Sono passati più di cinquant’anni dalla morte di una donna –
Madaleine Delbrel – sconosciuta ai più ma fondamentale nella storia
della spiritualità del Novecento. «Una delle più grandi mistiche del XX secolo», l’ha chiamata il cardinal Martini. Una credente per la quale il Vangelo non è stato un codice ma una parola viva,
non un formula filosofica ma una persona. E in nome del Vangelo è
riuscita a tenere insieme quello che noi non riusciamo a fare:
intelligenza e fede, appartenenza a Dio e solidarietà con gli uomini
della “periferia”, discepolato e vita nella città e nelle strade;
contemplazione mistica e lotta contro l’ingiustizia. Inoltre, Madeleine è
stata una donna che ha scelto di testimoniare il vangelo a partire dalla periferia.
Periferica, del resto, anche la sua condizione di donna laica “non
meglio identificata”. In tempi di crisi e di resistenza, come quelli da
lei vissuti, questa condizione marginale sembra avere il compito ed il
privilegio di conservare, per le generazioni future, spazi di libertà
spesso negati in luoghi più accreditati. Perché sembra che il Vangelo
abbia una concezione molto poco convenzionale delle periferie e dei
centri. Non solo: la sua vicenda ha mostrato la fecondità di un nuovo
inizio cristiano nella dimensione metropolitana, dentro la vita feriale e
quotidiana, nel rumore delle strade, del metrò, nella calca della
folla. Una forma di spiritualità del quotidiano capace di mostrare oggi –
in un contesto radicalmente diverso– una via possibile della
testimonianza cristiana nella città “plurale”.
DIO È MORTO. VIVA LA MORTE!
Madeleine nasce il 24 ottobre del 1904 a Mussidan, nella regione
centro-occidentale della Francia, in una famiglia borghese e poco
praticante. Dopo la fanciullezza, abbandona la pratica religiosa tanto
che nel 1919 dichiara di essere completamente atea. A 17 anni scrive un
testo «Dio è morto…viva la morte» di una straordinaria lucidità.
Si prefigge l’obiettivo di “smascherare l’assurdo”, la fede
consolatrice.. Nessuna sapienza umana è in grado di soddisfare i suoi
tragici perché sul dolore, sulla malattia, sulla guerra, sulla
vecchiaia, sulla morte. In lei convivono lucida disperazione e amore
della vita. A vent’anni, il cambiamento. Una conversione violenta. Fatta
nel nome del Vangelo e grazie all’incontro con l’abbé Jacques Lorenzo.
Sarà lui a riavvicinarla al mistero del Dio-Crocifisso, un Dio che non
se ne sta a guardare dal cielo le sofferenze umane ma si fa “compagno”
del dolore degli uomini condividendolo nella carne. Madeleine racconta
così la propria conversione: «Triste, angosciata, inquieta… decisi di pregare… non potevo più lasciare Dio nell’assurdo». E la preghiera la conduce dal Nulla del mondo al Tutto di Dio. «A
vent’anni fui letteralmente “abbagliata da Dio” – confesserà anni più
tardi – ciò che avevo trovato in Lui non l’avevo trovato in nient’altro». Ed ancora: «È l’abate
Lorenzo che, per me, ha fatto esplodere il Vangelo… Esso è diventato
non soltanto il libro del Signore vivente, ma il libro del Signore da
vivere». Un Signore che scopre stare dalla parte della vita. Il suo slogan non è più: «Dio è morto viva la morte!» bensì «Dio vive, viva la vita!».
La sua ossessione per la morte cede il passo ad una passione per la
vita. E insieme la scoperta che Dio non nega tutto questo. Danza,
poesia, musica, letteratura, teatro, filosofia… «Ormai considero la
vita come i preludi delle splendide sonate che si aspettano in seguito.
Nel preludio è già contenuta tutta la loro potente ricchezza». Ora che vede la vita in questo modo «ogni minuto acquista un’importanza singolare».
FARE DELLA STRADA IL CARMELO
In quella stagione (siamo nel 1925, anno delle canonizzazione di
Teresa di Lisieux), la ricerca di fede porta Madaleine a pensare al
Carmelo. Vi rinuncia anche per poter assistere i suoi genitori malati.
Ma se questo non è possibile, allora ne segue inevitabilmente che il mondo dovrà diventare il suo Carmelo, il suo monastero.
Prega molto, si applica a vivere il Vangelo. Ed è lasciandosi plasmare,
trasformare dal Vangelo che Madeleine trova quella che sarà la sua
strada. Con una convinzione che la seguirà per tutta l’esistenza: la
fede non deve essere vissuta per essere donata – perché la fede è dono
di Dio, non nostro – ma per farla esplodere in noi, per manifestare i
contenuti del suo messaggio. L’obiettivo è di «far calare i consigli
evangelici nella vita laica, votarsi cioè alle beatitudini in un dono
totale di sé, non per vivere tagliata fuori dal mondo ma nel mondo».
AD IVRY, CAPITALE MARXISTA
Nel 1933, pur restando laica, decide di consacrarsi al Signore e
qualche tempo dopo va a vivere con un piccolo gruppo di amiche a
Ivry-sur-Seine, cittadina di operai alla periferia sud di Parigi. Ivry è
“la capitale politica del Partito Comunista Francese”, sede del
segretario generale del partito. Sugli edifici pubblici non c’è il
tricolore, ma la bandiera rossa. I muri sono tappezzati di manifesti che
invitano a film sovietici, conferenze ideologiche, battesimi civili,
pasque rosse, e simili. Ci si saluta col pugno alzato. Dopo qualche
diffidenza iniziale (all’inizio le tre donne dell’equipe vestono con una
divisa simile agli scout ma capiscono di essere “pinguini” e scelgono
abiti comuni per confondersi tra la gente e poco dopo lasciano la casa
offerta loro dalla parrocchia perché, in cambio dell’alloggio gratuito,
sono fagocitate dentro gli impegni parrocchiali), l’amministrazione
comunista le offre un lavoro come assistente sociale: lei accetta e,
giorno dopo giorno, ha la possibilità di scoprire quella miseria e
quell’ingiustizia tanto combattute dai suoi «amici-avversari». Scopre
che i cristiani sono rassegnati all’ingiustizia e che molti dei
proprietari delle 310 fabbriche della città sono cattolici che versano
somme ingenti per la costruzione delle due nuove chiese ma ignorano
deliberatamente la miseria dei 43 mila operai delle loro fabbriche.
IL MIO PROSSIMO PIÙ IMMEDIATO
Alla luce del Vangelo, meditato ogni giorno, matura una chiara
distinzione fra l’ideologia marxista, da rifiutare nettamente, e le
persone concrete, che meritano attenzione e amore qualunque sia la loro
militanza politica. Lotta a fianco dei comunisti in favore dei poveri e
della giustizia, senza però confondere l’emancipazione del proletariato
con l’ideale evangelico. Scopre la dura realtà in cui vivono molte
famiglie di operai, ma anche la generosità di numerosi militanti
comunisti, con i quali collabora. La questione dei rapporti tra
cattolici e comunisti non è teorizzata o discussa da Madeleine, ma
risolta di schianto in base a un semplicissimo principio: «Dio non ha mai detto: Amerai il prossimo tuo come te stesso, eccetto i comunisti»,
perciò c’è solo da accogliere l’evidenza: i comunisti sono di fatto «il
suo prossimo» più immediato. Perciò non li evita, come raccomandano i
benpensanti, ed è pronta a riconoscere quel che c’è di buono – come
aspirazione alla giustizia e dedizione reciproca – in quei rudi
militanti della prima ora. Rimane colpita dal fatto che in questo
difficile contesto la Chiesa sia quasi del tutto assente. Le parrocchie
sono ripiegate su se stesse, con una fede che lei giudica atrofizzata,
mutilata.
INCONTRARE DIO OVUNQUE
Con questi travagli, l’identità del gruppo si precisa. Nel 1938
Madeleine scrive un testo programmatico che resterà celebre. È
intitolato: “Noi, gente della strada” e proclama che ci sono cristiani
per i quali «la strada» – cioè: il pezzo di mondo in cui Dio, di volta in volta, li manda – «è il luogo della santità», come lo è il monastero per le persone consacrate. È la vocazione specifica della «gente qualunque», in un «luogo qualunque», che svolge «un lavoro qualunque», assieme ad altri «uomini qualunque» e che, tuttavia, «si tuffa in Dio» con lo stesso movimento con cui «si immerge nel mondo».
Ma dove trovare il silenzio che le claustrali custodiscono nei loro
monasteri? Madeleine spiega che nel mondo non è certo difficile trovare «ammassi umani dove l’odio, la cupidigia, l’alcool segnano il peccato», ma proprio qui diventa possibile esperimentare «un silenzio di deserto nel quale il nostro cuore si raccoglie con facilità estrema». E dove trovare la solitudine? Risponde: «La nostra solitudine non è essere soli… La nostra solitudine è incontrare Dio dovunque».
Se, dunque, il monastero è per lei semplicemente il mondo – senza
distinzione tra spazi sacri e profani -, nemmeno la preghiera deve più
distinguersi dall’azione, non perché si dimentichino i tempi
dell’orazione, ma perché anche l’azione diventi preghiera. A chi le
obietta, secondo una mentalità assai diffusa, che non è possibile essere
tutti di Dio quando si è chiamati a vivere da laici, in mezzo al mondo,
Madeleine ribatte: «Non è concepibile che un Dio onnipotente, mentre vuole essere amato, dia ai suoi figli una vita nella quale non possano amarLo». Scrive: «Ogni
piccola azione è un avvenimento immenso in cui ci è dato il paradiso e
in cui possiamo dare il paradiso. Parlare o tacere, rammendare o fare
una conferenza, curare un malato o battere a macchina. Tutto questo non è
che la scorza di una realtà splendida: l’incontro dell’anima con Dio,
incontro ogni minuto rinnovato, ogni minuto che diventa, nella grazia,
sempre più bello per il proprio Dio. Suonano? Presto, andiamo ad aprire:
è Dio che viene ad amarci. Una informazione?… Eccola: è Dio che viene
ad amarci. È l’ora di mettersi a tavola? Andiamoci: è Dio che viene ad
amarci. Lasciamolo fare».
GRIDARE IL VANGELO CON LA VITA
Non si può capire Madeleine senza il contesto di quella rinascita
evangelica che percorse il cattolicesimo francese negli anni ’40 e ’50 e
preparò le vie al Concilio. In quegli anni il card. Suhard, arcivescovo
di Parigi, con grande acutezza intuisce che la Francia sta diventando
“terra di missione” e dichiara: «Un muro divide la Chiesa dalle masse. Bisogna abbatterlo a ogni costo per riportare a Cristo le folle che lo hanno smarrito».
Per demolire lo steccato che separa la Chiesa dalla classe operaia,
Madeleine Delbrêl decide di condividere la vita nella banlieu di Ivry.
Per vivere la carità di Gesù in mezzo ai poveri, “prigioniera di
Cristo”, della sua vita, del suo pensiero, del suo slancio, ma libertà
della libertà stessa di Dio. La sua casa – il famoso “numero undici” di
Rue Raspail – una casa come tutte le altre, come le case della gente
ordinaria, sarà un luogo aperto a tutti e dove sarà accolto chiunque
(altre case nasceranno poi a Longwy tra i minatori, a Parigi, a Tizi
Ouzou in Algeria e in Costa d’Avorio). Non si propone né di convertire
né di lanciare anatemi ma semmai, sulla scia dell’amato Charles de
Foucauld, “di gridare il vangelo con la vita”. Queste donne, né
individualmente né collettivamente saranno proprietarie e sceglieranno
sempre la condizione da salariate con preferenza per incarichi modesti,
dandosi l’impegno di non fare in alcun modo carriera. La vita comune è
fondata sulla condivisione e sulla carità fraterna: la vita di
preghiera, che si vuole intensa, sarà vissuta il più delle volte in
solitudine. Unico elemento istituzionale è un ricorso comunitario al
Vangelo. Ogni settimana si dedicherà una serata ad accoglierne insieme
gli insegnamenti e a confrontare con esso la vita.
IO VOGLIO CIÒ CHE TU VUOI
Tentata per un attimo dall’idea di creare un nuovo Ordine religioso,
vi rinuncia. Su richiesta di mons.Veuillot, in seguito Cardinale
Segretario di Stato di Paolo VI, che le chiede che cosa pensa «lei
stessa, per lei stessa?» scrive, di getto, un testo in cui le frasi si
susseguono tutte ritmate da un appassionato: «Avrei voluto…». «Avrei
voluto unicamente, appartenere interamente ed esclusivamente a Gesù,
Nostro Signore e nostro Dio; avrei voluto provare a vivere il suo
Vangelo, essere completamente disponibile alla sua volontà, nel più
intimo della Chiesa e per la salvezza dell’uomo… Avrei voluto che ciò
bastasse a spiegare tutto». Senza saperlo, però, Madeleine non sta
soltanto offrendo alla Chiesa un fedele in più che prende sul serio la
vocazione alla santità: sta descrivendo un «nuovo tipo di cristiano» che
non sopporta più la fede rattrappita, imborghesita, ridotta a buoni
sentimenti, a “mentalità cristiana”, a pura eredità familiare, a
proprietà sociale, e che riduce il Vangelo a un libro di massime
moralistiche, di buonsenso comune. Donna di passione e di lotta, di
preghiera e di contemplazione, Madaleine viene invitata spesso a parlare
della sua testimonianza in vari gruppi in tutta la Francia. Soffre
molto per le tensioni sorte a proposito dell’esperienza dei
preti-operai: si inquieta per le imprudenze di alcuni di loro, ma anche
per il rifiuto pregiudiziale che certi ambienti ecclesiastici dimostrano
per questo nuovo tipo di missione. Quando l’esperienza viene bloccata
da Roma, ella ne è rattristata ma invita tutti i suoi amici
all’obbedienza filiale verso la Chiesa e li incoraggia a mantenere viva
la speranza.
Muore il 13 ottobre 1964, mentre si sta celebrando il Concilio Vaticano
II indetto da Giovanni XXIII, un papa che lei apprezza molto per la sua
coraggiosa semplicità. Nel suo messale, le compagne trovano alcune
parole risalenti a dieci anni prima, e da lei scritte per commemorare il
trentesimo anniversario della propria “conversione”: «Io voglio ciò che tu vuoi/senza chiedermi se lo posso/senza chiedermi se lo desidero/senza chiedermi se lo voglio». Nei suoi documenti sarà rinvenuto il suo testamento, sottoforma di semplice consiglio, destinato alle sue amiche: «Vi lascio un parere: non sia il mio ricordo a farvelo seguire, poiché il mio augurio è che voi siate veramente libere»