’articolo di un po' di tempo fa, una memoria di Charles de Foucauld
nel centenario della sua morte avvenuta a Tamanrassset, in Algeria, il 1
dicembre del 1916, ha suscitato tra i lettori molto interesse. Ho
ricevuto numerose mail e messaggi dove mi si chiedeva di approfondire il
senso di questa scelta. In modo particolare, quella relativa
alle piccole sorelle.
Le “piccole sorelle”
Una vicenda nata dall’intuizione di una straordinaria donna francese, Magdaleine
Hutin nelle cui mani, agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso,
arriva una biografia dell’uomo del deserto. La giovane donna francese si
sente attratta dalla testimonianza viva del Vangelo, dalla povertà
totale, dal nascondimento in mezzo a popolazioni abbandonate e,
soprattutto, dall’amore in tutta la sua pienezza. Chiede di poter essere
una delle piccole sorelle tanto desiderate da de Foucauld. La
salute inferma, la presenza della madre rimasta vedova, le impediscono
di poter realizzare il desiderio. Finchè un giorno, nel maggio del 1936,
dopo aver esaminato una nuova radiografia, il dottore le comunica
l’irreversibile progressione dell’artrite deformante, con atrofia dei
muscoli della spalla, che da anni la perseguita, con la possibilità, non
troppo remota, di essere costretta a letto per molti anni… a meno che
non vada a vivere in un paese dove non piove mai, come ad esempio… «il Sahara», interrompe Magdeleine.
“La piccola sorella da nulla” nel Sahara
Dopo
anni di attesa e di dure prove spirituali, un medico le consiglia di
partire. Si muove immediatamente. L’Algeria è la prima tappa del viaggio
africano della donna, accompagnata dalla madre e da Anna, una giovane
desiderosa anch’essa di porsi a servizio del Signore. Avrà modo di
incontrare, più volte, padre Voillaume e di verificare l’autenticità
della sua vocazione. L’otto agosto del 1939 vengono approvate le prime
costituzioni di questa particolare famiglia religiosa e un mese dopo
Magdaleine pronuncia la professione religiosa. Sarebbe stata, per
sempre, piccola sorella Magdaleine di Gesù, «una piccola sorella da nulla». L’espressione
«da nulla» le era venuta in mente mentre, in compagnia di una delle
prime sorelle, viaggiavano rannicchiate per coprirsi dal freddo
pungente, sotto il tendone di un camion, in mezzo a bidoni di benzina e
di nafta. Voleva che le piccole sorelle fossero così «da nulla» da poter
stare dappertutto senza farsi notare: nelle stive delle navi, in camion
militari.
Le “piccole sorelle” nomadi
Piccola sorella Magdeleine crede allora che le è chiesto di fondare una«congregazione di piccole sorelle nomadi esclusivamente consacrate all’Islam». Hanno
un obiettivo: essere in ogni ambiente il lievito che si perde nella
pasta per farla lievitare. «Arabe con gli arabi», «nomadi con i nomadi»,
le Piccole sorelle avrebbero dovuto adottare la lingua, i costumi e
perfino la mentalità. Mettono la carità al di sopra di tutte le regole,
spalancano le porte di casa:
Con quanto
amore, rispetto, gioia.. con quanta tenera cura dovremmo ricevere
chiunque si presenti a noi, ogni essere umano, chiunque sia, tutti,
tutti, tutti… Nel riceverli è Gesù che riceviamo. Dobbiamo costruire
qualcosa di nuovo! Qualcosa di nuovo che è antico, che è il
cristianesimo autentico dei primi discepoli di Cristo. Dobbiamo, parola
per parola, riprendere il Vangelo
Saranno in tante,
sin da subito, a rispondere alla contagiosa passione di sorella
Magdaleine. Non si preoccuperanno di essere accusate di “mangiare con i
pubblicani e i peccatori”.
State attente a
non cadere nella grettezza e nell’ottusità, non scandalizzatevi troppo
facilmente per cose di poca importanza. Soprattutto, evitate di essere
r08igide o formali e di agire come i farisei. Siate sempre di vedute
larghe, poiché la ristrettezza può distruggere il vero amore.
Il
criterio della carità orienterà la fraternità delle Piccole sorelle,
nelle direzioni più diverse. Nascono fraternità tra gli zingari e gli
operai, tra i pastori e le prostitute, tra gli eschimesi e i pigmei, nei
luna park e nei circhi, in Alaska e in Camerun, in Giappone e in
Russia. Oggi sono 1250 piccole sorelle di 66 nazionalità e vivono in
quasi trecento fraternità sparse in sessantanove Paesi, nei cinque
continenti. Donne che non possono possedere nulla, vivono del proprio
lavoro, intrecciano contemplazione e servizio, adorazione del Santissimo
e amore verso l’uomo concreto.
INTERVISTA A MARIA CHIARA FERRARI
Da
alcuni anni, la Responsabile Generale delle piccole sorelle di Gesù è
una bergamasca, Maria Chiara Ferrari, nata e cresciuta a Paratico. Dopo
la sua elezione, sono andato a Roma ad incontrarla, presso le Tre
Fontane, vicino all’Abbazia sorta dove la tradizione pone il martirio di
San Paolo, alla casa della Fraternità generale, luogo di ritrovo e di
incontro per le piccole sorelle di tutto il mondo. Questa è una parte
dell’intervista.
Da Paratico alle Tre Fontane come
Responsabile Generale della Piccole sorelle di Gesù. Prova a raccontare
la parabola della tua vita..
È stata una vita
normalissima. Fino a 23 anni ho abitato a Paratico. La mia famiglia, la
scuola, gli amici, la parrocchia e l’oratorio, il primo lavoro. E’ in
quel contesto (ora già molto cambiato rispetto ad allora) che sono
cresciuta ed è lì che le domande essenziali della mia vita sono nate e
hanno trovato un orizzonte. La mia adolescenza e post-adolescenza è
stata inquieta, come certo capita a molti. Un’inquietudine diffusa, dove
tutto è rimesso in questione e nulla pare soddisfare pienamente la
forza del desiderio. Un periodo intenso, difficile, ricco di domande
senza risposta e di una ricerca piuttosto sofferta. Non bastava una fede
tradizionale ricevuta, bisognava che diventasse una scelta personale,
bisognava vivere l’incontro e non solo sentirne parlare.. Mai
abbastanza io ringrazierò la mia famiglia che mi ha trasmesso con i
fatti la fede E benedetti siano tutti quelli che mi hanno insegnato
letteralmente a “leggere” la Parola di Dio e la parola della mia
esistenza. Fino a che, come un colpo di fulmine, attraverso un testo
biblico, così Gesù è entrato nella mia vita. Come un risveglio, la
percezione di una Presenza ardentemente attesa, di un Tu decisivo per la
vita, al quale non potevo resistere… Ma dove e come concretamente
vivere questa scoperta? La vita religiosa, confesso, era l’ultima cosa a
cui pensavo. Non ne avevo alcuna attrazione. Mi sembrava cosa di altri
tempi, ormai insignificante per il mondo. Ma dentro qualcosa rimaneva
insoddisfatto profondamente. Finchè cominciai una ricerca e con mia
sorpresa trovai la forma che pareva rispondere al mio desiderio. E qual
era questo desiderio? Cercavo una vita che non si potesse spiegare al di
fuori di Dio, che cioè non si potesse confondere con un’opera, seppur
bella e utile.
Sei arrivata in questo modo alle Piccole Sorelle di Gesù…
Si,
le ho trovate e, senza molto attendere, sono partita il 14 dicembre
1979, a Roma. Ho fatto il primo anno di noviziato ad Assisi, e il
secondo a Betlemme, in Palestina. Dal 1982 la Palestina è diventata per
me come una seconda terra d’appartenenza. E’ stato il primo contatto
con il Medio Oriente, che mi avrebbe progressivamente aperto a tutta la
sua bellezza, ricchezza e complessità, ai suoi sconvolgimenti,
conflitti, passioni e speranze…
Siete donne contemplative dentro le vicende degli uomini ma alla presenza di Dio…
È
questo il cuore del nostro essere e delle nostre vite: il desiderio di
vivere un’amicizia intima e profonda con Gesù, di volgere costantemente a
Lui cuore e sguardo. Questa relazione è la perla preziosa, il tesoro
nel campo per il quale vogliamo vendere tutto. È un tesoro che
custodiamo con cura, dando alla preghiera uno spazio centrale nella
nostra vita. Nell’eucaristia, che custodiamo in ogni fraternità, Gesù
dice il suo esserci vicino. La sua presenza è il centro della nostra
vita e lo esprimiamo mettendoci ogni giorno davanti a Lui
nell’adorazione silenziosa, non solo per ringraziarlo del molto che ci
da e per pregarlo per quanti soffrono ma per chiedergli di guardare
sempre il mondo come lo guarda Lui.
Cosa vuol dire vivere “come loro”?
In
questi anni ci siamo rese conto che non sarà mai interamente possibile
vivere “come loro” perché questo nasce da una scelta. Un lungo percorso
ci ha portato a riconoscere, da una parte, la necessità
dell’inculturazione, che vuol dire assumere la lingua, la storia, la
vita dei popoli dove viviamo, dall’altra, a capire che ciò a cui
tendiamo è ancora più grande, è la vicenda di Gesù che vorremmo
raccontare con la nostra vita. Questo permette una più grande libertà.
Imparare a riconoscere la bellezza della differenza e il valore della
convivialità. Sono due movimenti necessari alla nostra vita: fedeli alla
terra, fedeli alla vicenda di Gesù. E’ una sintesi non sempre facile da
tenere ma guai se non cercassimo di farla.
La gente dove vivete lo capisce?
Non
molto tempo fa, ad Amman, io e un’altra piccola sorella abbiamo, per
caso, ascoltato il dialogo tra due nostre mussulmane vicine di casa che
si scambiavano le opinioni su di noi. Nella nostra casa avevamo avuto un
problema idraulico e una delle due donne ha espresso il timore, tipico
del mondo arabo, di dover trattare, noi donne, con il tecnico, senza un
uomo in casa. “Ma davvero loro non hanno un uomo in casa?”, ha detto
questa donna all’altra. Che ha risposto: “Loro non hanno uomini, hanno
Dio che li protegge”.
Dappertutto succede così?
Spesso,
molto spesso. Mi ha molto toccato un recentissimo viaggio che ho fatto
Algeria. In quella splendida terra martoriata abbiamo sei fraternità,
composte da sorelle tutte straniere. Protette e custodite nella memoria,
vivissima, dell’amicizia di piccola sorella Magdeleine che proprio in
Algeria ha fondato la prima fraternità. Un filo ininterrotto fatto di
cura e sostegno, in una terra dove non c’è possibilità alcuna di
conversioni. Quella sera con alcuni anziani, amici della prima ora di
piccola sorella Magdeleine, abbiamo sperimentato una confidenza e
un’amicizia autentica. Era l’incontro tra due diversi, credenti in Dio, e
che, lo capivamo, possono arrivare lontano nella relazione umana. Si,
l’abbiamo percepito davvero come un segno del Regno di Dio.
Voi siete l’unica congregazione consacrata all’Islam. Cosa significa?
Anche
qui la storia ci ha aiutato. All’inizio le fraternità erano solo per
l’Islam. Dopo qualche anno, abbiamo capito che la nostra era una
vocazione universale, aperta a tutte le culture. Eppure siamo, da
sempre, presenti nel mondo islamico, lo desideriamo profondamente, al
punto che un quarto delle nostre fraternità deve essere nei paesi
mussulmani. Cosa vogliamo dire con la nostra presenza? Vogliamo essere
una testimonianza del Dio piccolo di Betlemme nel cuore di una
rivelazione così altra come quella islamica. Senza la pretesa di imporre
ma con la convinzione che la trasparenza del Dio di Gesù si rende
visibile attraverso una profonda condivisione con tutti. “Tu ci ami, tu sei come noi”, ha
detto un giorno un amico musulmano alla piccola sorella Magdeleine e
questa frase traduce bene il suo ma anche il nostro desiderio profondo
di farci prossimi, fraterni, per testimoniare loro l’amore di Dio.
L’Islam cosa ti ha insegnato?
Il
senso della fede e dell’ospitalità. Quando vivi nei paesi mussulmani
non puoi non rimanere colpito dai continui riferimenti nel quotidiano,
nei momenti felici come in quelli più tristi, ad una presenza che
supera. E poi il senso dell’accoglienza. Nel nome di Dio, il mussulmano
accoglie l’ospite, lo straniero.
Anche in quanto donna?
Anche
in quanto donna, straniera e non mussulmana. La prima accoglienza è
incondizionata. Sei rispettata e accolta nella tua diversità. Poi nella
vita ci sono altre difficoltà e sfide, è inutile negarlo.
Saluto
Maria Chiara e do un ultimo sguardo alle Tre Fontane. Da una prima
baracca prefabbricata agli inizi degli anni Sessanta è nato un villaggio
di casette di legno, più facili da costruire. Sosto nella chiesa,
anch’essa di legno, semplice e sobria. Una ventina di piccole sorelle
sono inginocchiate davanti al Santissimo. Sono affascinato da queste
donne che, con semplicità, mostrano il primato di Dio dentro le pieghe
della loro vita concreta e che indicano a tutti la normalità della
vita come il luogo della fede cristiana e dell’annuncio evangelico. Anni
fa, ricevetti un biglietto da una di loro. Stava scritto:
Il cristianesimo non è facile. Ma rende felici.
Che sia questa la chiave per renderlo comunicabile all’uomo di oggi?