Azione Cattolica

L’Azione cattolica è un’associazione di laici, uomini e donne di ogni età, che vivono seguendo l’insegnamento di Cristo, provando a tenere insieme la fede in Gesù risorto con la vita quotidiana.
Laici che vivono una piena appartenenza ecclesiale e il cui impegno si alimenta nell’ascolto della Parola di Dio, nell’Eucarestia, nella preghiera personale e nella vita comunitaria.
L’Associazione è un’esperienza esemplare di Chiesa, in cui crescere insieme e contribuire insieme alla crescita di tutta la comunità ecclesiale, perché la fede si vive e si testimonia insieme.
È un’esperienza popolare di Chiesa, in cui il popolo di Dio vive e cresce in maniera corresponsabile, contribuendo attivamente al compito di testimoniare un Vangelo che è amore, accoglienza, comunità.

L’Azione cattolica italiana è un’associazione di laici che si impegnano liberamente, in forma comunitaria ed organica, e in diretta collaborazione con la Gerarchia, per la realizzazione del fine generale apostolico della Chiesa ().

Dallo Statuto dell’Ac - art. 1

L’Ac offre ad ogni persona, con la partecipazione alla vita associativa, un accompagnamento finalizzato alla crescita di una matura coscienza umana e cristiana, grazie a percorsi permanenti, organici e graduali, attenti alle diverse età, alle condizioni e agli ambienti di vita, ai diversi livelli di accoglienza della fede.

Dallo Statuto dell’Ac - art. 13.1

L’Azione cattolica valorizza il protagonismo ad ogni età, accogliendo tutti ed educando ciascuno a dare un contributo importante e originale alla vita della Chiesa, attraverso l’Associazione, e alla città, attraverso l’annuncio del Vangelo nei propri ambiti di vita.
Ad ognuno offre un cammino di formazione, secondo quanto descritto nel suo Progetto formativo Perché sia formato Cristo in voi che vuole aiutare, attraverso educatori motivati e preparati, la crescita di cristiani laici adulti nella fede, innamorati della Chiesa, impegnati nell’annuncio.
Attraverso gli itinerari formativi serve la formazione degli adulti, dei giovani, dei giovanissimi, il percorso di Iniziazione Cristiana dei ragazzi e dei piccolissimi con le loro famiglie.
Ogni mese l’Ac di Como pubblica “Insieme”, distribuito con il settimanale diocesano.

In Valmalenco, da diversi anni esistono diversi gruppi parrocchiali di adulti di Azione cattolica, che offrono con umiltà e disponibilità il loro servizio nei diversi settori della pastorale e si incontrano insieme, ogni mese, guidati dal parroco, per un momento di ascolto, di confronto, di formazione. Ogni volta che è possibile, si partecipa agli eventi diocesani (per es. l’Assemblea), ai Convegni, alle Scuole di formazione, alle feste, ai pellegrinaggi (ogni anno insieme proponiamo il pellegrinaggio a Primolo). Sarebbe bello promuovere in Valle le proposte per le famiglie (per es. CaDiFam) e per i ragazzi (A.C.R.). A Caspoggio la Casa a S. Elisabetta è gestita proprio dall’Azione cattolica diocesana e accoglie spesso riunioni e campi (estivi e invernali) per i ragazzi e i giovani.
Per saperne di più: www.azionecattolicacomo.it

Avvisi

"Non basta sapere". Articolo di Avvenire sull'esperienza di don Giusto Della Valle, prete della nostra diocesi

Proponiamo un interessante articolo comparso sul quotidiano della CEI che cita don Giusto Della Valle e la parrocchia di Rebbio, dove eravamo stati in primavera per una giornata con i cresimandi. Le interessanti tappe di quella giornata: Cattedrale, ovvero il legame tra il nostro essere cristiani e la Chiesa diocesana; la parrocchia di Rebbio, una comunità e un modo di essere cristiani diversi da ciò a cui siamo abituati; un saluto ai missionari comboniani, ovvero essere cristiani significa essere missionari.
"Da Marcinelle a Como e Ventimiglia. Non basta sapere" articolo di Eraldo Affinati, 9 agosto 2016, da www.avvenire.it/Commenti/Pagine/non-basta-sapere.aspx
Se vuoi ulteriormente approfondire:
qui un'intervista a don Giusto e ad altri volontari dal sito dell'associazione Oltre il giardino onlus

Da Marcinelle a Como e Ventimiglia
NON BASTA SAPERE

Non basta sapere che sessant’anni fa al Bois du Cazier, la miniera di carbone di Charleroi, morirono 262 uomini, fra cui 136 italiani. Non basta ricordare che quelle persone si erano decise a varcare i confini della Patria per cercare un lavoro e condizioni di vita migliori. Non basta fissare nella memoria le corrispondenze storiche e geografiche fra ieri e oggi: io, ad esempio, potrei citare la storia di mio nonno materno, Alfredo Cavina, il quale, prima di venire fucilato dai nazisti, era stato a lavorare proprio in Belgio, rischiando di finire schiacciato sotto le impalcature. Non basta, davvero. Certo, ogni nostro connazionale dovrebbe andare in visita a Ellis Island, lo scoglio roccioso nella baia di New York, dove sbarcavano gli immigrati in cerca di fortuna in America: se passasse in rassegna la lista di nomi sul muro posto di fronte all’ingresso, con ogni probabilità troverebbe notizia di qualche suo parente nemmeno troppo lontano. Eppure anche questo non basterebbe.

Arriva un momento nella vita in cui dobbiamo capire cosa fare del nostro passato: lasciarlo dietro alla maniera di una carcassa destinata a marcire? Metterlo nella bacheca dei trofei e delle coccarde? Scriverci sopra un bell’articolo? Sarebbe meglio prendere atto di un fatto assai più decisivo: tu cerchi i luoghi da cui provieni e poi magari, come nel caso in questione, li trovi sul serio. Quella è la nostra stazione di partenza: eravamo sudati, sporchi e affamati, esattamente come Mohamed e Ismail. Allora ti accorgi che le tue radici non alimentano soltanto te, ma danno sostegno e nutrimento a ognuno. Conquistare la consapevolezza di tale coralità sembra essere diventato sempre più difficile. Eppure per i nostri padri era semplice: siamo tutti nella stessa barca, dicevano. Ecco, se fai vibrare la pianta del tuo fiore, è come se smuovessi l’intera foresta: quante volte ci ho pensato!

Forse è questa la ragione per cui, qualche mese fa, quando don Giusto della Valle, parroco di Rebbio, frazione di Como, mi invitò a parlare ai suoi volontari che insegnavano gratis l’italiano agli immigrati, dopo averli conosciuti e ammirati, chiesi al prete di farmi vedere la canonica. L’ex missionario (è stato tanti anni in Camerun) mi mostrò una stanza: c’erano una decina di africani chini sui libri accanto alle giovani professoresse che ne guidavano gli esercizi. Ma tu, chiesi al mio accompagnatore, dove dormi? Là dietro, mi disse don Giusto, indicando un bugigattolo invaso da libri e cartoni. Negli occhi di quei disperati appena arrivati da noi ho idealmente stretto la mano a mio nonno: mi sono sentito come Rosso Malpelo, nell’omonima novella di Giovanni Verga, quando, nel tentativo di recuperare il corpo del padre sepolto nella cava di zolfo, si fa venire il sangue alle unghie. Se uno prova una sensazione simile, non può tornare a casa indifferente.

È necessario prendere posizione: assumere la responsabilità dello sguardo altrui. Da quel giorno a Como i migranti non hanno fatto che aumentare: ora non sanno più dove metterli. I don Giusto non possono tappare tutti i buchi. A Ventimiglia siamo nella stessa situazione, coi ragazzi che, stremati dall’attesa, si gettano in acqua per raggiungere a nuoto la Francia, vengono rimandati indietro e rischiano di essere “sanzionati”. È vero che ogni generazione ricomincia da capo, come se niente fosse accaduto e la storia umana contasse davvero poco, tuttavia almeno una piccola cosa concreta non dovremmo mai dimenticarla: anche i politici e gli amministratori non possono fare tutto da soli. Ce ne sono di ogni risma, lo sappiamo: bravi e incapaci, corrotti e generosi. Ma di fronte all’emergenza è necessario intervenire subito, senza aspettare i rinforzi.

Certo, si spera che presto arrivino le leggi appropriate, i centri di accoglienza e smistamento, i supporti logistici e sanitari. Ma se putacaso non arrivassero proprio, noi almeno avremmo fatto ciò che potevamo. E Marcinelle non rischierebbe di restare soltanto un doloroso anniversario.

16/08/2016 Categoria: Torna all'elenco